PREDATOR – Il cacciatore perfetto

Ritorno al testosterone con Schwarzenegger nella giungla.

di Alessandro Sivieri

Eh sì, stiamo parlando dell’ugly motherfucker, il secondo alieno malvagio più famoso del cinema. Lasciate perdere Alien vs. Predator, concept ben più riuscito nell’ambito dei videogame che non al cinema, con due lungometraggi a dir poco mediocri. Mettete in pausa Predator 2 con Danny Glover e ambientazione urbana, il decente Predators di Nimród Antal e lo squinternato reboot The Predator. Come abbiamo fatto con la saga di Alien, bisogna tornare alle radici, al distillato puro. Perché il film originale del 1987, diretto da John McTiernan (per intenderci, quello di Die Hard) e con il possente Arnold Schwarzenegger, è un thriller fantascientifico con i controcazzi, strutturato alla perfezione, tamarro con scioltezza. E i suoi punti di forza sono parecchi, a cominciare dal setting, questa volta non un pianeta sconosciuto o un’astronave malandata, ma la nostra amata Terra, in uno dei suoi ecosistemi meno ospitali, cioè la giungla. Il nemico è venuto a ucciderci a casa nostra, e lo fa silenziosamente, in modo infallibile, come un cacciatore in trasferta.

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E dire che tutto inizia con uno scenario alla Rambo: una squadra di ex-membri delle forze speciali si imbarca in un’apparente missione di salvataggio organizzata dalla CIA, salvo poi scoprire di essere stata usata per togliere di mezzo obbiettivi scomodi. Veterani tosti che, passato il Vietnam, si danno allo spionaggio militare. Ma poi arriva la svolta, e il nemico non è più un guerrigliero rincoglionito ma un mostro invisibile, brutale, che utilizza una tecnologia superiore e scruta ogni nostra mossa da lontano. Uno degli aspetti chiave del film, omaggiato a non finire, è infatti lo sdoppiamento del point of view: fin dal primo scontro a fuoco, in alcune brevi sequenze, assistiamo alle avventure di Schwarzenegger e soci attraverso lo sguardo dell’alieno, che osserva da lontano il gruppo. I protagonisti diventano prede analizzate dalla visione termica di un essere sconosciuto. Il pericolo è noto allo spettatore ma non ai personaggi, e diventiamo complici, nostro malgrado, della caccia.

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Sarete sorpresi dalla quantità di proiettili sparati, ma non ve la farete sotto per il terrore. L’atmosfera non è desolata e opprimente come in Alien, pellicola dove la paura assume un aspetto più primitivo, viscerale. Il piatto forte di questo sci-fi è un misto di tensione ed eccitazione, in attesa di poter vedere il mostro in carne e ossa, mentre i soldati protagonisti, tagliati con l’accetta, muoiono uno dopo l’altro. Il concept di base, scopiazzato a non finire, vede l’essere umano, abituato a essere la specie dominante, ridotto a preda indifesa. Il duello finale, manco a dirlo, è tra lo spietato cacciatore (un sanguinario “sportivo” in caccia di trofei) e il meglio che l’umanità ha da offrire, il veterano Schwarzy, il duro di turno che non rinuncia a qualche battuta a effetto. E quando la creatura finalmente diventa visibile, nasce un’icona popolare.

Siamo pur sempre nell’epoca degli effetti prostetici e, se l’invisibilità e le armi al plasma sono inevitabilmente frutto di post-produzione, il corpo dell’alieno non lo è affatto. Il villain buca lo schermo con la sua imponente fisicità e il suo brutto muso. È un tizio in costume, ma fatto dannatamente bene; così grosso da torreggiare su Schwarzy, che non è certo un nano da giardino. L’ingrediente principale di una fantascienza che ci piace, quella del terrore palpabile, della messa in scena senza compromessi. Aggiungiamo alla ricetta alcune scene epiche e ignorantissime che oggi vediamo col contagocce, come la sparatoria alla cieca nella foresta, e il capolavoro anni ’80 è servito. C’è da chiedersi se, trascorso il trauma dell’ennesimo reboot, Hollywood riuscirà a ritrovare un po’ di rispetto per i suoi mostri sacri, riportandoli a una dimensione cruda e coinvolgente.

Potete trovare la nostra raccolta di articoli su Alien e Predator al seguente indirizzo:

ALIEN – Tutte le informazioni sul franchise

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