Ecco a voi le creature fantastiche dell’immaginario molisano.
di Matteo Berta, Alessandro Sivieri e Giovanni Siclari
Bentornati nelle pagine del Bestiario d’Italia! Agli abitanti di Internet piace scherzare affermando che il Molise non esista, ma a giudicare dal suo pantheon folkloristico, bisogna ammettere che questa regione ha radici solidissime. Situato nell’Italia centro-meridionale, è diviso tra la dorsale appenninica e il Mare Adriatico. Il suo territorio è in prevalenza collinare ed è solcato da percorsi di erba battuta denominati “Tratturi“. Queste vie ancestrali venivano usate secoli fa per la transumanza delle greggi e sono un tesoro delle memorie contadine. Da ogni borgo e sentiero emergono le tracce di un passato misterioso.
Il mare e la montagna si incontrano in questa piccola regione che affonda le sue radici in una storia millenaria. Come abbiamo accennato poco fa, è facile imbattersi in castelli, abbazie, paesini e siti archeologici. Alcuni definiscono il Molise un “piccolo mondo antico”, dove riemergono i costumi e le credenze di una volta. Per esplorarne la dimensione favolesca, partiamo dalla leggenda del re Bove per arrivare a feroci draghi marini e ibridi uomo-animale che simboleggiano le forze della natura. Scoprirete che i litorali sabbiosi e le campagne molisane hanno mostruosità di prima scelta!
IL RE BOVE
Questo racconto parte da una delle più antiche chiese del Molise, cioè Santa Maria della Strada (provincia di Campobasso). Il protagonista è un re di nome Bove, innamorato follemente della propria sorella. Data la natura incestuosa della relazione, si rivolse al Papa per ottenere il permesso di sposarla. Il Papa rispose che avrebbe benedetto l’unione solo se Bove fosse riuscito a edificare, in una sola notte, cento chiese di forma e grandezza ben determinate e che fossero visibili l’una dall’altra. Un progetto talmente impossibile che il sovrano, disperato, si rivolse al Demonio affinché lo aiutasse. Il Diavolo si disse disponibile, chiedendo in cambio l’anima del re.
La notte seguente, i due lavorarono ardentemente per costruire le chiese: mentre il Demonio faceva ruzzolare dal monte i macigni, re Bove li poneva uno sopra l’altro. Arrivarono all’alba con novantanove chiese edificate, ma prima di terminare la centesima, il sovrano provò un profondo pentimento e pregò Dio per ottenere perdono. Il Diavolo, adirato per il tempo buttato via e per la nullità del patto, scagliò un masso contro l’ultima chiesa in costruzione, quella di Santa Maria della Strada. Venne colpito il campanile, mentre il masso rimbalzò a poca distanza dall’edificio. Quest’ultimo è visibile tutt’oggi e viene chiamato “il masso del diavolo”.
Alla sua morte, re Bove venne sepolto proprio nella chiesa di Santa Maria della Strada. La leggenda vuole che solo sette edifici siano sopravvissuti nel tempo: Santa Maria di Monteverde, Maria Santissima Assunta di Ferrazzano, San Leonardo di Campobasso, Santa Maria di Cercemaggiore, Santa Maria della Strada e la cattedrale di Volturara Appula. Restano ignoti il nome e l’ubicazione della settima. Nell’iconografia sacra il re Bove viene rappresentato proprio con fattezze bovine, forse perché questo animale ha sempre goduto di un ruolo importante nell’immaginario spirituale, accostandosi al sovrano, la figura più alta della società. L’arte medievale ci ha lasciato diverse teste di toro scolpite in varie chiese del Molise, a riprova del suo valore simbolico.
LANDORO
Protagonista di questa leggenda, diffusa anche in Abruzzo, è Landoro, un enorme drago con occhi grandi come carri. Esso regnava sulla superficie del mare, sibilando ed emettendo getti di fuoco. Tutti lo sentivano dalla costa, ma erano i tempi in cui non esistevano ancora barche e nessun pescatore aveva il coraggio di affrontarlo. Vi era una bella fanciulla bionda di nome Lada, che trascorreva le giornate sul litorale marino a sognare di volare come i gabbiani. Un giorno le spuntarono davvero le ali e si alzò in volo sulle onde, cantando. Mentre era sospesa in aria abbassò lo sguardo e scorse Landoro, con i suoi occhi giganteschi. La ragazza ne fu spaventata e attratta al contempo, ma per sua fortuna il mostro non parve interessato a lei e si inabissò. Lada fece ritorno alla costa, giurando di non sorvolare più il mare.
Una volta al sicuro si mise a piangere, quando sentì una voce che le chiedeva il perché di tanta disperazione. Voltandosi si trovò faccia a faccia con un bel giovane e gli raccontò della sua sventura. Dopo averla ascoltata, il ragazzo disse che quelle ali erano un dono divino e si offrì di uccidere il drago per permetterle di volare. Il nome di costui era Geri, figlio della Quercia e del Vento. Brandendo un pugnale, si diresse verso Landoro mentre Lada dormiva. All’alba Geri fece ritorno e disse alla fanciulla di aver ucciso il mostro. Raccontò di come lo aveva trafitto tra le onde, ma la felicità della coppia durò poco. La morte stessa, alleata di Landoro, si diffuse ovunque: l’aria divenne satura e irrespirabile, i gabbiani fuggirono e i pesci morirono. Anche gli abitanti del litorale, inclusi Lada e Geri, perirono per la vendetta del drago. Solo dopo tanti anni la vita tornò sulla costa grazie a un piccolo fiore, i cui petali sparsi divennero esseri viventi.
GLI SPIRITI DI PALAZZO NUONNO
Nell’antica cittadina di Agnone, situata nell’Alto Molise, sorge il famoso Palazzo Nuonno. Originariamente conosciuto come il Palazzo dei Conti Minutolo, fu costruito da Garibaldi tra il 1100 e il 1200. Si dice che sia la dimora di fantasmi e spiriti maligni. Fino al 1796 era abitato dalla famiglia dei Colucci, predecessori dei Nuonno. Secondo la leggenda furono i primi ad abbandonare l’edificio, proprio perché infestato. I Nuonno, all’oscuro della cosa, ne acquisirono la proprietà, salvo poi scappare a loro volta per disperazione. Il palazzo, senza un vero padrone, venne lasciato al proprio destino, arrivando integro ai giorni nostri. Nessuno sa chi o cosa si nasconda realmente al suo interno. Oggi è dotato di una targa, voluta dallo stesso Comune e dall’Ente Provinciale per il Turismo, che lo definisce “palazzo dei fantasmi”.
Si dice che in tempi lontani la struttura abbia ospitato orge e riti satanici con dodici coppie fisse. Entro la mezzanotte compariva la tredicesima coppia, quella del Diavolo. Una notte il pavimento cedette e tutti i presenti morirono, per poi ricomparire negli anni in forma di spettri. Il palazzo si trovava anche in mezzo a un convento di suore e uno di frati, collegandoli grazie a una galleria. Proprio nel Convento delle Suore di Santa Chiara furono rinvenuti i resti di tantissimi feti, probabile frutto di rapporti clandestini. Tutt’oggi vi sono testimonianze di strani avvenimenti nell’edificio.
La gente del luogo afferma di sentire urla, passi di danza e musiche. Si parla addirittura di una carrozza fantasma avvistata nelle vicinanze. Non molto tempo fa alcuni utenti di Facebook discussero di una foto amatoriale che ritraeva una sagoma dietro le finestre, che in realtà sono murate. Di recente Palazzo Nuonno è diventato una meta promettente per i turisti dell’occulto.
PAOLACCIO E I PESCI DEL DIAVOLO
Si racconta di un vagabondo di nome Paolaccio, che non aveva né casa né amici. Egli non tentava nemmeno di procurarsi un lavoro e ed era disprezzato da tutti, poiché trascorreva il tempo a imprecare e a offendere i passanti. Pareva che nei suoi occhi ardesse una luce cattiva. Un giorno, mentre dormiva in un campo nei pressi di Termoli, venne svegliato da una voce che lo chiamava per nome. Era il Diavolo in persona, che gli propose di renderlo ricco in cambio della sua anima. Paolaccio accettò e il Diavolo disse che gli avrebbe fatto pescare dei pesci bianchi e rosei, che inghiottivano i tesori accumulati nelle navi sommerse. Il vagabondo si procurò immediatamente una rete e andò verso gli scogli, immergendola e recitando una litania.
Pescò un’infinità di pesci pesantissimi e, aprendoli, vi trovò dentro smeraldi, rubini, monete d’oro e ogni genere di ricchezza. Divenuto facoltoso, acquistò un palazzo principesco dove dava grandi feste. Si mostrava con tutti e si circondava di falsi amici che lo elogiavano solo per ottenere favori. Un giorno si presentò al palazzo un individuo macilento e vestito di stracci. Paolaccio riconobbe in lui il Diavolo e gli chiese che cosa volesse. Satana rispose che era lì per reclamare la sua anima e, in un istante, l’edificio venne scosso da un boato mentre Paolaccio cadeva morto. Alcuni pescatori affermano che i pesci biancorosei esistano davvero ma che non sia saggio pescarli, poiché sono creature del Demonio e portano sventura. Bisogna quindi accontentarsi di guardarli da lontano.
L’UOMO CERVO
Di grande fascino è l’antico rito molisano dell’Uomo Cervo, detto anche Gl’Cierv. A Castelnuovo di Volturno, ogni anno, si tiene il cosiddetto Carnevale dell’Uomo Cervo, che si ispira ai Lupercalia romani e che prevede una sfilata di maschere, le quali rappresentano le immortali forze della natura. Avvolto da una pelliccia scura, ornato da grandi palchi di corna e legato a dei campanacci, l’Uomo Cervo scorrazza per il paese, sfogando la sua furia e inseguendo la folla. Spesso viene accompagnato da una dama, anch’essa cornuta. Il personaggio recita la sua suggestiva pantomima, illuminato dalle fiaccole e sostenuto dal rullo dei tamburi.
Il rituale, che simboleggia la sconfitta dell’inverno per aprire la strada alla primavera, culmina con l’arrivo di un cacciatore-sciamano che uccide la bestia, per poi purificarla e riportarla in vita. Come per le feste dei Krampus nella catena alpina, si parla di un evento folkloristico che sublima la superstizione e la natura nella sua brutalità. Il protagonista è proprio un “mostro” in maschera dal notevole impatto estetico, che ha il compito di spaventare i presenti e di ricordare all’uomo che vi sono forze impossibili da domare. A tal proposito, non può che tornare in mente il Wendigo, creatura umanoide del folklore dei pellerossa con un cranio di cervo e un corpo scheletrico. Esso ha un profondo legame con la notte e i territori selvaggi. Tornando alla messa in scena nostrana, tutto si conclude in un ciclo eterno di morte e rinascita con il sacrificio dell’animale.
IL CANTONE DELLA FATA
Il Cantone della Fata non è altro che una grande roccia situata sul lato nord dell’affascinante Castello d’Evoli, in provincia di Campobasso. La fortezza, di origini normanne, fu ristrutturata e abitata dalla famiglia d’Evoli. Pare che in epoca feudale vivesse nel paese di Castropignano una ragazza così bella da essere soprannominata “la fata”. Era promessa sposa di un giovane del luogo, ma a quei tempi vigeva la pratica dello ius primae noctis, in virtù del quale il nobile che amministrava quelle terre aveva il diritto di trascorrere la prima notte di nozze con le mogli dei suoi sudditi.
Non volendo sottomettersi a questa barbarie, la fata si diede alla fuga, per poi lanciarsi nel vuoto proprio dalla leggendaria roccia. Pare che in quel punto compaia tutt’oggi il fantasma della ragazza. Testimoni sostengono che nelle notti di luna piena la fanciulla chiami ancora il suo amato. A volte compare il suo corpo spettrale, trasportato dalle fate dei boschi circostanti.
L’UOMO ORSO DI JELSI
Dopo l’Uomo Cervo non poteva mancare l’Uomo Orso! Siamo sempre nel periodo del Carnevale, precisamente il 12 marzo. La cittadina di Jelsi, in provincia di Campobasso, fu un luogo di cacciatori già nella preistoria, come dimostrano alcuni reperti. Questo legame con le bestie selvatiche prende vita con il Ballo dell’Uomo Orso (U ‘Ball dell’Urz), che si colloca tra i riti propiziatori per il passaggio dall’inverno alla primavera. Una cerimonia di rinascita e di fertilità, tipica del mondo contadino, oltre che di espiazione: si sacrifica un individuo per mondare la comunità di tutti i peccati.
Interrotto durante la Seconda guerra mondiale, questo evento è risorto negli ultimi decenni, diventando più complesso e spettacolare: la tradizione prevede una pantomima dove un orso feroce viene sottomesso da un coraggioso domatore e messo in catene. L’animale viene costretto a danzare per le vie del paese e minacciato con un bastone. Gli abitanti di Jelsi danzano in cerchio intorno agli attori, vestiti con abiti tipici. I passi di danza della bestia sono accompagnati da un gruppo di musicisti. Altri figuranti cantano un testo in rima che riassume la vicenda dell’orso.
LA MALOMBRA
Un essere perfido e dalle fattezze poco rassicuranti, diffuso anche nelle regioni limitrofe. Il passatempo di questo spettro è mettersi sul petto dei dormienti, bloccandone il respiro fino a ucciderli. Questo modus operandi accomuna la Malombra ad alcuni folletti e spiritelli delle terre italiche. Più che dispettosa, questa entità è davvero crudele e vive in prossimità delle case. Porta sfortuna e si rende responsabile di una serie di incidenti domestici. Vi sono dei modi per bloccarla, tra cui la famigerata scopa fuori dalla porta, che ha la medesima utilità contro certe tipologie di streghe. La Malombra si attarda a contare i fili di paglia fino al sorgere dell’alba, che ne annulla il potere. Un altro metodo è lasciare delle forbici vicino al letto, per difendersi nel caso le sue dita immonde vi stringano la gola.
Scampati alle grinfie degli spiriti adirati e delle belve diaboliche, possiamo tirare un sospiro di sollievo e goderci i lidi assolati. L’inventario mostrifero del Molise non si limita certo a questo, poiché ha delle creature in comune con le altre località del Mezzogiorno, tra cui il Mazzamurello e il Serpente Regolo, per non parlare delle Janare, streghe originarie della Campania e dedite al rapimento dei bambini. Rinnoviamo l’invito a seguirci in vista del prossimo compendio di mostruosità italiche. Nell’attesa fatevi un giro nel nostro elenco di Bestiari!

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Salve, volevo innanzitutto fare i complimenti per questo bestiario perchè è veramente molto bello ed interessante. L’unico appunto che vorrei fare è sulla questione del Wendigo nominato nella leggenda dell’Uomo Cervo. Ultimamente su internet girano storie ed illustrazioni del Wendigo con corna, una facia da cervo ed il corpo scheletrico, ma sono delle rappresentazioni sbagliate. Nelle vere leggende dei Nativi delle Pianure, situati nell’ordierno Canada, il Wendigo era principalmente uno spirito dal cuore congelato, che portava gelo e carestie nei villagi, spingendo le persone al cannibalismo. Una volta compiuto questo atto orrendo, la persona sarebbe stata “posseduta” dallo spirito del Wendigo, maledicendola ad una vita di costante fame insaziabile. Le poche alterazioni fisiche riportate nelle storie, parlano unicamente di arti molto lunghi e di un aumento della grandezza del corpo in base alla quantità di cibo consumato, ma, a tutti gli effetti, i Nativi presentavano il Wendigo come una figura completamente umanoide, salvo gli evidenti segni di denutrizione estremi ed appunto questa grandezza fisica. Una figura che invece è effettivamente rappresentata con palchi è lo Skinwalker, ovvero streghe della cultura Navajo (situati nella odierna Appalchia), capaci di cambiare forma indossando pelli di animali. Per i Navajo era proibito possedere pelli di lupi o orsi proprio per evitare di dare possibilità agli Skinwalker di potersi traformare in creature troppo forti, e che quindi dovevano ripiegare su creature più deboli come cervi e conigli. Nelle leggende viene detto che uno Skinwalker traformato si può distinguere perchè hanno l’aspetto di un animale “composto” male, con giunture anomale e proporzioni surreali.
Ci tenevo a fare questo appunto perchè le vostre descrizioni sono molto precise e questo punto viene sbagliato da molti, data le eccessive informazioni sbagliate online.
Nuovamente complimenti per il lavoro ed una buona giornata.