Un elenco di creature e figure mitologiche del folklore valdostano.
di Matteo Berta, Alessandro Sivieri e Giovanni Siclari
Siamo al terzo capitolo che va a espandere il nostro Bestiario d’Italia (link diretto). Questo lavoro, come i precedenti, è il tassello di una raccolta dettagliata di mostri, streghe, fantasmi ed esseri leggendari della nostra penisola. L’obiettivo è creare un database online completo e accessibile sul folklore nostrano, andando a scoprire tradizioni locali e storie dimenticate. La regione di oggi è la Valle D’Aosta, con una serie di voci extra che non comparivano nel Bestiario principale.
Il territorio valdostano non sarà molto esteso, ma ospita le più alte cime italiane e nasconde molti segreti. Anche se la popolazione umana scarseggia, spettri e creature si aggirano nelle sale dei castelli (Fénis, Issogne, il Forte di Bard…) e sui monti silenziosi. La tradizione della Valle d’Aosta risente delle influenze francoprovenzali e latine. L’immaginario collettivo ci ha tramandato creature fantastiche come il Dahu, diavoli che terrorizzano le valli, covi di streghe e spiriti senza pace. Per l’occasione si aggiungono new entry come vitelli demoniaci, draghi famelici e fuochi fatui. Facciamo dunque scorta di indumenti ben caldi e scaliamo queste vette del mistero.
IL DAHU
Animale leggendario comune a tutta la zona alpina, con una particolare fama in Valle d’Aosta. È presente anche nel folklore dei Pirenei. Sarebbe un mammifero quadrupede con un aspetto simile a quello dei cervidi e le zampe asimmetriche. Quelle di destra sarebbero più lunghe di quelle di sinistra, o viceversa, per permettergli di arrampicarsi meglio sui ripidi pendii montani. A seconda della disposizione degli arti, si può parlare di Dahu Destrogiro o Levogiro, in quanto la creatura sarebbe costretta, in virtù delle sue caratteristiche fisiche, a girare attorno alla montagna sempre nel medesimo verso. Secondo l’antica credenza i Destrogiri camminano in senso orario e i Levogiri in senso antiorario. Un’altra versione del racconto afferma che a essere più corte siano le zampe anteriori, per favorire la salita.
Essendo poco comune e bramato per le sue fantomatiche peculiarità, si tramandano alcune tecniche per catturarlo. La più comune consiste nel sorprenderlo alle spalle, avvicinandosi silenziosamente, per poi fischiare forte o gridare “Dahu”. A quel punto l’animale, curioso per natura, si sarebbe girato per individuare la fonte del suono e, trovatosi improvvisamente con le zampe più corte verso la valle, sarebbe ruzzolato giù dalla discesa. Una volta caduto e ormai incapace di rialzarsi, sarebbe stato preda dell’astuto cacciatore. Secondo alcuni la caccia darebbe maggiori frutti se praticata di notte, in compagnia di una ragazza.
Taluni sostengono che il Dahu si sia praticamente estinto per via del turismo di massa, poiché incontrando l’uomo sempre più spesso, si sarebbe girato per poi rotolare a fondovalle e morire. Si afferma inoltre che i suoi ambienti di riproduzione siano troppo frequentati da sciatori e turisti. La riproduzione avverrebbe deponendo delle uova, come in determinati mammiferi australiani. Tali uova, a detta di molti, costituiscono un alimento prelibato e vengono perciò trafugate dai cacciatori. I piccoli nati rimangono nel marsupio materno fino ai 15 anni di età. A causa della loro tendenza a cadere o della scarsa distinzione tra maschi e femmine, sono molti gli aneddoti sulla goffaggine dei Dahu durante l’accoppiamento. Non vi sono prove materiali dell’esistenza di questa creatura, che oltre a simboleggiare gli ambienti montani incontaminati, ha connotazioni burlesche.
I DIAVOLI DELLA VAL VENY
Una leggenda narra che un branco di diavoli venne cacciato dai valichi alpini del San Bernardo, per poi rifugiarsi sul Mont Maudit. Di tanto in tanto i demoni abbandonavano la montagna maledetta per compiere scorribande in Val Veny, alle quali venivano invitate anche streghe ed entità malvagie. Si divertivano particolarmente a devastare i raccolti e terrorizzare i contadini. Nonostante i tentativi di esorcismo dei prelati locali, le incursioni si facevano sempre più temibili. Capitò infine che uno dei diavoli, rimasto zoppo durante la scorreria e trattenutosi fino all’alba a chiacchierare con un abitante locale, disse che per cacciare i suoi simili serviva una persona di cuore puro.
La comunità, riunitasi per esaminare la situazione, scelse un umile fraticello del convento di San Francesco di Aosta, poiché non si trovava gente senza macchia nelle alte sfere della Chiesa. Il religioso scalò impaurito la montagna maledetta e invitò i diavoli ad andarsene. Questi, per non obbedire, cercarono di diffamare il giovane con dei cavilli: lo accusarono di aver rubato erba fresca per i suoi calzari e di aver preso da una vigna un grappolo d’uva, che in realtà aveva pagato con una moneta e consegnato a un confratello malato. Di fronte all’innocenza del ragazzo, i diavoli furono costretti ad abbandonare la valle e a tornarsene all’inferno.
IL DRAGO DI PERLOZ
Il Ponte Moretta nel comune di Perloz venne costruito nel 1710, in sostituzione dell’antico ponte di legno. Nelle sue vicinanze si notano strani cunicoli che sbucano nella valle. C’è chi sostiene che furono scavati dai ghiacciai e chi attribuisce la loro origine alle zampe di un drago. La bestia abitava nei pressi del ponte e terrorizzava gli abitanti del paese, divorando bestiame, viandanti e tendendo agguati ai carretti dei commercianti. Il lucertolone era così terribile che nessuno aveva il coraggio di combatterlo, preferendo abbandonare qualunque cosa commestibile per darsela a gambe. Un giorno arrivò un uomo di nome Vignal, che decise di affrontare il mostro. Si presentò davanti alla sua grotta con una pagnotta appena sfornata, infilzata sulla punta della spada.
Il drago, da buon ghiottone, spalancò le fauci per ingoiarla e Vignal affondò la lama nella sua gola. La creatura venne così uccisa. Preso dallo spirito battagliero, il cavaliere decise di infierire sulla carcassa della bestia, colpendola più volte e venendo raggiunto da alcuni schizzi di sangue. Il fluido era velenosissimo e uccise Vignal in pochi istanti. Il prode giovane non ebbe l’occasione di tornare in paese e godersi la vittoria, quasi come se il drago fosse maledetto e capace di uccidere anche dopo la morte. Per questo, ancora oggi, la gente del posto si tiene lontana dalle grotte vicino al ponte.
I FANTASMI DI SAINT-MARCEL
Più persone affermano di aver avuto incontri di natura paranormale nel castello di Saint-Marcel, costruito intorno al 1500 e situato a pochi chilometri da Aosta. Ora come ora giace in uno stato di parziale abbandono, cosa che gli dona un aspetto sinistro. L’avvistamento più gettonato è quello di un cavaliere che porta abiti e armi di epoca seicentesca. Al catalogo si aggiungono urla, lamenti e pietre che rotolano. Si parla addirittura di candelabri che vagano per le stanze sospesi nel nulla e di ombre che ricordano uomini incappucciati. Essi paiono intrappolati in un ciclo e, oltre a discutere rumorosamente, percorrono senza sosta il medesimo itinerario, attraversando i corridoi e svanendo in un’ampia sala. Data la frequenza delle manifestazioni ectoplasmiche, la struttura è spesso al centro delle indagini di curiosi e cacciatori di fantasmi.
LE STREGHE DEL MONTE CIAMOSEIRA
Tra i comuni di Perloz e Lillianes, nella valle del Lys, torreggia imponente il monte Ciamoseira, diviso in due parti da una frattura dove crescono addirittura delle piante. Si dice che in passato fosse la dimora delle streghe, che ancora oggi si aggirano nei boschi circostanti. Sui pendii rocciosi vengono sovente avvistati dei fuochi fatui. Una leggenda narra che, in una notte del 1877, alcuni abitanti a est del Lys videro il monte illuminarsi a giorno. Le foreste erano attraversate da misteriosi fuocherelli e si udivano sinistre risate. Come in una magica processione, le presenze attraversarono un torrente e si dileguarono nelle tenebre. Il mattino seguente un gruppo di contadini si diresse nel bosco per capire se l’evento notturno fosse solo una sofisticata burla. Nulla è mai stato chiarito, ma da allora si attribuiscono le strane luci ai riti delle streghe.
IL VIANDANTE DEL MONTE BIANCO
Questa famosa cima era un tempo chiamata Grand Mont e, stando ai racconti, era continuamente circondata da intemperie di ogni genere, tra cui frane, grandinate e venti. Essendo un luogo isolato, era abitato da terrificanti creature e spiriti maligni. Le persone che vivevano nei paeselli circostanti erano terrorizzate dalle presenze, al punto da non alzare mai lo sguardo verso la montagna. Una sera d’estate, un viandante si spinse fino alla cima, promettendo agli abitanti di scacciare qualunque mostro incontrasse sul suo cammino. Così fu, in quanto le maligne presenze vennero travolte da una coltre di neve e imprigionate per sempre. La vetta, purificata dal viandante, è stata quindi ribattezzata Monte Bianco.
IL VITELLO SUL TESORO
Si narra che nel comune di Challand-Saint-Anselme, a poca distanza dalla frazione di Orbeillaz, un torrentello attraversi i boschi per sfociare in una meravigliosa cascata. Pare che sotto di essa si nasconda una grotta con un prezioso tesoro al suo interno. Sulla pietra scura si profilano i contorni dell’entrata della grotta, che si schiude magicamente ogni notte di Natale. Si dice però che il Diavolo, spesso conosciuto in Valle d’Aosta come “Cornetta”, abbia posto una creatura infernale a guardia delle ricchezze. Trattasi di un vitello nero che resta sdraiato giorno e notte sul tesoro. Quando la grotta si spalanca, il bovino demoniaco si addormenta, permettendo ai temerari di avvicinarsi. La vera sfida è aprire lo scrigno e rubarne il contenuto senza svegliare la bestia, pena la discesa negli inferi.
IL DENTE DEL GIGANTE
La leggenda in questione riguarda l’omonimo monte che sorge al confine tra Italia e Francia. Il Dente del Gigante fa parte del massiccio del Monte Bianco ed è la vetta di questo gruppo roccioso più visibile da Courmayeur. Pare che questa cima origini da Gargantua, un gigante buono e dalla stazza incredibile (almeno quanto il suo appetito). Pare che esplorò la Valle d’Aosta, forando montagne e creando vallate, fino a quando non decise di fermarsi a riposare, poggiando su una rupe e contemplando il panorama. Fu molto utile ai valligiani, aiutandoli a pigiare l’uva con il dito e recuperando il bestiame dai burroni. Intratteneva anche i bambini, raccontandogli delle sue avventure.
La gente lo ricompensava con forme di fontina e barili di vino che egli trangugiava in un sol boccone. Qualche tempo dopo venne pervaso dal desiderio di esplorare nuove terre e pensò di muoversi, facendo attenzione a non calpestare i campi coltivati. Nonostante gli sforzi provocò una frana, creando il Monte Cervino. In vista della sua morte, Gargantua lasciò in eredità il suo corpo, dando istruzioni su dove posizionarne i pezzi. Un suo dente venne incastonato proprio tra i ghiacciai del Monte Bianco, portando alla nascita del Dente del Gigante.
IL RU MORT
Durante i periodi di piena, ogni ruscello è controllato da una Guardia, che si assicura che l’acqua non venga sprecata e che gli agricoltori rispettino i tempi di irrigazione. Era una calda mattina di agosto e la Guardia del Ru Mort, nei pressi del comune di Roisan, stava compiendo il suo giro di controllo. Quel giorno l’uomo si sentiva osservato da una presenza misteriosa. Con la coda dell’occhio vide una vipera nera in mezzo all’erba e, infastidito, la scacciò con un bastone. Un centinaio di metri più in là notò una paratia lasciata sbadatamente aperta, dalla quale usciva acqua a fiotti. Si fermò per chiuderla, quando vide di nuovo la serpe, avvolta al manico della struttura. Spaventato, l’uomo si mise a correre lungo il ruscello.
Fece una pausa per prendere fiato e, con sgomento, ritrovò la vipera proprio ai suoi piedi. La colpì con il bastone, questa volta mortalmente. Da quel giorno ogni tentativo di manutenzione al ruscello risultò vano: le pareti perdevano acqua e si sgretolavano in pochi istanti. Le continue perdite costrinsero i contadini ad abbandonare il luogo per trovare un’altra fonte. La Guardia era convinta di aver ucciso una semplice vipera, ma scoprì che quella creatura era in realtà la Fata protettrice del fiume, che da quel giorno prese il nome di Ru Mort, poiché la vegetazione circostante, un tempo irrigata dalle acque, appassì per non ricrescere più.
I MANTEILLONS
Piccoli esseri, chiamati anche Mantelloni, che abitano le pendici del Monte Bianco. Hanno caratteristiche in comune con i folletti e con gli elfi. Sono dotati di lunghe braccia, di sopracciglia cispose e di volti affilati. Nell’immaginario collettivo il loro nome deriva dalla lunghezza dei mantelli che indossano. Le vesti arrivano a sfiorare il terreno per coprire una particolare deformità: i Manteillons sono infatti privi di piedi. Quando si spostano non lasciano tracce del proprio passaggio e preferiscono nascondere questa menomazione agli estranei. Si racconta che siano dispettosi e maligni. Il loro arsenale comprende scherzi comuni ai folletti delle altre regioni, tra cui legare tra loro le code delle mucche, saccheggiare le tavole imbandite e strappare le coperte alle persone dormienti, per poi prenderle a schiaffi.
Per impedirgli di commettere danni è opportuno mettere sul davanzale un recipiente pieno di orzo o lenticchie, in modo che perdano tempo a contare i chicchi. Un tempo i loro rapporti con gli umani erano amichevoli. Frequentavano le stalle dei montanari per ripararsi dal gelo dell’inverno e in cambio raccontavano storie antiche quanto il mondo stesso. Erano considerati una fonte di saggezza. Degni di nota i Manteillons che vivevano nella Valle di Cogne, che vagabondavano di notte sotto forma di pipistrelli o di ombre. Durante la notte rompevano i vetri delle finestre, spaventando i padroni di casa. Infine furono scacciati dagli abitanti grazie a un sortilegio e condannati a intrecciare funi di sabbia.
LA FATA DEL LAGO
Pare che nella conca di Prêz siano reperibili le tracce di un antichissimo lago. A pochi metri dalla riva, in fondo a una grotta, viveva una fata. Si prendeva cura del lago e dei boschi circostanti, cercando di mantenere le distanze con la gente comune. A volte si trasformava in siepe per non essere vista. I montanari udivano spesso il suo canto melodioso. Un giorno due pastorelli si attardarono nei pressi del lago e udirono la voce della fata. Incuriositi, non fecero il minimo rumore e attesero che il canto cessasse. A quel punto la fata spuntò da un cespuglio e i due la riconobbero. Ella si coprì il volto con i capelli biondi e si tuffò nell’acqua.
Non vi erano tracce da seguire e i due rimasero spaesati. A un tratto videro qualcosa sull’altra sponda del lago: si trattava di una grossa serpe dalle squame dorate, che al sole emettevano un bagliore accecante. I due non avevano mai visto un serpente così grande e fuggirono spaventati. Per giorni non si sentì più cantare la fata e i pochi viandanti che transitavano per la riva scorgevano solo il rettile, che si sottraeva agli sguardi in un lampo. Giunse infine un cacciatore di Fontainemore, che sorprese la serpe mentre si sporgeva da una pietra per specchiarsi nelle acque. L’uomo le sparò senza indugio, colpendola a morte. La carcassa cadde nel lago, che in breve iniziò a ribollire di sangue. Il livello dell’acqua calò lentamente, fino a prosciugare il terreno. Sulle rive scomparve ogni traccia di vegetazione. Grazie alla stupidità dell’uomo, insieme alla fata-serpente morì anche il lago.
Finisce qui questa ennesima spedizione mostruosa. Come sempre il nostro campionario di creature è in costante aggiornamento e, se conoscete delle leggende che potremmo aver tralasciato, vi invitiamo a comunicarcelo. Non scordatevi di fare un altro giro nell’articolo principale. Per consultare tutti i Bestiari del sito passate invece da questo link. Se siete in montagna, state attenti alla caduta di cervi magici e buon viaggio nella terra dei mostri!
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