Il popolo etrusco nella cinematografia trash nostrana.
di Nosferaptor
Affamati? Prendete la vostra insalata quotidiana e tiratele dei cazzottoni fino a sminuzzarla. Poi bersagliatela di granate al fosforo e sparatele. Oggi il menù prevede Piaceri Lardosi, una lettura dove il brutto e il bello si mescolano per andarvi di traverso. Grasso che cola per ricordarvi che le stupidaggini sono una cosa seria. Vi credevate pronti a tutto, ma saprete affrontare degli zombie Etruschi travestiti da frati? Prima di farvi una bella nuotata nell’olio della friggitrice, è opportuna una breve lezione di storia antica. Sappiatelo, gli Etruschi sono proprio sfigati.
Chi erano costoro? Trattasi di una civiltà sviluppatasi a partire dal IX secolo a.C. nell’Italia centrale, precisamente in una porzione di territorio chiamato Etruria. La sua estensione comprendeva parte dell’attuale Toscana, dell’Umbria e del Lazio. Sappiamo poco di questo popolo, ma le loro tracce architettoniche si sono preservate fino a oggi: quanti folli connazionali non hanno mai visitato o sentito nominare le necropoli di Cerveteri, di Populonia, di Volterra? Destano l’interesse degli studiosi i loro tumuli, le gallerie, i pozzi. Essi credevano nella vita del defunto dopo la morte, e come vedremo più avanti, qualcuno ha preso il concetto alla lettera. Erano assai progrediti nell’edilizia, nella pittura e nella scultura. Le loro tombe erano dotate di svariati comfort per un aldilà a cinque stelle ed erano finemente decorate, anche se siamo lontani dalla megalomania degli Egizi.
Villa funebre di Frodo Baggins.
Non abbiamo un quadro completo dei loro usi e costumi. La loro lingua è un bel problema. Avevano preso in prestito l’alfabeto dai Greci, ma da lì a capire il significato delle parole ce ne vuole. Maledetti, criptici Etruschi. Con la civiltà ellenica andavano d’accordo, almeno fino a quando non stipularono un’alleanza con quegli infamoni dei Cartaginesi. Erano organizzati in dodici città-Stato, la cosiddetta dodecapoli, che dava vita alla Lega Etrusca. Ok, facile il paragone, ma non portavano felpe, non avevano il pallino dei clandestini e non bevevano mojito. E i rapporti con i Romani? Questa è la cosa più interessante: la crescita di Roma si mangiò gran parte dei loro territori, e la tendenza a rompersi le palle a vicenda sconfinò nelle Guerre romano-etrusche. L’assedio di Veio, importante città dell’Etruria, fu così lungo da costringere Roma a elargire, per la prima volta, uno stipendium regolare ai propri soldati. Finalmente una paga come si deve, altro che i voucher! Nuovo hashtag: #etruschiperilsociale.
Bronzo sbronzo su lettino abbronzante.
Il motivo di questa filippica? Ebbene, la cultura Etrusca venne lentamente assimilata da quella Romana, divinità incluse. Il nostro retaggio deve molto a tale civiltà, un tempo in grado di influenzare l’intero bacino Mediterraneo. Ma allora che fine hanno fatto? Perché non li vediamo ogni tanto al cinema? Sfortunatamente, questo popolo pieno di feticismo per le tombe non è spendibile a livello filmico. Per i loro “fratelli maggiori” il discorso è diverso: dai peplum degli anni ’50 a Il Gladiatore, Roma e la Grecia hanno brillato con scenografie imponenti e scontri tra bighe. Non c’è solo Massimo Decimo Meridio a spaccare i culi nelle arene. Scavando nel passato si trovano i vari Spartacus, Maciste contro il vampiro, Sansone contro il corsaro nero, Zorro contro Maciste, Ercole contro uno stronzo qualunque. Poi ci sono gli Spartani di Zack Snyder, con gli addominali ipertrofici, e le mummie Egiziane che da un secolo nutrono il pantheon orrorifico mondiale. Quindi… gli Etruschi? Ecco, forse hanno perso il treno o si limitano a portare il caffè alla troupe.
Etruschi selvatici intenti a non contare un cazzo.
Proprio quando ogni luce della ribalta andava in frantumi, accadde qualcosa di inatteso: per qualche motivo, a un paio di registi nostrani sarà venuto un lampo di genio mentre si aggiravano per il sito archeologico di Cerveteri. Esaminando le urne e i pittogrammi, avranno pensato “… ma ci facciamo qualcosa, con ‘sti Etruschi?”, ed ecco una inedita nicchia produttiva servita su un piatto d’argento. Essi (ri)vivono nel trash! Scordatevi film in costume o avventure a tinte fantasy, perché i soldi sono pochi e si campa di script surreali, effetti caserecci e attori da sottoscala. Date il benvenuto agli Etruschi non-morti e ai tombaroli della mafia! Che vi piaccia o no, passiamo al setaccio le pellicole selezionate.
LE NOTTI DEL TERRORE (1980)
di ANDREA BIANCHI
Diretto da Andrea Bianchi, già autore di Malabimba e Nude per l’assassino con Edwige Fenech, Le notti del terrore è da custodire preziosamente proprio per la sua natura indifendibile. Burial Ground (titolo internazionale, insieme a Zombi Horror) non ha la minima traccia di valori produttivi, semmai è un caravanserraglio di situazioni assurde, attori scalcinati e carcasse cannibali di Etrusco retaggio. Armate di zappe, rastrelli e picconi.
Frattaglie rubate all’agricoltura.
Per realizzare i macilenti redivivi, Bianchi si è avvalso di Rosario Prestopino, truccatore ed effettista che vantava collaborazioni con Lucio Fulci, Lamberto Bava, Ruggero Deodato e altri big boss. Passiamo all’incipit di questo trash dalle venature morbose: un sedicente archeologo, rintanato nel suo studio, cerca di decifrare le emoticon di una tavoletta di argilla. Avuto il lampo di saggezza, il losco figuro (un incrocio tra Rasputin e Alan Moore) si fa qualche rampa di scale nelle viscere della terra, dove evoca un intero squadrone di zombie. Non sortiscono effetti le dichiarazioni di amicizia e gli sguardi di terrore (dalla chiara matrice espressionista), il branco se lo pappa come un piatto di carbonara.
Corri, Hagrid, corri!
Salto temporale con un gruppo di amici che piombano nella magione dello studioso (Villa Parisi, ubicata a Frascati, provincia romana). Non viene sprecato minutaggio per presentarli, il focus è sulla pulsione orgiastica: due secondi di dialoghi pedestri, giusto per per chiedersi che fine abbia fatto il padrone di casa, e le coppie iniziano a copulare. Come in una Woodstock dell’hinterland laziale, si fa sesso ovunque. C’è chi dice “Sembri proprio una mignotta” alla moglie in lingerie e chi se ne va in giardino con il pretesto di scattare foto, salvo poi giocare al dottore tra roseti e begonie.
Una mamma da risvegliare i morti.
Compare Mariangela Giordano nei panni di una milf da combattimento navale, ma il piatto forte è suo figlio Michael: l’interprete non è un vero adolescente, bensì un ventiseienne di nome Peter Bark (alias Pietro Barzocchini), affetto da evidenti problemi di sviluppo. Michael ha un’attrazione degenerata per la madre e non la molla un attimo. L’ingrediente più horror, con nostra sorpresa, è questo Benjamin Button edipico che cerca di slinguazzare la genitrice e di ficcarle una mano tra le cosce. Tocchiamo il disagio supremo quando il giovane freak, ormai zombificato, torna tra le braccia materne. La donna, impazzita dal dolore, perde ogni residuo di buon senso e concede finalmente il seno al pargolo, che le strappa un capezzolo a morsi. Ecco i danni dello svezzamento postumo.
I nani (incestuosi) del terrore.
A guastare il proficuo weekend di camporelle ci pensano gli Etruschi, che spuntano dal terreno come tartufi andati a male. Nonostante il coinvolgimento di affermati mestieranti, il make-up fatica a guadagnare un minimo di credibilità: lattice, terracotta, materiali di ogni tipo vengono impiegati per creare degli energumeni che, in fin dei conti, scatenano involontarie risate. Alcuni sembrano delle tartarughe ninja sciolte, altri hanno una faccia da vomito di lasagna. “Conta la sostanza”, direte voi. Ebbene, questi lebbrosi barcollanti sono pure lenti. In confronto quelli di Romero sono dei centometristi dopati. I loro movimenti da bradipo esaltano ancor più l’idiozia acuta dei protagonisti, che preferiscono rifugiarsi nella casa quando avrebbero il tempo di darsela a gambe in qualunque direzione.
Abbigliamento di Filini: poncho argentino di una sua zia ricca, maschera in gomma e vermi da pesca transorbitali.
La masnada putrefatta non annovera scattisti nati, ma supplisce alla scarsa rapidità con l’ingegno. Ve la ricordate la favola della lepre e la tartaruga? Loro sì, e magari erano coevi di Esopo. Gli zombie se le inventano tutte per catturare i nostri arrapati eroi, e si specializzano in classi: c’è lo strangolatore folle, che soffoca la gente stringendo le clavicole anziché il collo; c’è quello che piazza trappole per orsi nel parco; c’è quello armato di ascia. Ma il genio assoluto è lui, lo zombie Etrusco lanciatore di chiodi. Quando una cameriera si affaccia alla finestra per chiudere le ante, il non-morto le centra una mano con precisione millimetrica. Immobilizzata la poveretta, i restanti compari avariati la decapitano facendo calare dall’alto una falce. Roba da tirarsi mazzuolate sui denti per l’ammirazione.
Etruscan Sniper
Circondata l’abitazione e raccolti gli attrezzi agricoli, l’orda marcescente si prepara al round decisivo con i fornicatori altoborghesi. Inseguimenti nei corridoi, sparatorie, carni bruciate. La regia spinge sul gore e sull’azione, ma non basta un delirio da macelleria a coprire la povertà della messa in scena. La performance degli attori cani spinge il pubblico a tifare per il lato opposto. C’è da dire che battute come “Sembrano corrosi dal tempo” e “Sono dei mostri viventi” non aiuterebbero neanche Robert De Niro.
Il cast riflette sulla dimensione escatologica del copione.
L’epilogo strappa un ennesimo sorriso, sempre per i motivi sbagliati: esaurita la fase da home invasion, i superstiti si rifugiano in una canonica per cercare aiuto. Peccato che ad attenderli ci siano proprio loro, gli zombie, che hanno preparato un’imboscata indossando il saio! Il cerchio è completo: zombie Etruschi lanciatori di chiodi e travestiti da frati. Una prova che va a certificare la superiorità culturale di questo popolo, perfino in stato di decomposizione avanzata. Roba da flagellarsi con il pungitopo per lo stupore.
Un veterano dei lazzaretti del Manzoni.
Budella masticate e seghe circolari sono ancora in primo piano mentre scorrono i titoli di coda. Un’opera stilisticamente anarchica, in bilico tra lo splatter casereccio e i pruriginosi inserti softcore. Spaventarvi non se ne parla, disgustarvi è un’opzione, ma se siete dell’umore giusto, Le notti del terrore vi farà crepare dalle risate. Che tipo di insegnamenti possiamo trarne? Il primo: è meglio correre nel Lazio a sigillare con un pietrone quei dannatissimi tumuli. Il secondo: se pernottate in convento, è opportuno non rifiutare il bicchiere di amaro.
“Astemio! Ho detto che sono astemio!!”
ASSASSINIO AL CIMITERO ETRUSCO (1982)
di SERGIO MARTINO
Trascorsi due anni dai frati purulenti, le tombe rocciose tornano a scoperchiarsi. Regista di questo film è Sergio Martino, con lo pseudonimo di Christian Plummer. Eclettico assemblatore di B-movie, Martino ha diretto Lo strano vizio della signora Wardh con Edwige Fenech, La montagna del dio cannibale e il demenziale L’allenatore nel pallone. La produzione era in origine una serie tv da otto episodi, sceneggiata da Ernesto Gastaldi e Dardano Sacchetti, che purtroppo non andò in porto. Agli sfx di tale pasticcio ha collaborato inoltre un esordiente Sergio Stivaletti.
Quando è il film a pubblicizzare il poster.
Il girato venne perciò messo insieme alla buona per ottenerne una sorta di giallo con elementi gangster e paranormali. Pare ne esista una versione lunga, con circa 80 minuti in più, dal titolo Lo scorpione a due code. Protagonista è la fascinosa Elvire Audray, che in seguito comparirà in Schiave bianche – Violenza in Amazzonia e Nosferatu a Venezia. Voci di corridoio affermano che Martino l’abbia scelta per la sua somiglianza con la Fenech. Il prologo si svolge in un contesto onirico, dal tono ancestrale. Nel profondo di una caverna piena di statue e gas sulfurei (scenografie di Antonello Geleng) si svolge un toga party di Etruschi, con tanto di sacrifici umani. Altro che Apocalypto! Intrigante la modalità di esecuzione: le vittime subiscono una torsione del collo di 180 gradi, a opera di un boia che agisce a mani nude. I soliti sacerdoti in costume recitano sinistre litanie.
Ridley Scott presenta “Prometheus a Cerveteri”.
Sorpresa! È stato tutto un sogno (o un ricordo?) della bella Joan, personaggio di Elvire Audray che scoprirà presto di avere facoltà medianiche, e di essere la reincarnazione di una nobile Etrusca. La donna avrà visioni inquietanti per tutta la pellicola, sovente riempite di cagnotti che spuntano dalle sculture e dalle fotografie. Joan è inoltre la moglie dell’archeologo Arthur Barnard (John Saxon), il quale si trova in Italia per indagare su un antico sepolcro. Lo studioso, passeggiando in riva a un fiume, incontra un vecchio eremita intento a suonarsi il piffero, che lo condurrà all’imbocco della monumentale caverna. Si innesca una catena di omicidi: Arthur viene ucciso da una figura misteriosa, che gli gira la testa proprio come nel sogno di Joan! Quest’ultima, decisa a indagare, abbandona New York (descritta con due totaloni in croce) e vola nel cuore dell’Italia.
“Sono Bear Grylls e questo è il mio pasto del giorno.”
Colloqui con la Guardia di Finanza, l’atroce doppiaggio della contessa di Marilù Tolo, scampagnate nei siti di scavo. La parte centrale rallenta a dismisura e cerca di frullare generi distanti tra loro: il thriller argentiano, il poliziottesco, l’avventura mistica e l’orrore. La Audray, più bella che brava, più Etrusca che americana, inciampa nelle soluzioni dell’enigma piuttosto che cercarle. La colonna sonora di Fabio Frizzi rende la vicenda più sopportabile, anche se saccheggia da zombie movie fulciani. Come ci allontaniamo dagli antri fumosi, i set diventano tragicamente anonimi, così come la fotografia. Si avverte il peso di un format televisivo compresso e non all’altezza delle suggestioni che vorrebbe esplorare.
Affreschi strabici e dove trovarli.
La Audray si aggira per i set con la sua espressione svanita e le uccisioni si moltiplicano, sempre con il medesimo modus operandi. Che dire, una donna che fa girare la testa! Il budget è prossimo alla moneta per il carrello, quindi le salme sono vestite al contrario, in modo da simulare la torsione. Non si campa di sacri canopi ed ecco che a stratificare il plot arrivano i gangster: il business dei tombaroli cela un traffico di eroina dall’Italia agli States, con buona pace dei nacros sudamericani. Da qualche parte, nelle catacombe, c’è una cassa con centinaia di chili di droga. La ricerca sfrenata ci offre inseguimenti in auto e una assurda sparatoria dentro l’antro fumoso. Un terremoto con massi di cartongesso rinvia la resa dei conti.
Allenamento per il Final Flash di Vegeta.
Trascorsa un’ora e mezza con le vertebre ancora integre, ci sorbiamo un finale di stampo new age, in uno scenario da attrazione di Gardaland. Poco d’impatto la rivelazione sul vero autore degli omicidi, quasi geriatrica la colluttazione che ne segue. Ospiti speciali sono una pietra di antimateria (sic!) e un deus ex machina che risolve la situazione, uno spettro Etrusco dalle forti braccia. La cosmogonia prelatina e l’eredità dei lucumoni piangono come una comparsa sottopagata, mentre a salvarsi è il sapore kitsch del rituale sognato. L’unica spiegazione possibile è che pure la troupe avesse la testa girata durante le riprese.
Volterra Jones e il maledetto tempio.
Caro popolo Etrusco, grazie ai tagli di bilancio non potrete mai avere battaglie campali o Russell Crowe che arringa la folla. In compenso avete ispirato trashate che riecheggeranno nell’eternità. Nel caso decidiate di apparire a Cinecittà per lanciare chiodi e svitare teste, non credo che qualcuno si offenderà. Gli spettatori temerari sappiano che esiste un altro lungometraggio, dal titolo L’etrusco uccide ancora, a firma di Armando Crispino. Avete abbastanza droghe pesanti per affrontarlo? In attesa della prossima spadellata di Piaceri Lardosi, vi lasciamo con un gustoso pranzo al sacco.
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