Si torna a pesca di mostruosità abissali con due nuovi film sulla scia di James Cameron!
di Alessandro Sivieri
Sappiate che un giorno, mentre fate snorkeling in una baia, un calamaro gigante potrebbe strizzarvi il midollo fuori dalle ossa per vendicarsi di tutte le fritture di pesce che avete mangiato. Armati di fiocina, torniamo nel fantastico mondo delle pellicole marine degli anni ’80, nate in risposta a The Abyss di James Cameron. Mentre il noto regista canadese lavorava sulla sua creatura, al governo americano sarà venuto in mente di offrire incentivi a chiunque ambientasse un monster movie nell’Oceano Pacifico, altrimenti è difficile spiegarsi una tale proliferazione di orrori subacquei.
Nel giro di pochi anni le videoteche sono state inumidite da una piccola ondata di film abissali, che presentavano dei tratti in comune: sceneggiatura scritta a bottigliate in faccia ed effetti speciali a cura di Giovanni Muciaccia. La qualità delle locandine e la promessa di bestiacce schifose andavano a fomentare l’atavica sete di mistero del pubblico, permettendo alle major di portare a casa un po’ di malloppo. I fondali oceanici sono in buona parte inesplorati e chissà quali pescioni affamati potrebbero ospitare! Le due pellicole di questa puntata sono più saporite di un sauté di cozze e ricche di disagio: la prima portata va a La cosa degli Abissi (The Rift), che include il Sergente maggiore Hartman in un ruolo chiave. Chiuderemo la mangiata con Deep Rising di Stephen Sommers. Proprio così, quello che ha fatto La Mummia. Turatevi il naso e saltate!
THE RIFT di JUAN PIQUER SIMÓN
Da noi chiamato La cosa degli abissi, questo pasticciaccio subacqueo è girato da J. P. Simon, nome americanizzato del regista Juan Piquer Simón, già conosciuto per i ben più memorabili Slugs e Pieces. Il soggetto, di cui è co-autore lo stesso Simón, aveva visto la luce qualche tempo prima di The Abyss, ma il lancio dell’opera di Cameron deve aver convinto la produzione a dare il via libera. The Rift esce nel 1990 e ha una seconda parte spudoratamente simile ad Aliens. Ok, ma la prima? Partiamo dall’inizio con le pallose peripezie dell’ingegnere Wick Hayes. Costui ha il volto di Jack Scalia, che un paio d’anni dopo diventerà il detective Bonetti della celebre serie Tequila & Bonetti. Peccato che qui non ci sia trippa per cani.
L’ingegner Cane dorme fino a mezzodì nella sua villetta, ma viene svegliato bruscamente da due Men in Black dei poveri. Convocato dal governo, scopre che il sottomarino ad alta tecnologia che aveva progettato, il Siren I, è andato perduto nelle profondità dell’oceano. Fortunatamente il successore Siren II è già operativo ed è pronto a correre in aiuto del prototipo gemello. Hayes viene invitato con velate minacce a unirsi alla spedizione in qualità di consulente. Quest’ultimo rifiuta, poiché il governo aveva modificato il design del mezzo senza il suo consenso, aggiungendo delle armi pesanti e un reattore nucleare. Attenzione, caro Hayes: alcuni tuoi vecchi amici erano nell’equipaggio del Siren I, non hai qualche senso di colpa? A questo punto l’ingegnere getta la spugna e accetta l’incarico.
Bonetti stordito senza Tequila.
Quello che è Hayes ignora, è che sta andando incontro alla peggior traversata della sua vita: tutto l’equipaggio del Siren II lo tratta come una pezza da piede per i malfunzionamenti della macchina. A bordo c’è una sua vecchia fiamma, il tenente Nina Crowley (Deborah Adair), biologa che lo odia a morte. Inoltre, udite udite, a comandare la baracca arriva il maestro dell’insulto supremo, ovvero il Sergente maggiore Hartman (R. Lee Ermey). Il capitano Hartman Phillips mette subito in chiaro che sul Siren II si gira con l’uniforme stirata e che nessuno deve permettersi di dargli consigli, in particolare Hayes, che gli sta pure antipatico. Stanco di campare in mezzo a sproloqui militareschi e critiche alla sua competenza, l’ingegnere capellone viene messo in castigo con il cuoco italiano.
“Sei talmente brutto che sembri un capolavoro d’arte moderna!”
Giunti nei pressi della fossa oceanica, seguendo un segnale di soccorso, la musica cambia: ci spostiamo dalla plancia del Siren II, piena di pulsanti e schermi sbrilluccicosi, a delle insidiose caverne piene di bestiacce. I membri della ciurma, nonostante i fucili d’assalto in dotazione, cadono come mosche in un festival dello splatter. La storia viene ravvivata da teste che esplodono e da piranha oversize che strappano la gamba a un poveretto. Gli effetti artigianali danno vita a diverse tipologie di creatura, tra cui degli pseudo-mosconi che escono dalle fottute pareti. Menzione speciale per il boss finale, una stella marina gigante che si pappa i marinai a colazione. A posteriori ci ha ricordato assai il Trilobite di Prometheus!
Resosi conto che qualquadra non cosa, il Sergente Hartman richiama Hayes a rapporto per far luce sul mistero: scopriamo un minestrone di risvolti narrativi che coinvolgono un laboratorio segreto nelle caverne, ma anche degli alieni che venivano da fuori e che hanno deposto uova, poi risvegliate dalle radiazioni del Siren I. Una delle uova si rompe e libera un neonato alieno brutto come la morte, uno scrondo degno di Lovecraft che ha pippato la noce moscata. Nel frattempo, a bordo dello sfigato Yellow Submarine, un’alga prelevata come campione organico si espande in fretta e contamina le persone, ricoprendole di slime. Avete presente La Cosa? Ecco perché l’hanno ribattezzato La cosa degli abissi! Peccato che un sommozzatore cosparso di muco verdastro – in stile starnuto di elefante – non faccia la medesima impressione delle opere di Rob Bottin.
A furia di arti mozzicati, i superstiti capiscono che le preoccupazioni di Hayes non sono così infondate e provano a darsela a gambe, ma ecco spuntare Robbins, il personaggio di Ray Wise, cioè il futuro papà di Laura Palmer in Twin Peaks. Dopo aver trascorso un’ora bello tranquillo, nei panni del cervellone che se ne sta seduto in plancia osservando i monitor, si rivela un traditore con tanto di ghigno mefistofelico a 64 denti. Al soldo di una corporazione, decisa a sfruttare gli esseri mostruosi come armi biologiche, cerca di far fuori i compagni, ma una colluttazione con Hartman & soci lo sistema a dovere. Il tempo di togliersi il berretto e il signor Palmer fa la fine di Ian Holm in Alien. Intanto lo scorbutico capitano di Ermey rivela il suo lato gentile e decide di sacrificarsi per il bene di tutti, mentre Hayes e la sua ex, di nuovo in preda alla passione, fuggono in superficie con la capsula di salvataggio.
Diavolo di un dattilografo!
Le generose dosi di viscidume non riescono a tenere in piedi un carrozzone privo di mordente, portato avanti da individui in tutina che risultano piatti nella sfera emotiva e caricaturali nei lampi patriottici. Il livello del cast e la disponibilità di mezzi lo salvano da paragoni col disastroso Lords of the Deep, ma in ultima questa Roba degli abissi farà felici solo gli estimatori del gore (che skipperanno la mezz’ora di crociera iniziale). Una curiosità: il vero, verissimo titolo originale ispanico è La grieta. Passo e chiudo.
DEEP RISING di STEPHEN SOMMERS
Vi piacerebbe una gita sul Titanic insieme a dei mostri succhioni? Ci pensa Stefano Sommerso, quello che un annetto dopo avrebbe sbancato i botteghini con La Mummia! Deep Rising – Presenze dal profondo è del 1998, ma il suo DNA lo colloca tra le epopee oceaniche dal retaggio cameroniano. In nome della varietà, lasciamo a casa i sottomarini e gli scienziati pazzi; restiamo in superficie con l’Argonautica, una nave da crociera di lusso dove i ricchi giocano alla roulette con le lire e le bariste sexy si tirano delle slinguazzate. Tutto sembra andare a gonfie eliche, si brinda, si fa baldoria, quasi ci scappa un baccanale, ma il gestore della baracca ha un sordido piano. Il magnate Simon Canton (Anthony Heald) non riesce a far fronte ai costi della sua nave e pensa di farla affondare per beccarsi i soldi dell’assicurazione!
A bordo si trova anche la seducente Trillian, interpretata da Famke Janssen, modella olandese che di lì a poco diventerà la telepate Jean Grey negli X-Men di Bryan Singer. Il motivo della sua presenza? Fare palloncini di chewing gum, rubare portafogli e rispondere agli uomini con un’ironia fulminante. Il suo atteggiamento da ladra della upper class la farebbe brillare tra gli Ocean’s Eleven, ma viene scoperta sul più bello e rinchiusa nella dispensa, dove si abbuffa tipo Jack Nicholson in Shining. A ribaltare la sorte collettiva arriva una creatura, spuntata dalle profondità del Mar della Cina, che attacca la nave. Panico generale e fughe disperate, mentre una signorina straricca si rifugia nel bagno e viene risucchiata dal water!
L’affiatamento del personale di bordo.
Tiriamo un attimo il fiato e cambiamo storyline: ci sono dei pirati. In realtà sono più dei terroristi. Insomma, dei pirati terroristi capitanati da Wes Studi, quello de L’ultimo dei Mohicani. Sono diretti proprio verso l’Argonautica e hanno assoldato l’avventuriero John Finnegan (Treat Williams) per dargli un passaggio. Costui è il classico macho che si accontenta dei soldi sporchi. In dotazione ha una barca che si guida col joystick, una assistente coreana rompiballe e un meccanico tossico con il volto di Kevin J. O’Connor. La spalla comica, quello che ha la logorrea e le prende da tutti. Ha un ruolo simile anche ne La Mummia e ha improvvisato molte battute sul set. Ma per l’amor di Cthulhu, stai zitto per cinque minuti!
Fattanze dal profondo.
Nemmeno gli scagnozzi dell’Ultimo degli Uroni scherzano: mercenari armati con mitragliatrici cinesi ad alta ignoranza, impersonati da caratteristi che sanno il fatto loro. Spicca su tutti Cliff Curtis, nella parte del maniaco sessuale che si tromberebbe perfino l’imbottitura del divano. Peccato che non disponga della proverbiale faccia da cattivo. Torniamo a noi: il gruppo investe una scialuppa e il motoscafo va a puttane, ma per fortuna la nave è dietro l’angolo. Finnegan sale a bordo insieme ai pirati per procurarsi dei pezzi di ricambio, scoprendo che l’Argonautica è deserta. Equipaggio e passeggeri riccastri sono scomparsi, in compenso c’è sangue ovunque. La prima ora ricalca lo schema di Aliens (c’era bisogno di precisarlo?) e costruisce una discreta tensione. Il mostro non si vede quasi mai e sorgono conflitti interni alla squadra, tra colpi di scena e repentini voltafaccia. La Janssen si unisce alla combriccola e diventa l’insegnante di sostegno del meccanico strafatto.
“Aliens: Scontro semifinale” di Geims Camerun.
Quando la creatura appare in tutta la sua bavosità, restiamo un po’ delusi. Trattasi di un discendente mutato dell’Ottoia prolifica, un verme vissuto 500 milioni di anni fa. Il suo aspetto fa leva su lunghi tentacoli muniti di fauci e su carta non è niente male. Peccato che Sommers faccia un largo uso della CGI imbruttita degli anni ’90, troppo rudimentale per rendere credibile un mostro antropofago. Ci sarebbe piaciuto un uso più massiccio di effetti speciali vecchia scuola, specie se nella troupe hai pure quel geniaccio di Rob Bottin! Un punto a favore è invece lo splatter, abbastanza spinto per una pellicola action destinata al grande pubblico. Il vermone succhione non si limita a masticare le vittime, le beve letteralmente, prosciugandole dei fluidi vitali. Uno scagnozzo di Wes Studi viene rigurgitato a metà digestione e il suo stato pietoso ricorda parecchio l’Imhotep di Arnold Vosloo!
Ha chiamato il Predator e rivuole la sua bocca.
Nella seconda parte il ritmo decresce e i superstiti passano il tempo a percorrere l’enorme Argonautica da prua a poppa. L’umorismo va per la maggiore ma risulta calibrato con meno oculatezza rispetto alla saga egiziana con Brendan Fraser. Permane l’impressione che Deep Rising duri mezz’ora di troppo e getti la suspense alle ortiche per fare spazio a tamarrate pirotecniche. Una su tutte è la fuga di Finnegan con una moto d’acqua: i corridoi sono allagati e il mostrone gli sta alle calcagna. L’eroe, con abile mossa, spara ai pulsanti del montacarichi e riesce a planarci dentro!
Un po’ traballante nei toni e invecchiato male dal lato effettistico, Deep Rising rimane un prodotto con una certa potenza di fuoco: sul piano tecnico l’attacco iniziale alla nave è una goduria, mentre per le musiche è stato chiamato Jerry Goldsmith, già compositore di… Alien, naturalmente. Di base Sommers ha introdotto determinati elementi che poi svilupperà in modo più efficace nelle produzioni successive. Un bel colpo di coda ci viene assestato dall’epilogo aperto, nel quale i protagonisti finiscono dalla padella alla brace. Ci avrebbe incuriosito un sequel dove il mostro succhiatutto, stando ai presupposti, sarebbe stato il villain più innocuo del film! Se siete in cerca di ulteriori navi infestate, vi consigliamo il recupero di Virus, uscito appena un anno dopo, e di Ghost Ship.
Immagini che puoi sentire.
Riposo, soldati! Avete superato a pieni voti il brutale addestramento subacqueo del Sergente istruttore e non siete stati nemmeno bevuti a morte! Con vostro sommo terrore, nuovi film emergeranno dagli abissi per deliziarvi l’esistenza. Intanto ci prendiamo una pausa e vi consigliamo di aprire un po’ le finestre per far uscire l’odore di aringa.