I fattori psicologici dietro alla paura dei pupazzi e delle marionette.
di Alessandro Sivieri
Lo sguardo vitreo del pupazzo, immobile su una poltrona, è privo di focus ma il nostro subconscio ci suggerisce che sia puntato su di noi. Stare nella medesima stanza con lui, da soli, ci riempie di un sottile disagio e non vediamo l’ora di allontanarci. È nella camera degli ospiti? È su uno scaffale dello studio? Chissà, potrebbe animarsi quando tutti dormono e aggredirci nel sonno, magari con un coltello da macellaio. La paura irrazionale per questi piccoli simulacri umani, spesso fabbricati come giocattoli o elementi decorativi, ha un nome preciso, ed è Pediofobia. Il terrore delle bambole, dei pupazzi da ventriloquo, a volte dei burattini. La gravità di questa condizione è variabile e da un senso di inquietudine tutt’al più gestibile si può passare all’incapacità di sopportare la vista dell’oggetto.
Direttamente dalla collezione del collega Matteo Berta.
In caso di esposizione prolungata alla bambola, nei soggetti più impressionabili sopraggiungono sintomi affini a una vera e propria patologia, tra i quali battito cardiaco accelerato, sudorazione fredda, difficoltà respiratorie e tremori diffusi. Spesso riscontrabile nei bambini, la Pediofobia più prolungarsi fino all’età adulta, dove i film horror hanno gioco facile. Da dove deriva? Dalla natura artificiosa delle bambole, che richiamano le fattezze di una persona in modo statico e grottesco. Il volto umanoide rispecchia i nostri canoni antropologici (cioè una figura ascrivibile alla nostra specie), ma al contempo ci rendiamo conto che qualcosa non va.
Vi sono dei fattori perturbanti intrinseci. L’espressione impassibile, le proporzioni inesatte, talvolta un occhio chiuso e uno aperto. L’aspetto del giocattolo è pensato per somigliarci a livello macroscopico, pur risultando alieno. Ancora peggio quando, per volere dei costruttori, denota una maggiore accuratezza somatica. Gli odiati pupazzi, infatti, possono essere caricaturali o estremamente realistici, ma ad accomunarli è l’immobilità di un predatore, pronto a scattare quando l’occasione è propizia. La nostra paranoia provvede a farci sentire osservati. Va bene, forse ci osserva, dove sta il problema? Beh, se è modellato su una persona, la fantasia ci fa ipotizzare che sia in grado di muoversi e di riflettere. Avendo però un’origine artefatta, tale feticcio sarebbe privo di anima e di sentimenti, quindi potenzialmente ostile nei confronti di chi è fatto di carne e ossa.
Pensavate che la Settima arte si lasciasse scappare un vettore orrorifico servito su un piatto d’argento? L’universo filmico è popolato da una categoria di icone che possiamo definire, con piglio ironico, “Bambole imbruttite“. Il giocattolo, animato da uno spirito malvagio, ha una corporatura da fanciullo e dei tratti sgraziati, se non proprio ripugnanti. L’infante che ne entra in possesso sembra l’unico a notare la cosa, mentre gli adulti non si esprimono sul lato estetico o sull’aura maligna dell’oggetto, almeno finché non si trovano una mannaia tra le scapole. Un esempio principe è Chucky, bambola brutta come un calcio nelle gengive che ospita lo spirito del serial killer Charles Lee Ray. Abbiamo citato la saga di Child’s Play nella nostra ricca rubrica Archeostoria del Giocattolo. Non perdetevi inoltre l’analisi del remake, dove Chucky ha il Wi-fi e si è sottoposto a un lifting.
Un altro demone inscatolato e con le treccine è Annabelle, che occupa un filone produttivo del Conjuringverse. Basata su un’autentica bambola di pezza, Annabelle non aggredisce fisicamente come Chucky, ma catalizza le entità circostanti e ne scatena la volontà distruttrice. Finisce il primo round. Avete altro fegato da vendere? Bene, non scordiamoci del bambolotto meccanico di Profondo rosso o di Billy, pupazzo da ventriloquo di Dead Silence. Il regista di quest’ultimo è James Wan, che ha un certo feticismo per le bambole e ne cura il design in modo da solleticare il mood ansiogeno. La marionetta di Saw, punta di diamante del torture porn, si chiama sempre Billy e ama servirsi di un triciclo per pedalare incontro alle vittime.
Assassini a rotelle.
Esiste un insieme secondario di giocattoli dalle fattezze non abominevoli. La loro perfidia emerge grazie agli elementi contestuali, ma raramente avranno occhi come carboni ardenti o un ghigno sinistro sul viso. Un esponente di tale sottogenere è il “giovane” Brahms, pupazzo dell’horror The Boy. Impassibile come i suoi colleghi, ha dei fini lineamenti di porcellana che lo fanno sembrare un ragazzino anemico. Attenti a non giocare alla mamma con lui, perché ha un terribile segreto con contorno di carenze affettive. Nemmeno Chinga, apparsa nell’omonimo episodio di X-Files, aveva un aspetto disturbante. In compenso poteva spingere la gente ad atti di autolesionismo e ha traumatizzato il sottoscritto per il resto dei suoi mostriferi anni.
Chiudiamo la sfilata con una menzione speciale per le bambole di Dolls: il cult di Stuart Gordon mette in scena un esercito di giocattoli dalle sembianze variegate. Gli effetti speciali alla vecchia maniera donano una vasta gamma espressiva ai volti plasticosi, mentre gli incauti ospiti vengono trucidati. Nostra croce e delizia, il Cinema ha rafforzato e codificato una serie di timori ancestrali che solo il tempo può mitigare. Siamo esseri razionali, eppure la prudenza non è mai troppa, quindi è meglio pensarci due volte prima di fare il dito medio al pupazzo di vostra nipote. E già che ci siete, mettetelo sulla poltrona più soffice.
Una scena di Horror Puppet, un B-movie campestre con manichini.