Dal regista premio oscar Sam Mendes arriva un film sulla guerra dall’aspetto titanico, ma dal contenuto meno incisivo: 1917, la guerra in piano sequenza.
di Cristiano Bolla
Che chi nel cinema ci arriva piano piano, in punta di piedi. C’è anche chi invece spalanca la porta e fa un ingresso memorabile. In questa seconda categoria c’è Sam Mendes, il cui esordio alla regia cinematografica gli valse l’Oscar alla Regia per American Beauty. Dopodiché, altri grandi film come Road to Perdition, Jarhead, Revolutionary Road e gli ultimi 2 James Bond. Ora è tornato e si è ripreso le copertine, premi e gloria per un nuovo war movie: 1917, il film il cui backstage rischia di essere più interessante del film stesso.
Non è una nota di demerito, ma per parlare della sua ultima, enorme fatica, bisogna includere una lista di cose che non è. Per iniziare, 1917 non è un film in piano sequenza: non tutto, quantomeno. Cinefili, togliamocelo dalla testa: non può esistere davvero un film girato al 100% con un’unica ripresa, non un film memorabile quantomeno e per questioni tecniche, soprattutto (quelli bravi qui obietteranno citando Arca Russa del 2002, ma appunto: non memorabile). 1917 però ha l’enorme merito di essere interamente pensato come una serie di lunghe riprese, più o meno brillantemente unite da tagli nascosti, per un’illusione di continuità che è, di fatto, il cuore del film.
Il piano sequenza è quel virtuosismo col quale tutti i grandi sembrano volersi cimentare, almeno in parte. Per farlo, serve un gran direttore della fotografia: uno di loro è Emmanuel Lubezki, che vinse l’Oscar con Birdman, altro film in cui il long shot è padrone della scena. Roger Deakins però non gli è da meno: in 1917 cosa viene raccontato è meno importante del come viene mostrato. Questo ci porta a un altro punto della lista dei “non è”: 1917 non è un capolavoro.
Potrebbe esserlo, se intendiamo la parola nell’accezione di “prodotto senza uguali”. Non c’è un film di guerra come 1917, senza dubbio, ma la somma delle sue parti fatica a bilanciarsi e, come detto, l’aspetto fotografico batte il contenuto. La storia, infatti, è inserita solo per dare un contesto narrativo fondamentale in un’arte come quella cinematografica, ma nonostante questo emergono delle criticità: una certa povertà drammaturgica nei dialoghi, una evidente contrattura nella gestione degli spazi e dei tempi e infine una nuance da videogioco. 1917, a tratti, sembra una serie di missioni una dopo l’altra, intervallate da dialoghi messi a rallentare un attimo le cose e far tirare il fiato al film (e il budget).
Quanto letto finora può far sembrare che ci sia un giudizio negativo sul film, ma non è così: 1917 è comunque un film bellissimo, solo non perfetto. Riesce comunque a emozionare, seguendo un racconto molto semplice ambientato nella Prima Guerra Mondiale (raccontata pare dal nonno dello stesso Sam Mendes). E se lo fa è merito non solo della struttura da viaggio dell’eroe, ma anche grazie all’enorme lavoro di Thomas Newman, la cui colonna sonora segue la storia quasi meglio della telecamera di Roger Deakins.
Oltre a fotografia e colonna sonora, c’è da fare un sincero applauso all’enorme sforzo produttivo e scenografico. Le sequenze in trincea, con questo lento scoprire passo dopo passo di dettagli, comparse, della vastità del set, rivelano che Mendes per raccontare questa piccola ma incisiva storia ha messo in piedi un bel teatrino, come si dice.
Sam Mendes riesce a portare a casa un bellissimo risultato, ma per apprezzarlo in pieno bisogna anche apprezzare l’arte del fare cinema in sé. Non sembra avere però l’unicità drammatica di Dunkirk (questo sì, un capolavoro), la profondità emotiva di Hacksaw Ridge o la crudezza di Fury, giusto per citare 3 grandi film di guerra del decennio appena passato. Il film che forse rende meglio l’idea dello squilibrio tra tecnica e contenuto è Gravity, guarda caso anche questo con Lubezki alla fotografia. Resta però un film, finora si è messo in bacheca anche numerosi riconoscimenti: su tutti i Golden Globes per la Miglior Regia e per il Miglior film drammatico.
Punta anche al bottino grosso: 10 nomination agli Oscar sono tante, quasi tutte giustificate per un film che non è perfetto, ma di cui si percepisce il titanico sforzo.