di Cristiano Bolla
Al suo quarto lavoro Scott Cooper confeziona un western on the horses dentro il quale inserisce i suoi leitmotiv: Hostiles, tuttavia, scade un po’ nella facile retorica e non riesce a conquistare del tutto.
Non è facile, nel 2018, confrontarsi con un genere che ha fatto la storia del cinema come il western. Lo è ancora meno, oltretutto, se lo si prende da un punto di vista ormai abbandonato e superato. Scott Cooper, che all’esordio nel lungometraggio aveva stupito tutti col bel Crazy Heart (2009, Oscar a Jeff Bridges e Miglior Canzone Originale per The Weary Kind), senza poi ripetersi con Out of The Furnace e Black Mass, sceglie la via più difficile: il ritorno ai western con gli indiani. In Hostiles Il Capitano dell’Esercito Joseph Blocker (Christian Bale) ha infatti il compito di accompagnare in Montana un suo acerrimo rivale ormai da anni in prigione, Falco Giallo (ovviamente Wes Studi); sul loro percorso si imbattono nella traumatizzata Rosalie Quaid (Rosamund Pike), alla quale i Comanche hanno appena sterminato brutalmente la famiglia.
Le storie western, di norma, si basano sullo scontro manicheo tra una forza del bene il cui status è dato dal rispetto di cui gode nell’ambiente in cui vive, e una del male che rappresenta l’esatto opposto. Questa formula si applica sia alle storie di cowboy solitari e banditi come ne I Magnifici Sette, Django o Il Cavaliere della Valle Solitaria, sia a quelle di soldati dell’esercito e indiani come Sentieri Selvaggi, Ombre Rosse e ancora Corvo Rosso non avrai il mio scalpo.
Ma ha ancora senso parlare di indiani e dipingerli come brutali pellerossa, al giorno d’oggi? Il politically correct farebbe pensare di no, ma è proprio caratteristica di Scott Cooper prendere i capisaldi del senso di colpa americano e ributtarli sullo schermo per un generale mea culpa di facile presa. Ecco che allora in Hostiles gli indiani sono sì quelli che fanno gli scalpi e hanno causato tanto dolore e orrore nella vita di Blocker, ma la strada per il Montana conduce ad una inevitabile riappacificazione tra i due nemici a lungo odiati ma rispettati.
Dove sta, quindi, la “novità” di Hostiles? Nel modo (facilmente retorico) con cui i due lati della stessa medaglia chiamata guerra si confrontano con le proprie azioni: è il contorno del film a dare significato al movimento emotivo dei personaggi, ciò che affrontano permette loro una riflessione sulle ragioni del proprio schieramento. Per il Capo Falco Giallo è la brutalità estrema dei Comanche, per il Capitano Blocker le azioni degli ex soldati. Facilmente retorico, si diceva, perché il messaggio finale si cala perfettamente in questo nostro tempo in cui la diversità sociale è tema sacro e spesso attaccato: siamo tutti uguali, nel bene e soprattutto nel male. Il modo con cui Scott Cooper mette in scena i personaggi a confronto con un sentimento basilare è molto simile a quanto fatto in Out of Furnace, sempre con protagonista Christian Bale: lì era la vendetta, qui l’odio il sentimento da analizzare e controbattere. Il tutto in salsa americana, ovvio.
Un pregio gli va assolutamente dato: Hostiles è tecnicamente un bel western. Non ci fosse stata Netflix e la sua recente e magnifica serie Godless a lustrarci gli occhi con un prodotto di questo genere, il film di Cooper sarebbe stato un bel toccasana per gli appassionati. Restano comunque i campi lunghissimi e le lente dissolvenze che hanno fatto la storia del cinema western. Formule e convenzioni qui si ripetono in modo troppo poco vario per sfondare del tutto, lasciando Cooper nel limbo dei registi promettenti ma mai pienamente realizzati. Nota di merito per la colonna sonora di Max Ricther.
Scelte un tantino troppo prevedibili e una retorica a tratti scontata rendono Hostiles riuscito a metà. Ha tra l’altro un che di Revenant, ma manca l’orso che ha vinto la nostra Trota d’oro come miglior Mostro nel 2016. Capite bene che siamo di parte.