Jennifer Connelly signora delle mosche nella disturbante opera di Dario Argento.
di Alessandro Sivieri
Le alpi svizzere fuori Zurigo sembrano un luogo da favola, fuori dal mondo. Valli pacifiche dove vive gente cordiale e riservata, dove la notizia più eccezionale del mese è una vacca che partorisce. Chi si aspetterebbe mai che una giovane turista danese (interpretata da Fiore Argento, figlia del regista) venga brutalmente ammazzata da un killer incatenato in una baita isolata? Esaurito il brutale prologo, Jennifer Connelly piglia un taxi ed è subito Suspiria.
Dopo la parentesi gialla di Tenebre, il Darione nazionale torna in quella tipologia di horror sovrannaturale dove si trova parecchio a suo agio. La prima parte ha degli elementi in comune con il capostipite della Trilogia delle Madri: Jennifer Corvino, studentessa straniera e alquanto timida, viene spedita in un collegio femminile dove iniziano a verificarsi eventi inquietanti. La Connelly ruba la scena con il suo viso di porcellana e la sua fisicità di transizione: ha 15 anni ed è a metà strada tra la bambina e la donna. Le sue turbe adolescenziali (la crescita, i cambiamenti del corpo, la formazione dell’identità) e il suo dono speciale la rendono il perfetto pesce fuor d’acqua, che rimane invischiato in una vicenda oscura.
In cosa consiste il suo potere? La comunicazione telepatica con gli insetti, una forte affinità con quelle forze della natura che l’essere umano medio, specie se maturo, tende a ignorare. Jennifer è anche sonnambula, cosa che la porta a mettersi nei guai. Mentre cammina sul cornicione del collegio, in uno stato di dormiveglia, assiste all’omicidio di una ragazza e suo malgrado intravede l’assassino. Da qui scatta la sua voglia di indagare sulla faccenda, con l’aiuto dell’entomologo John McGregor (un ottimo Donald Pleasence). Mentre si avvicina a tentoni alla verità, Jennifer viene presa di mira dalle altre studentesse, dalla direttrice dell’istituto e dal killer stesso.
Argento non è mai stato un fenomeno nella scrittura e nella gestione degli attori. La sua forza risiede nell’inanellare con facilità sequenze oniriche e potenti, sorrette da una grande cura scenografica e dalla sperimentazione visiva. Ecco che durante le fughe notturne, la soggettiva di Jennifer ci mostra un mondo illuminato a giorno, quasi in negativo, proprio come lo vede il suo cervello dormiente. I suoi vagabondaggi sognanti nelle foreste (anche qui la metafora dell’ingresso nell’età adulta) sono accompagnati da musica metal, inclusi gli Iron Maiden e i Motörhead, oltre al mirabile lavoro di Claudio Simonetti.
Il regista non risparmia alcuna sofferenza alla giovane protagonista, incluso un bagno in una vasca di cadaveri. Eppure la sua purezza d’animo non viene scalfita dagli eventi terribili che le accadono intorno, perché lei è diversa. Il tema degli emarginati è centrale nel pensiero argentiano, insieme a quello della malattia mentale, della deformità e di una declinazione perversa dei modelli sociali e familiari. Jennifer ha delle capacità che gli altri non comprendono ed è perfino in grado di scatenare invasioni di mosche, cosa che la renderebbe un candidato ideale per la scuola di mutanti del Professor Xavier. Proprio gli insetti, guardati con disgusto dalla gente comune, assumono una valenza positiva, ergendosi ad aiutanti “magici” della ragazza.
Tra mutilazioni, cadaveri putrescenti e bambini mostruosi, non ci viene nascosto davvero nulla, creando un gustoso contrasto con il candore della Connelly. Immancabili gli effetti speciali artigianali, concepiti da Sergio Stivaletti e da Luigi Cozzi, storico amico di Argento. Tra gli espedienti più caserecci è da segnalare il caffè macinato per simulare un gigantesco sciame. Dario ha dichiarato più volte di considerare Phenomena il suo film preferito, e non possiamo dargli torto: al netto delle sbavature narrative, si tratta di una pellicola selvaggia e fuori dagli schemi, che ti lascia dentro qualcosa di etereo (salvo poi sbatterti in una piscina per necrofili). Peccato che da qui in poi avrà inizio l’inesorabile declino qualitativo del maestro.
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