SLENDERMAN – TUTTA NEBBIA E NIENTE ARROSTO

Da leggenda metropolitana a compitino horror.

Di Alessandro Sivieri

Avete presente i fotomontaggi, le creepypasta e i videogame indipendenti? Lo spilungone senza volto è nato in Rete e lì ha prosperato, grazie agli utenti che gli hanno costruito intorno una sorta di mitologia open source. Abbiamo assistito all’inevitabile trasposizione cinematografica con un regista prestanome, tale Sylvain White, fresco di B-movies e produzioni direct to video. Di rilevanza per il marketing è un brutto fatto di cronaca del 2014, dove l’ossessione per la leggenda dello spilungone aveva portato all’uccisione di una coetanea da parte di due ragazzine. Il padre di una di queste, all’uscita del trailer, avrebbe reagito con indignazione. Ispirandosi al suddetto episodio ma non troppo, la trama vede il solito gruppo di adolescenti isteriche alle prese con le conseguenze di un maldestro rituale, che ha scatenato il mostro.

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Il modus operandi di quest’ultimo rispecchia fedelmente la controparte digitale: secondo il folklore internettaro, lo Slenderman è una figura innaturalmente alta e priva di tratti somatici che perseguita le persone fino a farle impazzire o le rapisce per scopi sconosciuti. L’aura di mistero e la tensione vengono inficiate da uno schema che ricalca i classici teen horror, con la scoperta di video inquietanti da parte di un gruppo di amiche, le brave ragazze americane che non hanno lati oscuri e scherzano sui porno. Una di esse decide di indagare troppo a fondo nell’occulto e scompare. Le altre, in preda ai sensi di colpa, tentano di rintracciarla e incappano nel traciturno Slenderman di quartiere, che le cattura una a una.

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Con un personaggio valido e un bel po’ di campo libero a livello narrativo, ci si aspettava un horror rinfrescante. Purtroppo le imprese dello Slenderman si adagiano su formule ormai indigeste, citando titoli di grido senza crearsi un’identità. Sorvolando sullo spessore nullo delle protagoniste, il regista sposta l’azione da un luogo all’altro, tentando di imbroccare un momento che lasci il segno. Ecco che oltre alla foresta arriva lo spavento in cantina, lo stalking in biblioteca, il corridoio della scuola, l’ospedale e la casa del fidanzato. La selva, habitat naturale della creatura, offre qualche spunto visivo di pregio, pur non generando l’oppressione labirintica di The Blair Witch Project o di The Ritual. Grazie alla nebbia ci gustiamo un paio di scene ben realizzate, dove lo Slenderman è poco più che una sagoma indistinta e accompagnata dal silenzio. In questi attimi solitari si percepisce un barlume di fascino, poi arriva il rumore improvviso e il mostro si avvicina più del dovuto, mostrando il fianco a una CGI sottotono con i suoi tentacoli d’ombra. Il film campa ancora una volta di jump scare prevedibili, abbandonando la raffinatezza del terrore come messaggio subliminale, che poteva essere un’idea vincente. Le allucinazioni delle ragazze cercano di trascinarci in una dimensione onirica, ma risultano anch’esse derivative. Le deformazioni visive vengono sfruttate con poca fantasia, le sequenze ipercinetiche ricordano la cassetta di The Ring (qui aggiornata alla viralità di YouTube), i rami molesti fanno venire in mente La Casa e Poltergeist. Persino le apparizioni di Slenderman sui video amatoriali o in mezzo alla folla non hanno la brutalità, per dirne una, degli alieni di Signs che spuntavano nei filmini di compleanno in pieno giorno. Non ci si avvicina nemmeno al clown Pennywise, maestro nell’apparire alle vittime rimanendo invisibile a chiunque altro.

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Cosa salvare in questo risotto teen al nero di seppia? La creatura mantiene intatto il suo carisma e, fortunatamente, ci vengono risparmiati approfondimenti sulla sua vera natura. Lo spilungone resta una forza apparentemente invincibile, ma la narrazione frammentata e l’anonimato registico non ne convogliano il potenziale. Non riusciamo a sentire il brivido della sua onnipresenza, quel non visto che in altri horror funziona a meraviglia, facendoci temere il mostro anche quando non è sullo schermo. Il contatto fisico è fin troppo diretto per una creatura ineffabile, arrivando a dei faccia a faccia in stile Alien 3, mentre la presenza oscura dovrebbe rimanere nella coda dell’occhio, agendo sulle percezioni sensoriali delle protagoniste. A tal proposito risulta ben riuscita una scena da body horror dove una delle ragazze, dopo un inseguimento tra gli scaffali, perde temporaneamente la faccia e sprofonda nel panico. Momenti che si diluiscono in un intreccio svogliato, dove anche il finale drammatico viene inficiato da una lezioncina moralistica in voice over, che ci ricorda i pericoli di Internet e dell’eccesso di Like, manco parlassimo della Blue Whale. Aprite pure gli occhi e tirate fuori la testa dalle coperte, ci sono creepypasta scritte decisamente meglio.

Morphsuits Slenderman Costume da uomo

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