TRE FILM A SCADENZA BREVE

La genesi delle pellicole usa e getta.

di Alessandro Sivieri

Nonostante i gusti personali, dobbiamo riconoscere che un film è figlio del suo tempo. A prescindere dalla qualità in sé, bisogna individuare il contesto temporale e culturale di un’opera per formulare un giudizio completo. Se ignoriamo questi fattori, la scrittura di una pellicola commerciale è unicamente orientata alla prosecuzione di un filone. Vanno di moda i cinecomic? Facciamone qualcuno, adattiamo un fumetto celebre. Questa saga ha successo? Realizziamo un altro sequel! Invece no, esiste un mondo sotterraneo che va ben oltre. Parliamo di quei film denominati piatti istantanei, e vi capiterà sicuramente di assaggiarne uno. Ci sono casi in cui la produzione non si limita a riproporre qualcosa di già visto, ma sciorina film basati su eventi a scadenza breve. Parliamo di una catastrofe, di una tendenza improvvisa o della morte di un personaggio pubblico. È deceduto quel tizio famoso? Presto, mettiamo in cantiere il biopic prima che i media se ne scordino! Si chiamano blitz produttivi e, piuttosto che basarsi su fondamenta solide e durevoli, si adagiano su un fenomeno di massa. Una tendenza che si è diffusa nell’ultimo decennio e che rischia di appesantire ulteriormente una Hollywood priva di coraggio, sempre più disposta a fare da fast food senza pensare al domani. Vi chiedete come riconoscere questi film? Abbiamo individuato per voi tre esempi dal background piuttosto eterogeneo.


JOBS (2013)

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Non è un mistero che la vita di Steve Jobs, fondatore di Apple, sia ricca di contraddizioni. Più che un inventore o un esperto di informatica, Jobs era un personaggio pubblico, un abile venditore. Le sue conferenze colme di insegnamenti e frasi motivazionali danno da mangiare alla comunicazione aziendale da anni, mentre si specula sui suoi problemi personali e sul rapporto con colleghi ed ex-soci, in primis Steve Wozniak, considerato il vero cervellone del gruppo. Fatto sta che, grazie al suo intuito e a una certa dose di determinazione, Jobs iniziò la sua attività in una cantina e riuscì a creare una delle più grandi multinazionali del secolo, introducendo (o trafugando) idee innovative nel mondo della tecnologia.

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Dopo la sua morte, avvenuta nel 2011 per via di un cancro al pancreas, divenne leggenda, con i suoi discorsi universitari citati fino alla nausea. Quale momento migliore per sfruttarne cinematograficamente la mitizzazione? Ecco che meno di due anni dopo arriva nelle sale Jobs, diretto da Joshua Michael Stern (che ha all’attivo film per la televisione) e con Ashton Kutcher nei panni del geniale protagonista. La pellicola risente in pieno di una produzione affrettata e confusionaria, con una scrittura che si limita al più classico racconto biografico, descrivendo l’ascesa di Jobs dai seminterrati ai palazzi del potere. Anche le abitudini strambe e le controversie sembrano ricalcare lo stereotipo del personaggio, piuttosto che darne un’immagine più intima e verosimile. Sebbene la somiglianza di Kutcher sia notevole, la prova attoriale risulta impostata e priva di mordente, inclusi degli scoppi di rabbia particolarmente maldestri. Il film di Danny Boyle del 2015, con un Michael Fassbender meno appariscente ma sul pezzo, ha corretto parzialmente il tiro.


2012 (2009)

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Sulla presunta apocalisse del 2012 si sono spesi fiumi di parole. Secondo gli accurati calcoli del complottismo, il calendario Maya avrebbe previsto la fine dei tempi per il 21 Dicembre 2012, con un evento in grado di segnare la scomparsa dell’umanità, dell’intero Pianeta o addirittura dell’Universo. Con la data fatidica in avvicinamento, perché farsi scappare l’occasione di un bel film catastrofico con effetti digitali e spacconate? Ecco arrivare Roland Emmerich, specialista di kolossal che in genere consideriamo un Michael Bay meno scemo. Al suo attivo ha Independence Day, il Godzilla amatissimo dal collega Matteo Berta, The Day After Tomorrow e la paraculata in oggetto, ovvero 2012.

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La storia parla dell’imminente distruzione dell’umanità con speculazioni scienfiche a fallo di loppide: per via di forti tempeste solari, il nucleo della Terra si sta surriscaldando, causando lo scioglimento del mantello con conseguenti terremoti e tsunami di un’intensità mai vista. Solo pochi eletti e mitomani, tra cui lo scrittore Jackson Curtis (John Cusack disperso nell’iperuranio), sono al corrente della verità, profetizzata dai Maya, e tentano di informare l’opinione pubblica. Mentre i facoltosi leader del Pianeta cercando di mettersi in salvo, la vicenda viene tenuta nascosta, censurando i media e togliendo di mezzo personalità scomode. Quando l’apocalisse ha inizio è già troppo tardi, e Curtis deve salvare la propria famiglia, dirigendosi verse delle arche supertecnologiche (in pratica dei sottomarini) costruite dai cinesi sulla cima dell’Himalaya. In questa surreale odissea assistiamo ai cliché delle fughe impossibili, dei Presidenti che restano con il popolo ad attendere la fine e dei complottisti che inevitabilmente hanno ragione, per non parlare degli eroici ragazzini tibetani!


QUARANTINE (2008)

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Insieme a The Blair Witch Project, venuto un decennio prima, l’horror spagnolo REC ha lanciato il genere found footage nel circuito mainstream. I registi Jaume Balaguerò e Paco Plaza confezionano un’opera tesa, essenziale e dall’azione palpabile, dato che la telecamera a mano assiste agli orrori come se fosse il nostro occhio. La storia segue la giornalista Angela (Manuela Velasco nell’originale, Jennifer Carpenter nel remake) mentre documenta la vita di una squadra di vigili del fuoco, durante le uscite notturne in risposta alle emergenze. Dopo una chiamata, i pompieri si dirigono in un appartamento di Los Angeles, dove trovano gli inquilini terrorizzati. In breve scoprono che una strana malattia trasforma le persone in infetti altamente aggressivi e la zona viene isolata dai militari. Scatta una corsa alla sopravvivenza dentro il palazzo, dove Angela e i superstiti cercano una via d’uscita, oltre che una risposta all’enigma dell’infezione.

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Quarantine, diretto da John Erick Dowdle (tipico regista prestanome), è un lampante esempio di remake scena per scena che non aggiunge nulla alla formula, ricalcando spudoratamente l’originale. Ancora oggi viene da chiedersi perché, dato il successo mondiale di REC, non ci si potesse limitare a importarlo nei cinema statunitensi, o perlomeno prendere il titolo alla lettera e registrarlo clandestinamente in sala. Purtroppo la mentalità protezionistica d’oltreoceano si esprime al massimo in ambito cinematografico, ed ecco arrivare il clone a uso e consumo del pubblico americano. Quest’ultimo non si sente beffato quanto noi europei, che abbiamo visto l’arrivo di un rifacimento più artificioso e meno coinvolgente.


Esaurito questo excursus sulla vocazione al guadagno delle major, ci consoliamo con la certezza che, almeno per ora, le idee resistono e il cinema non è una catena di montaggio. Certo, parecchi aspetti delle produzioni ad alto budget ci fanno credere il contrario, ingozzandoci di merendine in pellicola che mirano solo a sfruttare il momento, come un raptus nostalgico o lo scoppio di rabbia quando sorprendiamo un vigile intento a farci la multa. Se i nostri gusti sono così vulnerabili a livello temporale, significa che ci hanno abituato piuttosto male. C’è della roba da buttare, svuotiamo il frigo?

Un commento Aggiungi il tuo

  1. Conte Gracula ha detto:

    2012: ricordo ancora che lì “il primo ministro italiano aveva deciso di recitare il rosario in piazza S. Pietro col suo popolo”. Allora, il presidente del consiglio era Silvio Berlusconi.
    Le battute si sono sprecate,ma ci siamo anche chiesti se, nel film, questa marchetta fosse spontanea o… incoraggiata! XD

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