Jurassic Park. Analisi semiotica del film.
Estratto dalla tesi di ricerca “Analisi del cinema di mostri di S.Spielberg come modello ed icona di un genere” di Matteo Berta
Buonasauro,
Fin dall’incipit capiamo che l’intervento dell’uomo sarà fatale per le sorti di questa storia. Degli operai del Jurassic Park, una delle più grandi idee commerciali di sempre, stanno trasportando un velociraptor in un container, ma per un errore di un operaio sbadato, l’animale riesce a crearsi una possibilità per uscire e nei numerosi tentativi di riportare l’ordine, l’uomo pagherà con la vita. In questa sequenza osserviamo che il regista, non vuole mostrarci subito i dinosauri (vera attrazione spettacolare della pellicola), ma si limita a farci sentire i versi selvaggi e a mostrarci un dettaglio dell’occhio. Notiamo un parallelo tra lo sguardo spaventato di un addetto ai lavori che urla “uccidetelo!” e lo sguardo calcolatore e feroce del raptor. A causa dell’incidente avvenuto nel prologo, John Hammond (il creatore del parco) sarà costretto a promuovere una visita di un gruppo di esperti che decideranno se avallare l’apertura del parco dei divertimenti. Uno di questi è Donald Gennaro che proprio nella sequenza successiva lo vediamo dialogare con un “minatore” intento nell’estrazione dell’ambra.
L’ambra è l’oggetto più emblematico del film. Quel piccolo accumulo di resina contiene una zanzara in grado di fornire DNA di dinosauro di 65 milioni di anni fa. La fantasia dello scrittore del libro da cui è tratto il film (anche co-sceneggiatore) non ha limiti e spesso viene supportata anche da grandi nozioni scientifiche, parliamo di M.Chrichton (anche sceneggiatore di E.R).
La prima mappa situazionale che possiamo creare è quella di una costruzione di un parco destinato a fallire per mano dell’uomo, per come ci viene proposto il prologo, ma per il momento sono solamente ipotesi, non abbiamo ancora idea della potenzialità di questo posto, dal momento che non ci è ancora data la possibilità di vedere le principali attrazioni. Dal Costa Rica assistiamo ad un salto spaziale che ci porta sul sito di scavi del professore paleontologo Alan Grant, protagonista del film, che assieme alla sua collaboratrice Ellie Sattler, vengono raggiunti dal grande imprenditore Hammond che li invita nel suo parco per avere un loro giudizio. Entrambi accettano inconsapevoli di ciò che vivranno di lì a poche ore.
Il montaggio del film ci alterna sequenze dove seguiamo i nostri eroi che si mettono in viaggio per il parco e una presunta trattativa nascosta e illegale tra uno sconosciuto finanziatore e un operatore informatico del Jurassic Park (Dennis Nedry). Oltre alle problematiche che sopraggiungeranno dal fatto che due specie (uomo e dinosauro) distanziate da milioni di anni, coesistano, la narrazione ci presenta un’ulteriore problema, quello dell’avidità dell’uomo che sarà motore scatenante della serie di sfortunati eventi. Assistiamo alle grandi attrazioni che Hammond non dimentica mai di esaltare con la frase “Qui non badiamo a spese” e ai mancamenti di Grant nel vedere davanti ai suoi occhi in modo concreto i suoi oggetti di studi teorici di tutta una vita. Emblematica l’inquadratura che lentamente si avvicina a lui che osserva incredulo al di fuori della camera, si tratta di una tecnica adottata da Spielberg in molti dei suoi film per enfatizzare la grandezza e la spettacolarità di ciò che sta al di là dello sguardo, qualcosa che solamente dopo qualche istante potremmo vedere, ma che ci viene anticipata dall’espressione di colui che guarda.
La frase del matematico Ian Malcom, presente alla visita con loro, è di fondamentale importanza, non solo per questo film, ma anche per il sequel dove tornerà come leitmotiv: “La vita vince sempre”, essa risuona come premonizione ad un futuro prossimo disastroso e come destino incontrollabile e ineluttabile dei processi naturali, che alla fine, trovano sempre un modo. La situazione è semplice: da una parte il gruppo di studiosi è dubbioso nei confronti delle conseguenze che potrebbe portare l’apertura al pubblico di un parco che violerebbe non solo le leggi naturali, ma entrerebbe di prepotenza in numerosi dibattiti sulla bioetica e dove si può spingere l’evoluzione scientifica (temi estremamente attuali), dall’altra parte abbiamo Gennaro, molto entusiasta per la potenzialità economica di quel posto.
Gli studiosi vengono raggiunti da due ragazzini (nipoti di Hammond) che saranno fondamentali per il processo di maturazione di Alan Grant che passerà da studioso solitario a figura paterna ed eroica. I motori che portano il ribaltamento devastante degli eventi sono essenzialmente due: il primo fa riferimento ad una accordo tra Nedry e delle spie commerciali che vogliono avere del materiale biologico del Jurassic Park con presunti scopi negativi, e l’altro si ricollega perfettamente alla frase premonitoria pronunciata da Malcom (Il matematico del “Caos”) in relazione al fatto che prima o poi la vita riesce a trovare una soluzione.
I dinosauri del Jurassic Park sono creati grazie alla combinazione genetica del DNA trovato nelle ambre e del materiale genetico di rospi. Alcune specie di anfibi presenti in natura, in situazioni di pericolo per la sopravvivenza della specie, possono cambiare sesso. I dinosauri del Jurassic Park erano tutti femmine appunto per avere un controllo sulle nascite, quindi per ragioni di sicurezza. Questo passaggio narrativo fondamentale è stato trascurato nella sceneggiatura del film, accantonandolo in poche battute di Grant. Nel libro di Chricton, questo evento viene rappresentato in un importante capitolo dove gli addetti ai lavori del parco notano il raddoppiamento delle specie sui loro computer.
Il goffo Nedry finirà divorato da un dilophosaurus non prima di aver causato un enorme danno al parco, disattivando molti sistemi di sicurezza, per portare a termine il suo losco piano. La scena della morte di Nedry viene enfatizzata da una soggettiva dell’animale che si avvicina a lui, ma l’omicidio non ci viene mostrato, vediamo solamente che l’automobile del malcapitato oscilla a causa della furia omicida dell’animale, entrato di nascosto nella vettura. Come in una tragedia greca, non vediamo la brutalità dell’azione, ma la percepiamo ugualmente.
La situazione si ribalta completamente dal momento che il controllo e le vanità di Hammond, lasciano spazio alla fragilità di un megalomane che anche nelle situazioni di pericolo, non sembra voler rinunciare al suo sogno; (“Avremo dei ritardi, anche Disneyland ha avuto dei ritardi prima di partire”) e si renderà conto solamente alla fine di ciò che ha comportato la creazione di quel posto, quando Grant dopo numerose peripezie gli dirà : “Ho deciso di non avallare il suo parco” e quindi il vecchio Hammond si ritirerà sull’elicottero osservando deluso l’ambra posta sul suo bastone da passeggio, in attesa del ritorno alla follia che troveremo nel sequel.
Facendo un piccolo passo indietro, notiamo una scena significativa che evoca numerose teorie filmiche che considerano il cinema (o meglio lo screen) come spazio liminare, come soglia su di un nuovo mondo. L’entrata del Jurassic Park è un enorme cancello in legno dove capeggia in alto il nome del parco.
I nostri eroi sono meravigliati da cotanta grandezza che simboleggia le manie di grandezza di Hammond. Il matematico Malcon esclama la frase : “Ma cosa ci tengono li dentro King Kong?” Oltre al chiaro riferimento ad uno dei mostri più famosi tra i Monster Movie, gli sceneggiatori vogliono creare grandi aspettative nello spettatore e la rappresentazione dell’ingresso è metafora di accesso in un mondo nuovo, ci si sta addentrando in un mondo perduto riportato in vita dagli uomini. Giunti di fronte al recinto del tirannosaurus rex, i protagonisti risultano delusi dal fatto che il grande predatore non si presenti ai loro occhi ed è in quel momento che i lavoratori del parco cercano di attirarlo fornendogli del cibo, ma l’animale non si presenta in ogni caso. Emblematica la frase che esclama Grant in quelle circostanze: “Il t-rex non accetta il cibo, lui vuole cacciare, non si può reprimere un istinto vecchio 65 milioni di anni”. Questa frase mette ancora una volta in risalto la pericolosità è l’incompatibilità del voler fare incontrare due mondi che la natura ha separato.
Il cortocircuito dovuto ad un temporale e dalle inadempienze dell’informatico Nedry, porterà al primo tragico evento. Il t-rex, accortosi dello spegnimento delle recinzioni elettrificate, sfonderà la sua prigione attaccando i nostri personaggi. Ritorna la metafora della soglia, l’animale attraversa il suo mondo ricostruito dagli uomini per invadere il mondo diretto degli uomini imponendo le proprie regole, le leggi della natura. Lo sfortunato avvocato Gennaro, unico d’accordo sull’apertura del parco per ragioni economiche, sarà il primo ad essere divorato dal grande predatore, mentre gli altri personaggi riusciranno a fuggire anche grazie agli atti eroici del nuovo professor Grant che si troverà nella situazione di dover salvare i due bambini. In uno dei rari momenti di pace nel susseguirsi di azioni avventurose e terrificanti, il professor Grant ammonisce la bambina che impaurita definisce i dinosauri come mostri: “Non sono mostri, sono solo animali”.
Nella parte centrale dello svolgimento, assistiamo a numerose scene al limite della sopravvivenza tra cui una scena impregnata di suspense, dove i due bambini si trovano ad affrontate una fuga all’interno di una cucina, inseguiti da tre raptor. All’interno di questa sequenza notiamo la maestria di Spielberg nel narrare gli inseguimenti, scegliendo inquadrature che narrino al meglio la situazione ansiogena, aiutato naturalmente dall’evocativa musica del maestro John Williams. Interessante notare come in una particolare scena, la bambina sfrutti uno specchio come diversivo per fuggire dal suo predatore. La sua immagine riflessa, confonde il raptor, ma soprattutto lo spettatore che teme per le sorti della bambina. La metafora della soglia torna nel momento in cui il montaggio alternato prima ci fa udire la frase di Ellie che dice a Grant una frase speranzosa “Se non hanno imparato ad aprire le porte…” riferita alle capacità dei raptor, e successivamente vediamo effettivamente un raptor che, nel desiderio di cacciare i bambini, appoggia una zampa sulla maniglia. I dinosauri oltre ad essere entrati nel mondo degli uomini, sembrano adattarsi. Per lo spettatore il fatto che un mostro si adatti nel proprio mondo, è sintomo di umanità del mostro e questo è spaventoso. La scena d’azione conclusiva si svolge nella hall del centro visitatori, dove i protagonisti per sfuggire ai raptor, si rifugiano sullo scheletro decorativo del t-rex. Quando la situazione sembra precipitare per il peggio, arriva proprio il grande predatore che diventa salvatore. Il grande t-rex uccide i raptor e impone la propria legge della natura, prevarica sul più debole. Emblematica la sequenza in cui il grande animale distrugge lo scheletro di un suo simile. Il mondo antico riproposto si scontra con il nuovo artefatto e quest’ultimo annienta quello antico. Gli uomini hanno creato dei mostri, non sono stati gli animali a volerlo, ma sono stati costretti ad ambientarsi in una realtà a cui non sarebbero dovuti appartenere.
Il film si chiude con i sopravvissuti che si allontanano con l’elicottero dall’isola. Grant osserva uno stormo di uccelli che affianca l’elicottero. Quegli uccelli che hanno il diritto di vivere nell’epoca in cui la natura li ha assegnati.
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