Spiritelli, mostri e spauracchi dei racconti campani.
di Matteo Berta, Alessandro Sivieri e Giovanni Siclari
Andando un’altra volta a scavare nelle radici della nostra mitologia, torna il ciclo del Bestiario d’Italia. Ogni regione della penisola ha un variegato background storico e geografico, che ha dato origine nel tempo a leggende, favole e racconti ancestrali. Grazie ai mezzi di Internet è in atto una riscoperta di queste storie, che riflettono la filosofia, le paure, ma anche le diverse qualità di chi le tramanda. L’appuntamento di oggi è dedicato alla Campania, che era l’epicentro politico del Regno di Napoli, considerato come il più ampio degli Stati antichi italiani. Le influenze europee e il protagonismo nel Mediterraneo hanno intriso questi territori di un’eredità culturale notevole.
La bellissima regione della Campania rappresenta l’inizio del Mezzogiorno italiano, di una parte della nostra penisola piena di eccellenze storiche, gastronomiche, naturalistiche e anche folkloristiche. Sicuramente, tra le tante città, non può non spiccare Napoli che, già di quartiere in quartiere, presenta una diversità linguistica e superstiziosa che la rendono unica nel suo genere, coi i suoi vicoletti infestati dal Monacielllo, dalle case abitate dai gechi (considerati animali portatori di grande fortuna) o dallo spauracchio del Gatto Mammone, presente in una della carte da gioco napoletane della Briscola e della Scopa. Ma iniziamo il nostro percorso…
O’ MUNACIELLO
Nel parlare della Campania, non potevamo non esimerci dallo spendere subito quattro parole su uno dei “monster” più caratteristici del territorio e che ha influenzato la cultura mostrifera di molte regioni del Mezzogiorno. Stiamo parlando del Monaciello o, come vuole la dizione, O’ Munaciell. Tipico della bellissima città di Napoli, o ‘Monaciell è uno spiritello che, secondo la tradizione partenopea, ha le sembianze di un bambino sfigurato vestito con un semplice saio (da qui il riferimento a “monaciello – monaco”) e fibbie argentate sulle scarpe. Prima di trattare del Monaciello però è doverosa una premessa, in modo tale da rendere giustizia al tema e non mancare di rispetto alla complessa cultura di Napoli: qui ci limiteremo a delinearne solo i tratti più peculiari, bypassando tutte le ipotesi sull’origine. Vi proporremo quindi una sorta di piccola pillola. Immaginatelo come se fosse un caffè sospeso: giusto l’attimo di un sorso.
Ciò che possiamo dire con sicurezza del Monaciello è che secondo la tradizione, questo spirito infesta Napoli. C’è chi lo colloca vicino ai monasteri e le abbazie che attorniano la città, c’è chi lo immagina nella torre di Montalto e chi invece lo fa sovrano delle vie sotterranee e dei vetusti palazzi della città. Come tutti gli spiriti del Mezzogiorno, anche il Monaciello sembrerebbe particolarmente votato agli scherzi bonari più o meno simpatici a seconda della casa in cui si palesa: può infatti lasciare soldi in casa, suggerire numeri fortunati (su questo aspetto della cultura napoletana si potrebbe scrivere un articolo intero) ma può anche essere particolarmente ostile, disturbando il sonno, rompendo qualche oggetto e addirittura “allungand’ e man n’gopp’ e femmene “. Si tratta dunque di una presenza inumana propiziatoria o nefasta, a seconda di come ci si relaziona con essa.
Certo è che o’ Monaciello tiene il cuore grande (come gli abitanti di Napoli) e secondo il folklore locale può apparire in casi di stringente bisogno per aiutare le persone, conducendo l’interessato in un luogo segreto per donargli parte del proprio tesoro. D’altronde, come si dice a Napoli, “‘O munaciello: a chi arricchisce e a chi appezzentisce”. Comunque sia, palesi sono i legami con la cultura nord-europea e i folletti irlandesi depositari di grandi tesori. La cosa curiosa del Monaciello è che per certi versi è un po’ come il sugo: ogni quartiere di Napoli lo fa a modo suo con qualche variante. Così anche la declinazione del Monaciello cambia a seconda che ci si trovi in Piazza Garibaldi, a Secondigliano, nel Centro Storico ecc. Aggiungo un’ultima variante, secondo la quale il Monaciello sarebbe lo spirito di un bimbo che vuole nascere e in qualche modo gli viene impedito. Ecco quindi che in casa si sentono sempre grattare le pareti e si vedono gli oggetti scomparire o spostarsi in altri luoghi della casa.
LA BELLA M’BRIANA
Sempre a Napoli, città dalla profonda carica folkloristica, a contendersi le mura domestiche col Monaciello c’è la Bella M’Briana. Chi o cosa è questa Bella M’Briana? Nell’immaginario collettivo viene definito come lo spirito della casa, una presenza benigna che viene in soccorso della famiglia nei momenti di vero bisogno. Spesso si manifesta come una bella donna vestita di bianco, pronta ad aiutare la famiglia solo nel caso in cui la casa sia pulita e ordinata. Questa è l’unica condizione che permette a tale presenza di albergare tra le mura domestiche. Guai a mancarle di rispetto o potrebbe incollerirsi e provocare la morte di un abitante della casa. Mania per l’ordine e rispetto sono quei capisaldi culturali che un tempo (anche se oggi rimane qualche retaggio) definivano le persone del Sud: magari non c’era il benessere ma il rispetto era tutto.
Un’altra variante in cui si poteva presentare questo spirito domestico era la forma animalesca del geco. Questo simpatico piccolo rettile, che per clima e ambiente si manifesta di frequente nel Mezzogiorno, ancora oggi gode della fama di essere portatore di fortuna. I gechi infatti, da che ne ho memoria, in casa mia non sono mai stati fatti fuori. Anzi, si cerca sempre di non disturbarli perché, come diceva nonna, “n’de porta li sordi”. Ecco quindi che un minuscolo arrampicamuri diventa la naturale trasformazione animalesca della buona fortuna casalinga. La leggenda vuole anche che il potere della M’Briana le permettesse di trasformarsi in una bellissima farfalla. State attenti quindi quando troverete un piccolo geco sul soffitto o su una parete di casa vostra, o se vedete svolazzare una farfalla: la Bella M’Briana potrebbe essere lì per capire se davvero in casa vostra regni la quiete o se le state portando il giusto rispetto.
IL GATTO MAMMONE
«Non potete servire a Dio e a Mammona»
(Gesù, in Mt 6,24 e nel Lc 16,13)
Noto nella tradizione culturale campana e in una certa misura anche nel Mezzogiorno, il Gatto Mammone trova il suo posto tra le creature che oscillano tra l’essere considerate maligne e benigne. Per certi versi simile al Gattu Puzzu marchigiano, il Gatto Mammone si diversifica da questo per la nomea di “re dei gatti”, dotato di grande intelligenza, simile a quella umana, e per avere un’aura demoniaca, cosa che il Gattu Puzzu in effetti non ha. Il Gatto Mammone si presenta, secondo la tradizione, come un grosso gatto nero (tipico colore che, a partire dalla cristianizzazione della cultura europa, è sempre stato legato all’oscurità, al male e al Diavolo); qualche volta sul muso del Gatto Mammone vi è una “M” bianca.
Curioso come il nome del Gatto Mammone richiami per certi versi la parola “Mammona”, che riconduce alla personificazione del guadagno, del profitto e dell’accumulo materiale di ogni bene. La Storia ci insegna che con l’avvento del Cristianesimo, il rapporto tra uomo e ricchezza (intesa nel senso più lato) è sempre stato dialettico e conflittuale, su cui i dottori della Chiesa si sono sempre pronunciati, per cercare di far convivere i due all’interno della Cristianità. Sopratutto la questione del prestito e dell’usura furono temi altamente scottanti su cui ancora si dibatteva nel XVIII secolo. Lungi comunque da entrare nel merito di questo approfondimento, ci basti tenere conto dell’accostamento tra la figura del gatto, animale scaltro e spesso legato al male, e a Mammona. Risulta chiaro che il mix tra queste due figure porta alla creazione di un animale legato al Diavolo e al peccato di avarizia.
LA JANARA
Una delle leggende più famose della Campania, che affonda le sue radici nel beneventano. Si parla delle Janare, streghe depositarie di antichi e oscuri segreti. Erano molto temute dai contadini, poiché portatrici di sventura e in grado di rovinare la vita altrui con il malocchio. Secondo alcuni il loro nome deriva da Dianara, cioè “Sacerdotessa di Diana”, la dea della caccia. L’origine del mito è perciò pagana, ma presto si arrivò a credere che le Janare si riunissero sotto un albero di noce sulle sponde del fiume Sabato, per venerare il Demonio, sotto forma di cane o caprone. Dipinte come aggressive e acide, pare che andassero in giro nude e che avessero un aspetto mostruoso, simile a quello delle arpie. Non essendo in grado di concepire figli, se la prendevano soprattutto con i bambini, ai quali procuravano malanni. Tra le loro peculiari abitudini, quella di uscire nottetempo, introdursi in una stalla e rubare una giumenta per cavalcarla fino all’alba.
La tradizione popolare suggerisce dei metodi per scacciarle: tenere una scopa di miglio capovolta davanti alla porta o lasciare in giro un sacchetto di sale, in modo che la strega si fermasse a contare i granelli fino al mattino. In caso di incontri ravvicinati, bastava afferrarle per i capelli, poiché rappresentano il loro punto debole. Se venivano catturate e rese inermi, erano loro stesse a dichiarare protezione sulla casa per sette generazioni. Pare infatti che, nonostante l’atteggiamento crudele, fossero esperte di erbe curative e conoscessero i rimedi per svariate malattie. Come molti altri personaggi del folklore italiano, anche le Janare vengono associate alle paralisi notturne e agli incubi. Il loro appellativo viene inoltre utilizzato per apostrofare donne arcigne.
LE STREGHE DI BENEVENTO
La città campana di Benevento è tra i posti più misteriosi d’Italia, poiché secondo le credenze popolari vi si radunerebbero tutte le streghe della nazione. Questa leggenda è strettamente correlata con quella delle Janare. A tale mito fa riferimento perfino il Liquore Strega, reperibile in bottega un po’ ovunque. Già nel 1273 circolarono voci di riti legati alla stregoneria, che si svolgevano sotto un albero di noce. Nel XVI secolo, sotto la pianta, furono rinvenute parecchie ossa. Il grande albero, scelto dalle streghe poiché sempreverde e dalle qualità nocive, si troverebbe in una gola, lo Stretto di Barba, sulla strada per Avellino. Lì, in un boschetto e in una chiesa abbandonata adiacente, avverrebbero ancora oggi riti sovrannaturali.
Secondo il mito, le streghe di Benevento si ungevano il petto e le ascelle con un magico unguento, che gli consentiva di librarsi in volo a cavallo di una scopa. Per decollare si recitava la litania “Unguento unguento, portami al noce di Benevento, sopra l’acqua e sopra il vento e sopra ogni altro maltempo”. L’incantesimo le rendeva anche intangibili, simili al vento. Giunte all’albero prescelto, davano inizio a banchetti, orge, danze ed evocazioni di demoni in forma di gatti e caproni. I poteri di queste streghe erano davvero temibili: potevano causare aborti, malformazioni nei neonati e dolori indicibili alle persone.
LA REGINA VERDE
Pare che lungo le coste campane dimorasse un comandante dei Saraceni, con la sua bellissima figlia. La ragazza, scendendo per prima dalla nave, lasciò cadere in acqua il suo velo azzurro e mostrò ai presenti il suo viso color smeraldo. Gli abitanti di Agropoli furono rapiti dal suo fascino e la ribattezzarono Regina Verde. Molti chiesero al comandante saraceno la mano della figlia, ma lui rifiutava ogni volta. Un giorno la ragazza, passeggiando per Trentova, vicino a delle barche ormeggiate, venne colpita per sbaglio dalle reti di un pescatore. Il colpo la fece innamorare immediatamente dell’uomo.
I due vennero colti dalla passione e iniziarono una relazione segreta. Ogni mattina la Regina Verde salutava il suo amato dalla rupe della città. Un giorno il pescatore non fece più ritorno, poiché era annegato durante una tempesta. Dopo giorni di attesa, la ragazza non resistette al dolore e si gettò dalle rocce. Gli dèi, incantati da quel sentimento sincero, mutarono la fanciulla in una ninfa. Pare che ancora oggi abiti in una grotta sottomarina. Durante le notti burrascose, i pescatori di Agropoli avvertono il suo grido, mentre invoca il ritorno del fidanzato.
IL MOSTRO DI PORTA CAPUANA
Una leggenda del Settecento racconta che presso le mura dell’antica Porta Capuana, a Napoli, vivesse un mostro simile a un drago. Questo mito, che simboleggia la lotta tra il bene e il male, venne raccontato dal frate domenicano Serafino di Montorio, che nel 1715 diede alle stampe un’opera sui miracoli della Vergine Maria. Il religioso racconta che oltre la Porta si estendeva una palude, abitata da un Draco. Era un grosso rettile capace di pietrificare un essere umano con il solo sguardo. Le vittime venivano poi avvelenate dai miasmi, fatte a brandelli, divorate o stritolate tra le sue possenti spire. Serafino afferma che giunse a Napoli un giovane nobile, conosciuto come Gismondo. Costui era coraggioso e, sentita la storia del drago, volle recarsi alla palude per affrontarlo e visitare l’Altare di Pietro.
Stranamente, il mostro non lo attaccò al suo passaggio e Gismondo attraversò tranquillamente Porta Capuana. La notte seguente gli apparve in sogno la Madonna, che lo informò di aver ucciso il Draco, colpita dalla devozione del giovane. Gismondo aveva però il compito di edificare una chiesa che contenesse i resti della creatura. Gismondo tornò alla palude e, rinvenuta la carcassa, fondò la Chiesa di Santa Maria ad Agnone, che deriva dal termine Anguis, cioè “grossa serpe”. A livello topografico questa zona è stata chiamata Vico della Serpe. In loco venne trovato un pezzo di marmo raffigurante un serpente e ancora oggi sono in corso scavi archeologici nell’ex-complesso monastico.
IL LICANTROPO DI RAVELLO
Altro caso di essere umano condannato da una maledizione a trasformarsi, durante ogni plenilunio, in una creatura mostruosa. Gli anziani di Ravello, in provincia di Salerno, ricordano che nelle notti di luna piena, ai suoni della fauna circostante si sommavano dei terribili ululati. Coloro che a tarda ora si aggiravano fuori dal paese raccontavano di incontri spaventosi. Alcuni di essi descrivevano l’inseguitore come un lupo mannaro, che però correva alla cieca: bastava imboccare un vicolo a destra o a sinistra e la bestia proseguiva dritta per la sua strada, ignorando la preda. Da allora i locali impararono che per seminare un lupo è sufficiente cambiare bruscamente direzione. La teoria non ha solide basi scientifiche, quindi è sconsigliabile applicarla di fronte a una belva in carne e ossa!
IL FANTASMA DI DONN’ANNA
A Posillipo sorge il bellissimo Palazzo di Donn’Anna, sul quale grava la leggenda di Anna di Carafa, uno spirito che ancora oggi, stando alle voci, si aggira sulle terrazze dell’edificio. Questa nobildonna, dall’indole spietata, amava attirare gli amanti nella reggia, per poi gettarli direttamente a mare attraverso una botola. Nel palazzo si tenevano anche spettacoli teatrali. Una storia in particolare parla di un’ospite, Donna Mercedes de Las Torras, che era la nipote del Viceré. Ella prese parte a una recita insieme a Gaetano di Casapesenna, del quale Donn’Anna era invaghita. Lo spettacolo raccontava di un principe e di una schiava innamorati. Il bacio tra Mercedes e Gaetano, durante l’epilogo, fu piuttosto veritiero. Donn’Anna fu l’unica a non applaudire. Poco tempo dopo anche Mercedes scomparve, forse precipitata nella famigerata botola. Gateano la cercò a lungo, ma invano. È intuibile che Mercedes fu un’altra vittima della crudele rivale. Alcuni affermano che dalle acque circostanti provengano ancora le grida e i pianti delle sue vittime.
LA PAPERA CUGLIUTA
Siamo al cospetto di una bestia mitologica dai tratti grotteschi. La sua descrizione lascia trapelare tutta l’ironia delle genti campane. La Papera Cugliuta, secondo la tradizione napoletana, risiede nei pozzi della città ed è un essere dotato di attributi maschili ragguardevoli. Un’altra sua caratteristica, insieme agli immensi genitali, è la natura malevola. Nella notte di Natale, a mezzanotte, la Papera emerge dal pozzo e si guarda in giro, sperando di trovare qualche preda. Chiunque abbia la sventura di guardarla muore sul colpo. O probabilmente, se è maschio, per l’invidia.
IL DRAGO DI MONTEFUSCO
Secondo una leggenda in provincia di Avellino, località Montefusco, un feroce drago abitava nei boschi circostanti. La creatura terrorizzava i paesi limitrofi con le sue malefatte, ma nel 1421 venne sfidato da un nobiluomo, un certo Antonello Castiglione, che lo avrebbe combattuto con il solo ausilio di una spada e del suo destriero. Oltre a schivare i colpi della bestia, l’avventuriero doveva prestare attenzione ai miasmi del bosco, ormai infestato. Infine riuscì a dare il colpo di grazia al drago, che fu trasportato a Montefusco ed esposto nella pubblica piazza. Purtroppo Antonello Castiglione morì poco dopo, avvelenato dall’aria putrida che aveva respirato. Pare che alcuni documenti depositati nella Curia di Benevento, dove è riportato lo stemma dei Castiglione, sostengano l’attendibilità dell’evento. Fino al XIX secolo era solita tenersi una processione a Montefusco in onore dell’eroe.
LA SIRENA PARTENOPE
Solitamente il vocabolo “partenopeo” è usato per identificare i soggetti residenti o originari di Napoli. Il termine deriva dal nome di una sirena, Partenope, che fu sepolta dove sorge (indicativamente) l’attuale capoluogo campano. Secondo la leggenda, Partenope era così bella da mettersi in competizione con Venere stessa. Al pari delle sue simili, era un’ammaliatrice, e attirava i marinai con il suo canto per poi portarli alla morte. Arrivò infine Ulisse, navigatore astuto, che si fece incatenare all’albero maestro della sua nave per non cedere alle lusinghe della creatura. Partenope, fallita la missione, si innamorò di lui, al punto da suicidarsi. Il suo corpo venne trasportato dalle correnti marine presso le rive della penisola italica, dove venne fondata la città di Partenope. Più avanti il centro abitato venne distrutto dai Cumani e al suo posto sorse Neapolis. Il nome non vi ricorda qualcosa?
La gitarella nel Mezzogiorno ci ha regalato un turbine variopinto di emozioni, dimostrandosi imprevedibile: non solo astuti spiritelli, ma anche draghi in agguato nelle foreste e spiriti senza pace, per non parare di fattucchiere che è meglio non indispettire. Alcuni dei mostri incarnano la rinomata ironia degli abitanti del posto, a riprova di una fantasia che amalgama vizi e virtù. Se non siete ancora sazi di emozioni, vi invitiamo a consultare la nostra intera lista di Bestiari. Se siete del posto o avete succose informazioni su qualche creatura meritevole, avvisateci il prima possibile e vedremo di allargare ulteriormente la lista!

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