Recensione del nuovo anime dedicato al re dei mostri, disponibile su Netflix. Godzilla: Punto di Singolarità è un mix tra complessità scientifica e grande intrattenimento.
di Matteo Berta
Tirate fuori le calcolatrici scientifiche e cominciate a far scoppiare i pop corn, il punto di singolarità potrebbe trovarsi proprio nel vostro forno a microonde. La nuova serie anime dedicata a Godzilla e prodotta anche da Netflix è ora disponibile sulla succitata piattaforma e si presenta come un prodotto sorprendente e anche abbastanza innovativo per il brand dedicato al re dei kaiju.
Non è semplice sintetizzare un giudizio chiaro a questa serie, fondamentalmente ci troviamo di fronte ad un contenuto che oscilla continuamente nello stato instabile del croce e delizia. I primi episodi ci fanno comprendere quanto questa storia sia coinvolgente e i personaggi si presentano con intelligenza e si creano subito delle affezioni con lo spettatore. Nel trascorrere degli episodi si comincia a pensare di conseguire una laurea breve in fisica solamente per comprendere il plot principale di questa storia e il finale ti scombussola talmente tanto da non capire se sei soddisfatto o semplicemente sei finito direttamente nell’iperuranio.
Curiosa e forse esagerata la scelta di voler costruire le fondamenta di queste botte mostrifere attraverso delle costituzioni narrative interamente basate su delle teorie scientifiche che prendono forma partendo da delle idee fantascientifiche. Se in alcuni frangenti la serie si rende conto di star parlando a semplici spettatori e non dottorandi sulla teoria delle stringhe, in altri episodi gli sceneggiatori si fanno prendere la mano e danno forma a una complessità che può portare lo spettatore a desistere dalla visione.
Godzilla: Punto di Singolarità si struttura su due binari cardini, da una parte abbiamo una sorta di A-Team di nerd che con il loro robottone (Jet Jaguar) si trova continuamente coinvolta in colluttazioni mostrifere in un mondo che sembra invaso da creature preistoriche del passato o del futuro o del purgatorio… lo scoprirete (forse) solamente vivendo. Dall’altra parte abbiamo un binario narrativo che segue le sue regole e si fossilizza sulla complessità prima citata. In questo binario scientifico abbiamo una ragazza protagonista che si trova in constante stato di ansia e alterazione per le scoperte relative al futuro del mondo che sembra ottenere in ogni sequenza a lei dedicata.
Il risultato è semplice: i due binari narrativi collassano tra di loro e lo spettatore si trova al centro di una marea creativa che parte da presupposti ed obbiettivi diversi, ma ti vuol far credere di farli confluire in uno scenario comune. Questa serie non è di certo equilibrata, qualche spiegone in più non avrebbe guastato e sarebbe stato d’obbligo una sorta di equilibrio tra il semplice intrattenimento con le botte da orbi e i pipponi scientifici.
I mostri di questa serie sanno mostrarsi in tutta la loro maestosità e rispecchiano lo spirito di entrambi i binari narrativi, dal momento che in alcune sequenze sanno essere grezzi e se vogliamo anche abbastanza ignoranti, ma in alcuni episodi si mostrano per ciò che sono: delle versioni più “scientificamente accurate” delle iconiche mostruosità della Toho. Il loro design è sicuramente interessante, le loro animazioni oscillano tra il fluido rapito a qualche “scattosità” di troppo, il tutto condito da delle texture che talvolta sembrano distorcere lo spazio-tempo attorno a loro, mostrando una sorta di granulosità e altre volte mostrano una bella alta definizione nei dettagli.
La serie è tendenzialmente ben curata esteticamente, si sceglie di andare in una logica rétro tralasciando la perfezione di alcuni scenari: spesso vengono trascurati con superficialità i background delle sequenze, ma non si ha mai la percezione di scarsa qualità grafica, il tutto è in funzione della storia “complessa” che si cerca di raccontare. La colonna sonora rispecchia anch’essa l’ambivalenza di questo prodotto: alcune scene sono commentate in modo estremamente funzionale, altre sequenze invece sono letteralmente disturbate da delle sonorità di fondo che risultano di difficile comprensione.
Godzilla: Singular Point è un punto di singolarità all’interno della saga di Godzilla. Ottima idea, ma forse è meglio che rimanga… una singolarità.
ma non si può fare un prodotto solo coi mostroni che devastano? si deve sempre rovinare tutto facendolo antropocentrico?
Penso che si abbastanza ostico costruire una trama interamente basata sui mostri, a meno che non si faccia una sorta di mockumentary, ma l’elemento umano credo sia fondamentale nella situazione mostrifera.
Matteo