A pochi mesi dall’uscita, analizziamo il perché dello straordinario successo della serie Netflix su Geralt di Rivia.
di Carlo Neviani
“È puro Netflix“. Così, con tre semplici parole, il nostro autore Cristiano ha descritto negativamente la sua personale esperienza di visione dell’attesa serie The Witcher. Ha ragione, ma il voler sminuire un prodotto audiovisivo mediocre etichettandolo come “netflixiano” nasconde anche il motivo del suo straordinario successo mondiale. Circa 76 milioni di account hanno guardato la serie nelle prime quattro settimane di lancio, facendola diventare la serie con la prima stagione di maggior successo nella storia della piattaforma streaming. Perché?
BRAND
Oggi, lo scenario di film, serie tv e show in generale è caratterizzato da un mercato affollato e da un’offerta molto competitiva, al punto che accaparrarsi utenti è sempre più difficile. Aggiungiamo il fatto che l’evoluzione tecnologica e il proliferare di nuovi device ha aumentato il deficit di attenzione dello spettatore medio. Diventa quindi fondamentale, per un prodotto, essere riconoscibile, avere un’identità chiara che possa conquistare la fiducia dello spettatore. Per questo qualsiasi casa di produzione e distribuzione è più interessata a un brand che a una semplice storia. È per la stessa ragione che Disney punta a franchise da parchi divertimento, o che, facendo un giro più complesso, ci ritroviamo in libreria a comprare un volume di ricette col logo del nostro programma culinario preferito. Analogamente The Witcher è un brand a tutti gli effetti. Una serie tv, tratta da una serie di libri, da cui è tratta una serie di videogiochi di grande successo (QUI il nostro Bestiario in merito)… in pratica un universo cinematografico inesauribile. Netflix è perfettamente conscia del potenziale e ha saputo sfruttarlo bene su due fronti: quello del fan service, cercando di soddisfare chi già appassionato delle gesta di Geralt di Rivia, e, non di meno, stimolando curiosità (un concetto su cui torneremo più avanti) per i neofiti. Non è un caso che lo show abbia portato a un aumento delle vendite di libri e giochi The Witcher in tutto il mondo.
ALGORITMO
Tutto ciò che guardiamo su Netflix è associato a un algoritmo. Hai appena guardato La Storia Infinita? Stranger Things potrebbe piacerti. Ti piacciono i film cruenti? Ecco il più recente torture horror… e così via. The Witcher, in quanto a contenuti, genere, target, ricopre un ruolo che era probabilmente scoperto nel catalogo della piattaforma: una serie recente di puro fantasy, e con un mood alla Game of Thrones (anche se le differenze sono abissali) cioè di sesso, cappa e spada. Ma è curioso come The Witcher, nonostante non cerchi necessariamente di piacere a tutti e come singolo prodotto abbia caratteristiche definibili come “di nicchia”, sia compatibile con milioni di utenti. Hai appena visto un film/serie con elementi fantasy o fantascientifici? The Witcher potrebbe piacerti. Ti piacciono show con personaggi femminili forti? Yennefer di The Witcher potrebbe piacerti. Adori gli anti-eroi? Ti affezionerai a Geralt e al suo disinteresse per qualsiasi causa che non sia il suo tornaconto. Vuoi tanti mostri? In The Witcher ne troverai più di un paio. C’è quindi uno studio della materia azzeccato, che pur essendo specifica, diventa potenzialmente universale, per tutti.
SESSO, CAPPA E SPADA
Vi ricordate la prima stagione de Il Trono di Spade? Improvvisamente il mondo si appassionò di regni, cavalieri, nani, battaglie, razze e madri di draghi. Ma qual era l’aggancio principale di tanto interesse? Semplice: il sesso. Incesti a corte, matrimoni combinati, la frequentazione di bordelli, triangoli amorosi… tutti elementi che intrigano e incuriosiscono un target ampissimo. The Witcher, che non è, né vuole essere paragonabile a GOT, gioca carte simili, soprattutto nei suoi personaggi principali. Geralt è il witcher, cacciatore di mostri che non ha sentimenti, egoista, che aiuta solo chi gli offre più soldi: tutti motivi che lo rendono un anti-eroe con grande carica sessuale, “tutto eros, zero agape”. L’altro grande protagonista, sicuramente il più approfondito e appassionante di questa prima serie, è Yennefer, una strega nata con un corpo malformato. La sua trasformazione, sia fisica che psicologica, diviene rappresentazione di emancipazione femminile, ma anche e soprattutto di scoperta del proprio sesso come strumento di potere. Immaginate, cosa potrà succedere all’incontro tra i due personaggi, Geralt e Yennefer? Intrigante, no?
VIRALITÀ
“Dona un soldo al tuo Witcher… Oh valle abbondante…” è il motivetto che lo scorso gennaio poteva tranquillamente vincere un disco d’oro data la sua diffusione. Sommato a questo: meme, meme e ancora meme. Pare che regista e direttore della fotografia abbiano studiato determinate inquadrature così da renderle potenzialmente virali, e ci sono riusciti. Raramente sui social si è indirettamente fatto riferimento ad una serie così tanto, col risultato di aumentarne l’interesse. Se tutti ne parlano s’ha da vedere.
COSA NON VA
Chiarificato come dietro a questo recente successo fantasy ci sia uno studio meticoloso e centrato, pensiamo a cosa invece non funziona. Innanzitutto la storia è piuttosto debole. Pur essendo fedele (così hanno detto) al materiale originale, cioè ai libri, la struttura è frammentata in modo confusionario. Una linea temporale alla Dunkirk, originale ma poco giustificata, che butta fuori lo spettatore dall’esperienza piuttosto che trascinarlo. Dei tre personaggi principali raccontati, Geralt, Yennefer e Ciri, la linea narrativa più riuscita è senz’altro quella di Yennefer, con un arco narrativo forte e il picco di scelte registiche nella scena della sua trasformazioni fisica, che regala violenza e nudità senza sconti. Il percorso di Geralt è invece a missioni, a quest, un po’ come succede in The Mandalorian. Il ritmo ne risente per la ridondanza e l’inutilità di alcuni eventi. I mostri da sconfiggere in queste imprese sono probabilmente la parte peggiore dello show: pessima CGI (si spera in un aumento di budget), scarsa caratterizzazione, e una rappresentazione visiva che non incute mai timore in chi guarda. La messa in scena, nel complesso, è l’altra mancanza della serie. Non è tutto da buttare: interessante l’ambientazione europea, azzeccato il casting, con un Henry Cavill chiaramente fan del videogioco impegnato a dare il meglio, e tono in linea con il genere di appartenenza. Ma questo non basta a rendere The Witcher una grande serie. Difatti, in definitiva, sono otto ore che scorrono piacevolmente, ma che non sanno mai appassionare lo spettatore. Fanno altro: incuriosire. È questo il “puro Netflix” a cui si riferiva Cristiano? Serie che incuriosiscono costantemente lo spettatore, spingendolo a premere il tasto “prossimo episodio”, senza però spiccare mai il volo? Credo di sì, ed è un peccato.
La speranza è che una seconda stagione, più matura e consapevole ci faccia esclamare: avevate la mia curiosità, ma ora avete la mia attenzione!