Recensione della prima serie tv olandese targata Netflix. Un horror drama da non perdere.
di Carlo Neviani
Una giovane universitaria di Amsterdam si unisce a una società studentesca, subisce un’iniziazione con alcuni atti di nonnismo, apparentemente innocui, e instaura una relazione con un membro della società che, in seguito, la violenta. Lei reagisce con un suicidio visivamente estremo davanti agli occhi di tutta la confraternita, recidendosi gli occhi e lacerandosi la gola con un paio di forbici. Questi sono i primi 3 minuti, il prologo, di Ares, prima produzione seriale Netflix olandese. Se vi affascina il mondo delle confraternite esclusive, delle società segrete simili a sette un po’ alla Eyes Wide Shut, e allo stesso modo non vi spaventa (anzi, vi risulta intrigante) addentrarvi in un’atmosfera di mistero che non risparmia efferatezze potenzialmente disturbanti… Beh, Ares è quello che fa per voi.
La serie segue le vicende di Rosa, una ragazza mulatta (particolare che per una volta è importante alla simbologia nella storia e non unicamente per diversificare le etnie del cast) che studia medicina nella capitale dei Paesi Bassi. Una tipa ambiziosa, che viene da un contesto famigliare medio-basso, con una madre in depressione a cui deve badare, dal momento che il padre è costantemente impegnato in turni notturni come infermiere. Rosa ha un amico abbastanza sfigato, Jacob, che casualmente (almeno così sembra) la introduce tra i novizi di una società esclusiva: Ares. Alquanto incuriosita da questo gruppo di individui, si unirà a loro senza troppi ripensamenti, nonostante i rimproveri dell’amico. Come biasimarla? I membri di Ares sono cool, sempre vestiti di classe, e frequentano luoghi “fighetti” ed elitari.
Per fare un esempio, il primissimo incontro è una cena nel Rijksmuseum, un luogo che, se non siete pratici di Amsterdam, è secondo di fama solo ai coffee shop e al red light district. Nel museo, Rosa apprende che Ares è una società molto potente e con radici antichissime: i suoi fondatori erano gli uomini di potere del Secolo d’oro dei Paesi Bassi, periodo di massima ricchezza e fama della nazione europea, soprattutto grazie al colonialismo. Sempre nel museo, a Rosa verrà spiegato il significato allegorico di un quadro, Il cigno minacciato di Jan Asselyn. Una scena apparentemente secondaria, che in realtà risulta fondamentale per la lettura di tutto ciò che avverrà dopo: Ares è un prodotto fortemente metaforico, che tassello dopo tassello svela la chiave di interpretazione socio-politica di quanto raccontato.
Nonostante l’allegoria della serie sia di facile comprensione, il bello di Ares è come gli showrunner abbiano eliminato qualsiasi spiegone o passaggio narrativo chiarificatore, scegliendo un approccio radicalmente diverso, ad esempio, dal recente successo Netflix Il buco (qui la nostra recensione), dove il regista sembra voler urlare in faccia a qualsiasi spettatore il significato univoco del film. Ecco, qui non avviene nulla di tutto ciò: la serie “lascia respirare” la messa in scena che affascina, sorprende e spesso confonde come nei migliori puzzle game movie, fino all’ultimo episodio che ci mostra (sempre con cauta esposizione) il quadro completo. Il risultato è un effetto di spaesamento e progressive situazioni fucked up che ci calano nei panni della protagonista. Soggiogata dal mondo patinato della società, Rosa si abitua in fretta alla nuova vita fatta di ambienti lussuosi, bellissime scenografie di ambienti classici illuminati con a tubi led molto alla moda, in cui hanno luogo iniziazioni inquietanti (che ricordano Kingsman – Secret Service) e party eleganti con il giusto apporto di sesso e droga. Anche il look di Rosa cambia, diventando l’emblema dell’ottimo livello esecutivo in ogni reparto tecnico creativo, così i suoi capelli crespi spariscono in acconciature distinte e i suoi abiti da hipsterina lasciano spazio alle divise signorili di colore blu.
Più si procede nella storia più si susseguono episodi angoscianti: suicidi inspiegabili e violentissimi, visioni di una creatura mostruosa, Beal, nascosta nei sotterranei della sede Ares, e soprattutto, sboccate di roba nera. Cosa? Sì avete letto bene, i membri della società, e presto anche la protagonista, ogni tanto vomitano una sostanza nera. Cos’è questa sostanza? A voi scoprirlo. Un piccolo indizio ci viene fornito dalle azioni di Rosa, che nonostante gli eventi macabri rimane fedele ad Ares, schiava del suo nuovo ruolo sociale. Il potere è bello, ma ha sempre un prezzo. E cosa rappresenta il mostro Beal? Una figura simil umana, in catene, totalmente ricoperta di liquido nero. C’è forse un legame tra la sostanza espulsa dai membri di Ares e questa creatura? È lei la mente dietro i suicidi? Ci fermiamo qui.
Nella speranza di aver incuriosito e stimolato chi sta leggendo, suppongo di dover far fronte alla domanda: se è così figo perché molti l’hanno snobbato e i punteggi su IMDb e altri portali sono medio-bassi? Prima di tutto, non è una serie per tutti. C’è chi semplicemente non è appassionato al genere, lo trova troppo tetro e violento. Altri che, lo dico senza mezzi termini, non ci hanno capito una mazza. Chiaramente, se non ci si impegna attivamente nella decifrazione metaforica, il contenuto risulta povero. L’altro motivo è che Ares non fa nulla di ciò che solitamente appassiona in una serie. I personaggi secondari sono infatti scarsamente caratterizzati, c’è poco melodramma in stile teen, molto meno di quanto ci si aspetterebbe da un contesto simil-confraternita studentesca.
Difficilmente ci affezioniamo ai membri di Ares, con il risultato che le loro morti in scena risultano sterili. Tutto questo ha un perché: Ares assomiglia più ad un film di 4 ore, diviso in 8 parti, che ad una serie tv. Tutti gli eventi hanno il fine di dare completezza all’arco narrativo della protagonista, e ci riescono con ottimi risultati, senza la pretesa di instaurare un legame indissolubile tra spettatori e attori che vada avanti per tante stagioni. Noi ci auguriamo che la serie possa proseguire con una seconda stagione, magari ripartendo dalle mancanze elencate, o che comunque i creatori Pieter Kuijpers, Iris Otten e Sander van Meurs abbiano l’opportunità di raccontare nuove storie inedite con un tono di mistero che sappia catturarci come ha fatto questa.