LA BAMBOLA ASSASSINA – Skynet al reparto giocattoli

Il reboot di Child’s Play con un Chucky pieno di bug.

di Alessandro Sivieri e Matteo Berta

I pupazzi, le bambole e tutti quei giocattoli che replicano in scala l’essere umano hanno qualcosa di inquietante. Il volto simile al nostro ma dai tratti distorti (con occhi vitrei e spalancati) ci trasmette un disagio che corrisponde a un preciso termine scientifico: pediofobia. La cinematografia horror ha fatto tesoro della cosa ed ecco che, negli anni ’80, arriva La bambola assassina (Child’s Play), dove l’anima di un serial killer si reincarna in un poco adorabile pupazzo. La bambola viene regalata a un ragazzino e, una volta risvegliatasi, inizia a fare mattanza di parenti e vicini di casa, per poi tentare di reincarnarsi. Uno slasher a base di abbondanti dosi di sangue e un tocco demenziale, principalmente dovuto alla personalità sboccata del villain Chucky. Questo reboot, firmato da Lars Klevberg (regista del teen horror Polaroid), attualizza le origini del giocattolo malefico rimuovendo la componente sovrannaturale. Nondimeno viene costantemente cercato un tocco vintage. Gli autori Alessandro e Matteo lo hanno visto con uno stacco di qualche giorno e hanno opinioni abbastanza differenti sul risultato finale. Andiamo a scoprirle.

ALESSANDRO

Allineandosi al progresso tecnologico contemporaneo, la genesi della bambola assume le sfumature di un fanta-horror, partendo da una scelta che potrebbe indisporre parecchi fan: niente più anime di assassini, il Chucky malefico nasce per colpa di un vietnamita depresso che sblocca la “modalità omicidio” (ricordate lo speciale Halloween dei Simpson con il pupazzo di Krusty?) in un giocattolo assemblato a basso costo, scrivendo al computer come un dattilografo. La bambola infatti ha il nome commerciale “Buddi” ed è parte di una linea di pupazzi innovativi creati dalla Kasdan Corporation, multinazionale che si promette di rivoluzionare la vita quotidiana del cittadino medio. Come in Small Soldiers, è l’intervento umano a trasformare un “prodotto intelligente” in una macchina per uccidere. Nel mondo delle IA avanzate, della connessione wireless e dell’Internet of things, Chucky è dotato di autoapprendimento, di un chip e della capacità di interfacciarsi con qualunque veicolo o elettrodomestico della Kasdan. Ovviamente perderà la testa e infrangerà le regole di stampo asimoviano, scatenando un’apocalisse in miniatura che lo accosta al programma ribelle Skynet.

Sbrigato frettolosamente e in modo poco credibile il prologo, Buddi viene regalato dalla mamma single Karen (Aubrey Plaza) al figlioletto introverso Andy (Gabriel Bateman), che dopo un rifiuto della prima ora inizierà a stringere un legame con la bambola, sfruttandone i molteplici “bug” per divertirsi e farsi nuovi amici. Interessante la costruzione del loro rapporto tra emarginati, due esemplari “difettosi” che imparano a completarsi. L’idillio però dura poco. Come Ultron, storico nemico degli Avengers, l’intelligenza artificiale non riesce a gestire le proprie emozioni e prende alla lettera la filosofia alla base della sua esistenza, in questo caso “essere il migliore amico” del suo umano. Basta una frase sbagliata di Andy per scatenarne l’istinto omicida.

Chucky 2.0 è freddo e calcolatore come un software, oltre a far leva sulla connettività con altri apparecchi, a differenza del suo predecessore analogico. Tuttavia non può contare sulla medesima presenza scenica di Charles Lee Ray, l’assassino reincarnato del film originale. Il vecchio Chucky era un concentrato di malvagità e umorismo nero alto mezzo metro, e si affidava al proprio ingegno e al fatto che le persone lo credessero un oggetto inanimato. Nelle sue uccisioni c’erano fantasia e gusto per il macabro. Buddi ha molti più mezzi a disposizione, ma non sono ben circoscritti i suoi limiti: può prendere possesso di droni (in grado di squartare persone con le eliche), automobili e orsacchiotti, ma con che raggio d’azione? Possibile che la Kasdan, collegata a ogni suo prodotto, non sia in grado di individuare e combattere l’anomalia? La rivolta del centro commerciale non è solo l’emulazione in scala di un’apocalisse robotica? Sia chiaro, non ci si aspetta una logica ferrea da una storia slasher con pupazzi, ma è proprio il film che, accantonando il paranormale per appoggiarsi ai miracoli dell’elettronica, vuole darsi un’aria di plausibilità (e non ci riesce quasi mai). La situazione non si fa più godibile quando Buddi recupera il caro vecchio coltello e attacca in prima persona: viene spesso privilegiato il prostetico, ma si nota una certa goffaggine nelle inquadrature e nel montaggio, che si tratti di un gatto strangolato o di un poveraccio fatto a pezzi.

Se questo Chucky, con la faccia tirata dal botulino, non fa di certo faville, esce da uno stampino anche il giovane Andy, preadolescente timido e con problemi di udito che trova conforto soltanto in situazioni atipiche. Grazie alle stranezze della bambola si crea un proprio Club dei Perdenti di kinghiana memoria e convive con una serie di adulti stereotipati, tra cui una madre sbadata, il poliziotto buono della porta accanto, un portinaio voyeurista, una vicina culona amante del bingo e uno pseudo-patrigno di rara imbecillità (“uno stronzo vero“, come ripeterà Chucky). Lo scontro finale, per liberare ostaggi intrappolati alla Saw, fornisce qualche spunto sulla morbosità di un rapporto esclusivo e su come questa società possa “rompere” gli individui (la parabola sui cattivi maestri), ma il conflitto dialettico rimane ai margini e la scrittura preferisce trincerarsi entro i confini di un Windows Vista psicopatico. Uno spreco, visto l’ottimo doppiaggio di Mark “Luke Skywalker” Hamill, che avendo già prestato la voce al Joker della serie animata di Batman si trova a suo agio con la follia. Affrontata la delusione, diamo voce al pensiero del collega Matteo Berta, che oltre ad aver trovato la pellicola divertente, ne ha analizzato le strategie promozionali vincenti.


MATTEO

Gli aspetti positivi del film sono legati a una dimensione parassitaria della pellicola. Al contrario di quanto si possa pensare e delle false credenze, soprattutto nel cinema contemporaneo, essi sono centrali e protagonisti dell’intero “prodotto” filmico. Ci stiamo riferendo al marketing e alla colonna sonora.

Partendo dalla pubblicizzazione dell’opera, è interessante come la produzione abbia deciso di intervenire in modo aggressivo sulla costituzione di paratesti che possano portare anche i più dubbiosi in sala, ma non si tratta di una pubblicità “urlata”. Ci si trova di fronte d un marketing intelligente che può soddisfare tutti i palati. Se il film La Bambola Assassina era vendibile già solamente con il titolo e la storia che si porta sul groppone, si è comunque deciso di spingere al massimo l’elemento Horror-entertainement, dando possibilità agli spettatori di sentirsi parte integrante dell’esperienza. In primis attraverso dei claim che si rivolgono direttamente a colui che legge: il “vuole essere tuo amico” smuove emozionalmente lo spettatore, che è invitato metaforicamente a “entrare”, ma anche concretamente, dal momento che in quasi tutte le multisale del territorio italiano erano presenti delle scatole di Buddi a grandezza naturale, in modo che chiunque potesse entrare e scattarsi una foto, realizzando la fantasia dell’impersonificazione della bambola assassina.

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Una seconda strategia per puntare direttamente allo spettatore coinvolgendolo emozionalmente è stata quella di fissare come obbiettivo la sua intelligenza, stimolandola con ironia. Infatti, la produzione e l’ufficio marketing hanno deciso di cavalcare l’onda dell’uscita del quarto capitolo di Toy Story realizzando dei “character poster” che raffigurassero i giocattoli protagonisti del famoso film Pixar (non del tutto riconoscibili ovviamente), bistrattati da Chucky. Si stabilisce una sorta di sudditanza psicologica con lo spettatore, garantendo una soddisfazione del sentimento del dissacrante nel constatare che il protagonista del film che stai per vedere ha “fatto quelle cose” ai giocattoli che ami. Un po’ come quando la mamma invitava il cuginetto pestifero in camera tua che metteva in pericolo il tuo intero armamentario giocattoloso.

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L’ultimo elemento paratestuale da prendere in considerazione è senza dubbio il sito internet costruito attraverso delle pubblicità all’azienda stessa (diegetica) promotrice del giocattolo, la Kaslan Corp, intenta a promuovere il proprio prodotto. Il dominio del sito si collega direttamente al prodotto (https://bestbuddi.com/).

Tornando alla pellicola, la cosa più bella del film è indubbiamente la colonna sonora. Ci troviamo nel periodo di massimo splendore del compositore Bear McCreary. Dopo aver raggiunto i piani alti di Hollywood musicando Godzilla II King of the Monsters, Bear si è buttato su un tipo diverso di monster movie e ha deciso di assimilarlo il più fedelmente possibile. La colonna sonora di questo reboot di Child’s Play è quasi interamente scritta per un’orchestra di strumenti musicali giocattolo. Le atmosfere sinistre e disturbanti promosse dalla storia vengono esaltate alla perfezione e la score puramente strumentale si interseca perfettamente con i momenti cantati da Mark Hamill e dalle mille voci campionante dallo stesso Bear. Realizzare un tema molto riconoscibile ed eseguire l’intera partitura con un’orchestra di giocattoli sono stati gli elementi di successo di questa colonna sonora, che non si trova mai nella situazione di “stonare” e quando lo fa è assolutamente voluto.


Abbiamo visto come questo reboot, tra successi e fallimenti, sia il frutto di una scelta di troncare con il passato, pur omaggiandone le atmosfere e la componente splatter. Credete al pari di Alessandro che sia un buco nell’acqua, o considerate l’operazione un successo fin dalla fase di marketing, come Matteo? Intanto vi proponiamo la nostra diretta post-visione su Facebook:

4 commenti Aggiungi il tuo

  1. Lorenza ha detto:

    Davvero interessante. Grazie.

  2. Chiara Casiraghi ha detto:

    Per me il film è stato molto divertente e interessanti.Certo non privo di alcuni difetti,alcune scene potevano essere fatte meglio,ma intrattiene e lo fa bene,e rispetto al vecchio film riesce anche ad emozionare(non per offendere il vecchio film che comunque è bellissimo).magari tutti i reebot/remake fossero così.

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