Il vuoto di un indie che omaggia John Carpenter.
di Alessandro Sivieri
Uno degli ostacoli più feroci per un progetto indie è la ristrettezza del budget: bisogna decidere dove vanno spese le risorse pecuniarie, temporali e creative. Può essere la morte di una pellicola o anche la sua salvezza, a seconda delle ambizioni personali. Vi sono soluzioni creative che possono supplire alla mancanza di un prop allo stato dell’arte, ma al contrario, non vi è effetto speciale che possa portare sulle spalle un intero film. I registi canadesi Steven Kostanski e Jeremy Gillespie hanno ottenuto una buona parte dei finanziamenti per questo The Void sulla piattaforma Indiegogo, dimostrando fin da subito la loro passione per gli horror anni ’80 e i vfx artigianali. Palesemente ispirato agli incubi cosmici di Howard Phillips Lovecraft, il prodotto finale ha tanta voglia di fare ma risente di un “vuoto” evidente nella sfera scritturale.
Ammiccando agli slasher vecchia scuola, l’incipit ci presenta un tossico che evade da una villa isolata, sfuggendo per un pelo a due redneck che vogliono arrostirlo. Il reietto viene trovato durante la notte dall’agente Daniel Carter (Aaron Poole), che lo porterà in un ospedale dove lavora, tra gli altri, la sua ex-moglie. Ci si accorge ben presto che il pericolo non conosce barriere: nella struttura ha luogo una serie di uccisioni e mutazioni mostruose, e il perimetro esterno viene circondato da silenziosi cultisti con un cappuccio bianco. Mentre i cosplayer imbruttiti del Ku Klux Klan tagliano tutte le vie di fuga e di comunicazione, lo sbirro protagonista deve indagare sul mistero dell’infezione e fare i conti con i fantasmi del passato.
Se gli adepti incappucciati, che se ne stanno immobili con armi da taglio in bella vista, riportano alla mente i killer senz’anima di The Strangers, dentro l’ospedale si consuma una strage dai toni carpenteriani, con corpi martoriati che si trasformano, tentacoli che escono dagli orifizi e frattaglie in abbondanza. L’orgogliosa esibizione di mostri home made ci fa pensare a una copia carbone de La Cosa, meno tesa, meno originale. Insomma, potremmo chiamarla “La Roba“. Altra fonte di ispirazione è il mito di Cthulhu, con il suo nutrito pantheon di creature folli. Come se ci trovassimo in un racconto del succitato scrittore di Providence, incrociamo i passi con sette che venerano divinità oscure e tentano di aprire portali verso altre dimensioni. Lo scopo è conquistare l’immortalità e la conoscenza assoluta dei meccanismi universali, usando strumenti dei quali non abbiamo la piena padronanza.
Sullo sfondo, per pura funzionalità, il tema della morte e della rinascita: bambini che devono venire al mondo, figli morti nel grembo, fanatici che per rimediare a una perdita si spogliano delle proprie fattezze umane (e della propria anima) per sfiorare l’eternità siderale. La vicenda coinvolge emotivamente Daniel e la dottoressa Allison (Kathleen Munroe), reduci da un aborto spontaneo che ha messo fine alla loro relazione. I dialoghi artificiosi non fanno altro che calcare sui trascorsi della coppia, infilando a forza uno spiegone in ogni scambio di battute. Ciò penalizza ulteriormente le prove attoriali, lanciando allo sbaraglio un gruppo di personaggi piatti come un disco uscito da una pressa idraulica.
Più che una storia autonoma, uno showreel dei registi.
Le speculazioni esoteriche e le modalità dei rituali vengono nascoste sotto il tappeto per esaltare la componente gore e mostrare per filo e per segno dove sono stati investiti i soldi: esseri viscidi e deformi, senz’altro belli da ammirare, ma privi di un contesto narrativo che si rispetti. The Void somiglia più a uno showreel dedicato a degli ipotetici produttori, utile a sottolineare la perizia degli autori nel comparto effettistico, ma carente nel tenere alta la tensione.
Dalle incursioni nel body horror a simbologie occulte, non c’è niente che lo spettatore medio non abbia già visto in laboratori antartici o nella cantina di qualche scienziato pazzo. Scenari alieni con piramidi ciclopiche compaiono per riempire un paio di sequenze allucinate e si aggiungono al calderone delle promesse un tanto al chilo, delle occasioni mancate. L’epilogo consacra l’opera a teaser per un mondo in espansione, sperando che degli spin-off più robusti cancellino via il sapore di uno spettacolo messo in piedi per compiacere i propri idoli, come nei sacrifici umani degli antichi.
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