IL BUCO – Chi guiderà la prossima rivoluzione sociale?

Nelle scorse settimane è stato distribuito su Netflix il film spagnolo Il Buco, una disturbante e grottesca critica della società moderna. Questa è una possibile analisi del film.

di Cristiano Bolla 

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Una delle fantasie in grado di smuovere chiunque abbia interesse a raccontare storie e metterle in video (dai grandi cineasti agli aspiranti filmmaker) è quella di elaborare una sprezzante e cinica critica della società moderna. Così comoda e così criticata: consumi, opulenza, disinteresse di classe, lussi e contraddizioni. Tutti temi propri di un particolare tipo di cinema sociale che trovano perfetto sfogo nel film El Hoyo, italianizzato con Il Buco, del regista basco Galder Gaztelu-Urrutia Munitxa.

Il film, distribuito da Netflix e tra i più visti di questo periodo di quarantena forzata, è un’enorme e sfaccettata allegoria del capitalismo e dei suoi meccanismi. Altri grandi registi si sono cimentati in questo tipo di sguardo: in Mother!, per esempio, Darren Aronofsky ha raccontato il rapporto uomo-natura con un enorme allegoria biblica di non facilissima lettura. Più semplice e più immediatamente accostabile per le tematiche a Il Buco, è invece Snowpiercer del fresco vincitore dell’Oscar Bong Joon-ho. Infine, l’ambientazione horror e claustrofobica non può che ricordare il cult Cube di Vincenzo Natali. Ma quale allegoria ha scelto Il Buco per criticare la società moderna? 

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Da un punto di vista squisitamente narrativo, il film racconta di Goreng, un uomo che sceglie volontariamente di farsi rinchiudere in una struttura chiamata “La Fossa”. Questa si compone di sterminati livelli abitati da 2 ospiti/prigionieri: ogni livello è una stanza con un buco al centro che affaccia sui piani superiori o inferiori, senza che se ne veda la fine. Ogni giorno nel buco viene calata una piattaforma piena di cibo. Va da sé che i piani superiori mangiano di più, mentre chi sta in basso sempre meno, fino alla fame. Ogni mese gli sfortunati ospiti vengono riassegnati casualmente in altri livelli: ci si può ritrovare più in basso o più in alto. Goreng però decide di ribellarsi a questo sistema e cerca il modo per romperlo.

È il momento del disclaimer: questa non è una recensione, è un’analisi del film Il Buco. Quindi * ALLERTA SPOILER * da questo momento in poi. Avvisati.

La prima chiave di lettura del film è quella più semplice e immediata: la Fossa rappresenta la società moderna, il mondo capitalista (turbo, direbbe Fusaro). Per questo motivo è strutturata a livelli/classi sociali. I piani alti, i più ricchi, mangiano quanto vogliono, chi sta più in basso si accontenta degli avanzi e spesso non arrivano neppure quelli. Chiaro e semplice, al limite del didascalico, ma ci sono tanti elementi nello sviluppo che elaborano questa allegoria.

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Si limitasse solo a questo, Il Buco sarebbe un compitino molto semplice. Quello che fa invece è lanciare una suggestione, un what if narrativo che non è banale come può sembrare. Il film infatti si domanda: cosa succederebbe se un idealista che è stato nei livelli più in basso, tornasse poi in alto? Nella pratica: cosa succede alla mente e alle volontà di un uomo come Goreng dopo aver patito la fame, aver ceduto al cannibalismo e poi essere tornato fino nei primi livelli? Nella realtà è difficile che ciò avvenga, per questo il film immagina che Goreng decida di dar vita ad una ristretta rivoluzione sociale, di rompere il sistema della Fossa. O, per meglio dire, assecondare lo scopo per cui è nata.

Benché ci siano sia ospiti volontari che prigionieri, infatti, la Fossa ufficialmente è un Centro di Solidarietà Spontanea. Il principio, anche qui di facile lettura, è che se tutti mangiassero solo quello di cui hanno bisogno, ci sarebbe cibo per tutti i livelli. Ma così non è: la riprova è che nel mondo c’è un terrificante squilibrio tra ricchezza e povertà. Goreng allora intraprende la sua personale rivoluzione. Qui arrivano scelte interessanti che forniscono molto materiale di riflessione.

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Il Buco a questo punto diventa molto diverso da Snowpiercer. Nel film di Bong Joon-Ho la società di classe è sviluppata in senso orizzontale lungo un treno: la Coda si ribella e punta alla conquista della Locomotiva, per poi scoprire che questa però collaborava segretamente con gli ultimi vagoni per mantenere uno status quo sociale. Perché i primi siano primi, qualcuno deve essere ultimo, era il senso di quel treno (prima che saltasse per aria, almeno). Nel Buco invece accade qualcosa di opposto: la fluidità sociale, che rappresenta nient’altro che l’estrema casualità del posto in cui si viene al mondo, è un pretesto per farci mettere nei panni degli altri. Goreng ha patito la fame al livello 202, quindi è risalito all’opulento livello 6. E qui, quando potrebbe ingozzarsi per un mese, decide invece di agire. Non salendo in cima, ma scendendo.

La rivoluzione sociale che immagina lo sceneggiatore David Desola non parte dal basso, ma dall’alto. Non di meno però viene portata avanti in modo tutt’altro che pacifico (nonostante i primi tentativi). Cosa può significare questo? Una possibile lettura è che l’unica rivoluzione sociale possibile al giorno d’oggi dovrebbe partire dai ricchi, che dovrebbero però imporla con feroce violenza reazionaria, instaurando una dittatura di stampo comunista. Cosa che provano a fare i protagonisti, imponendo 1 giorno di digiuno a tutti, per far sì che il cibo arrivi in fondo. Questo perché pur scendendo, i livelli più in basso sono comunque più in alto rispetto ad altri e il meccanismo di solidarietà spontanea non potrà mai partire se tutti non accettano di lavorare in comunione per i livelli più in basso. Pura utopia sociale, chiaro. Ma quello che il film spinge a pensare sembra essere proprio questo. Interessante, tra l’altro, anche il fatto che chi si trova in alto è comunque spinto al suicidio, perché “una volta che non passi il tempo sperando ci sia qualcosa da mangiare, rimane solo la solitudine“.

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Il finale poi offre un ulteriore lettura. In fondo alla Fossa (livello 333) c’è una bambina. Poco importa come faccia a sopravvivere da sola lì in fondo, è un’allegoria: la bambina rappresenta il futuro, le nuove generazioni. Quindi il messaggio diventa ancora più chiaro e immediato: la solidarietà spontanea dovrebbe essere rivolta a dare una speranza per il futuro, a garantire che le prossime generazioni riescano a mangiare. La soluzione di Goreng è mettere la bambina sulla piattaforma, per mandarla su fino al Livello 0: in questo modo vedranno che qualcuno è sceso fino in basso per cambiare lo status quo e, idealmente, capiranno che il sistema è imperfetto (non dovrebbero esserci minori di 16 anni, infatti).

Goreng scende fino nell’abisso poco prima che la bambina risalga. Da idealista qual è, lascia che sia il messaggio a parlare per sé, senza ergersi a suo portatore. Per tutta la discesa, molti lo perculano chiamandolo Messia e lui sul finale si smarca da questa definizione: ciò che conta è il messaggio. È anche vero però che la croce senza Cristo non ha la stessa efficacia, ma qui si parla di messaggio sociale, non spirituale. Basti pensare a Greta Thunberg: chi si concentra su di lei, non vede il messaggio. C’è un altro dettaglio però che fa ben capire chi sia in realtà Goreng e cosa stia cercando di fare.

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Nella Fossa ogni ospite/prigioniero può portare solo un oggetto. C’è chi sceglie una corda, chi una tavola da surf, chi una katana (col senno di poi vince lui). Goreng invece sceglie di portare il Don Chisciotte, celebre romanzo di Miguel de Cervantes Saavedra. 400 anni dopo, Don Chisciotte è ancora ricordato come l’uomo che lotta contro i mulini a vento, l’idealista che combatte una battaglia invincibile. Un concetto che ben si adatta col tentativo di mostrare la società moderna in tutte le sue spietate contraddizioni.

Ci sono altri 2 elementi che vale la pena sottolineare: il primo è la figura di Miharu, una donna che ogni mese scende tutti i livelli in cerca di un ipotetico figlio, ma sulla strada cede alla furia omicida. Miharu potrebbe simboleggiare la maternità, universalmente associata a concetti di altruismo e amore. L’altro elemento è il bassotto che un ospite (che lavorava per il Centro stesso) porta con sé nella Fossa: nell’allegoria proposta, questo sembra significare che il sistema di classe della società moderna ha fagocitato in sé anche gli animali, che come noi sono costretti a lottare per sopravvivere, per mangiare.

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L’allegoria del Buco è sicuramente imperfetta, ora troppo utopica e ora troppo cinica, ma funziona e dà la possibilità di riflettere su certi temi. Una delle critiche che gli possono venire mosse è: perché nessun altro ha mai pensato prima di scendere fino in fondo per poi usare la piattaforma per risalire? Ma forse anche in questo caso la risposta può essere semplice.

Perché nessuno ci ha mai pensato. Perché spesso il mondo sembra pieno di persone che vivono solo il loro livello e si arrendono ad esso. Niente più, niente meno.

Voi avreste il coraggio di lasciare il vostro livello per scendere fino in fondo, per cercare di fare la cosa giusta e dare il via ad una rivoluzione sociale che parta dall’alto? E non riuscendoci con le buone, accettereste di usare lo stesso grado di violenza? Tutte domande interessanti, profonde quanto la Fossa stessa.

Un commento Aggiungi il tuo

  1. The Butcher ha detto:

    Una storia che anche se non è originale riesce a mettere in campo delle tematiche interessanti e in un modo anche intelligente. Ha qualche difettuccio ma è comunque un ottimo film quello che Netflix ha distribuito.

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