JOHN WICK – A Baba Yaga nun je devi toccà er cane

Giacca in kevlar, colpi infiniti e si va a uccidere l’uomo nero in tour mondiale.

di Alessandro Sivieri

john wick protagonista della serie

Bitter Wick Symphony

Gli animali sono compagni fedeli, spontanei, che talvolta non hanno difese contro un’auto in corsa o uno stronzetto sadico che passa di lì per caso. È altamente probabile che il sottoscritto vendicherebbe il proprio gatto come ha fatto Keanu Reeves per il suo loppide, inclusi i coltelli da lancio e le librate sulle gengive. Le motivazioni di John Wick si basano su una questione di principio: non è solo per il cucciolo, non è solo per la Mustang del ’69; a essere profanato è il ricordo dell’amata moglie e di un passato relativamente felice, al quale si legano dei lasciti simbolici. Nella fattispecie un cagnolino puccioso è un stimolo – l’unico – ad andare avanti e a non dimenticare le gioie vissute. Un’esistenza non violenta diventa auspicabile, anche per un hitman infallibile. Poi arriva quel bastardello di Game of Thrones e rovina tutto.

mafioso russo john wick e figlio

Senza sapere chi sia John Wick, il figlio viziato di un mafioso russo lo fa pestare, gli ammazza il cane e gli ruba l’automobile. Il padre Viggo (Michael Nyqvist) conosce bene Wick e dà suo figlio per spacciato, insieme al suo dominio sulla mala cittadina. Le leggendarie gesta del sicario in pensione vengono evocate mentre quest’ultimo giace ancora inerme in casa sua: Wick non è l’uomo nero, è quello che mandi a uccidere l’uomo nero. Nessuno può sfuggirgli. Ha fatto fuori tre uomini con una matita (non importa se è una diceria, nel secondo capitolo lo fa davvero!). Il revenge movie ha un gran successo e non si ferma alla soddisfacente morte di Alfie Allen e del disincantato paparino. L’universo che gira intorno al protagonista si è dipanato in tre seguiti e ora, dopo un kill count da fare invidia a un assalto a Stalingrado, la saga di John Wick è giunta al termine. Fino al prossimo oltraggio canino.

john wick fucile assalto film

“Posa quel barboncino a terra! Lentamente…”

Sentiamo già la mancanza delle intrepide gesta dell’assassino tutto botte e monosollabi, tanto da volerne ripercorrere la genesi. Che piaccia o meno, nel cinema action statunitense c’è un prima e un dopo John Wick, una linea di demarcazione a base di coreografie e invenzioni sceniche. Se riesci a superare quella linea, significa che hai degli stuntman con le palle fumanti, una buona copertura assicurativa e un santino di John Woo in camera da letto. Per realizzare un tale prodotto devi prendere il meglio di due filoni che si sono intersecati più volte nei decenni, senza mai raggiungere l’equilibrio incarnato da Mr. Wick; parliamo del modo di fare azione à la Hollywood e di quello orientale, riferendoci in primis alle star e ai registi di Hong Kong. Da un lato il capitale, le piogge di proiettili e le one-liners testosteroniche, dall’altro un massiccio uso di arti marziali e la prevalenza della sostanza sulla forma. I vari Bruce Lee, Jet Li, Sammo Hung e Jackie Chan hanno impresso i loro calcioni nei set statunitensi, mostrando delle potenzialità che l’Occidente ha deciso, con qualche esitazione, di mettere a frutto.

jackie chan e sammo hung da giovani

Si tratta di una visione cristallina, a livello produttivo, di come andrebbe gestita una scena d’azione per il pubblico di massa, un villaggio globale di pugni, lame e pistole. Non è che qualche regista si è alzato la mattina e ha pensato “Ehi, ma se girassi un po’ di corpo a corpo con i campi larghi e senza un montaggio da videoclip?”. Le gestazione del modello Wick è un percorso di sassolini nel terreno, di tracce che possiamo riscontrare proprio nella pellicola che ha consacrato Keanu Reeves: Matrix. L’originale, quello che ha fuso piroette disumane, filosofia e cyberpunk, traghettando l’intrattenimento dall’analogico al digitale. Le sorelle Wachowski hanno ammaliato gli investitori con l’idea di fare in America qualcosa di simile a Ghost in the Shell e hanno farcito la loro creatura con trovate visive, bullet time e cattivoni in giacca e cravatta che ti spappolano il plesso solare con le arti marziali! Lo stesso Reeves ha dovuto studiare le basi del Kung fu e ha mantenuto un’abnegazione che gli sarà utile per la preparazione fisica richiesta da John Wick.

neo vs smith in metro

La direzione di Matrix era quella delle mazzate elaborate, del meno chiacchiere e più calci volanti appesi a un cavo, proprio come a Hong Kong. A che serve la frase spaccona quando puoi mostrare nel dettaglio un combattimento di qualità? Molti prodotti a cavallo del 2000 hanno intrapreso la medesima strada: Wesley Snipes, per esempio, picchiava di brutto con il suo Blade, mentre Kurt Wimmer ha introdotto il Gun Kata nel suo Equilibrium. Se non l’avete visto, si tratta di un vero equilibrio, quello tra la fantascienza e il desiderio atavico di menare. Ambientato in un futuro distopico dove le emozioni vengono soppresse grazie ai rimedi farmaceutici, il film segue le gesta di un dissidente, il campione di un ordine monastico che si addestra nell’uso delle armi. Chi è costui? Di nuovo Kianurivs? Van Damme? No, il letale protagonista è nientedimeno che Bruce Wayne strafatto di Ritalin. Un Christian Bale in ascesa che impiega uno stile di lotta notevolmente fluido, che miscela colpi di pistola, cazzotti, schivate e ricariche senza soluzione di continuità. Che spettacolo per gli occhi!

the raid scena di combattimento

Un ennesimo scossone all’industria è giunto con The Raid, girato dall’americano Gareth Evans e di produzione indonesiana. La pellicola riduce la trama all’osso (l’irruzione delle forze di polizia in un palazzo di Giacarta) e spinge l’acceleratore sulla violenza, avvalendosi dei comprimari Iko Uwais e Yayan Ruhian, che oltre a recitare hanno coordinato le scene di lotta. La loro arte marziale, il Pencak Silat, è tipica del Sud-Est asiatico e si basa su colpi tanto efficaci quanto brutali. Scordatevi proiezioni a terra e calci volanti tanto per abbellire il piatto, perché il Silat fa uso di coltelli, ginocchiate e rotture articolari a impatto. All’arsenale impressionante di tecniche fa da supporto una regia essenziale, affidata ai long take e a una camera a mano ancorata alla progressione del protagonista Rama, che si fa strada da un piano all’altro con l’obiettivo di sopravvivere. Un personaggio umano, che ha tutto da perdere e che si batte come un animale in gabbia. Gli avversari non aspettano il proprio turno per attaccare e ogni mossa è pensata per uccidere, lasciando poco spazio ai commenti da macho. Epocale, tanto da garantire al cast principale un’apparizione in Star Wars Episodio VII: The Force Awakens nei panni di un gruppo di pirati spaziali. Si vocifera che J.J. Abrams gli abbia chiesto dei consigli sulle coreografie, e sarebbe da pazzi fare il contrario. Non chiedereste a Palpatine qualche dritta in tempo di elezioni?

the force awakens cast di the raid

“Questi non sono gli indonesiani che state cercando.”

Il calderone americano di pugni & pistole era pronto all’evoluzione, mancava solo il fattore scatenante. L’iniziativa parte da due addetti ai lavori: Chad Stahelski e David Letich sono due stuntman navigati che bazzicano a Hollywood dagli anni ’90. Il primo, manco a dirlo, ha fatto da controfigura a Keanu Reeves in Point Break e nella trilogia di Matrix. La coppia di amici sa cosa vuol dire stare davanti alla camera e prendere botte, sa di cosa può essere capace un interprete ben allenato e, non meno importante, sa cosa piace al pubblico. Determinante l’appoggio di Reeves, che ai tempi del primo John Wick era già il buono della situazione, non solo sul grande schermo. Un po’ in disparte nel panorama dei blockbuster, eccessivamente legato ai suoi trascorsi da Eletto, Keanu aveva – e ha tuttora – la fama di persona gentile e modesta, socialmente impegnata e pronta a devolvere il cachet per aiutare i meno fortunati. Ragazzi, bisogna proprio essere meschini per odiare Keanu Reeves. Ecco che i due vecchi stuntman lo contattano, gli fanno una proposta e Keanu rinasce. Oggi lui è John Wick. Fa la comparsa nei videogame, partecipa a eventi con spiccate dosi di autoironia ed è il tizio che non va fatto incazzare nei meme.

scena di lotta john wick 4

Nonostante abbia passato i 50 anni, Keanu si è fatto un mazzo tanto per la quadrilogia, in linea con quel senso di abnegazione evocato poc’anzi. Nell’ambito di John Wick non si è trattato di capriole con un costume da Don Camillo ma di tiro dinamico, Brazilian jiu-jitsu, Krav Maga, Eskrima, Judo, Karate e qualunque altra pratica volta a neutralizzare i cattivoni. La sintesi di tale addestramento è il Gun fu, un approccio che ti insegna a utilizzare le armi da fuoco in modo non convenzionale, e se vieni disarmato puoi comunque spezzare il collo a qualcuno in 800 posizioni differenti. Le esecuzioni di John sono pulite senza rinunciare allo spettacolo; sai che vincerà ma senza conoscerne il prezzo, poiché la sua invincibilità viene costantemente messa alla prova: Keanu è un pelino legnoso – diciamolo! – e viene messo di fronte ad avversari che dimostrano più tecnica di lui. Cioè, nel terzo capitolo deve battersi con due attori di The Raid e con il boss finale Mark Dacascos, nelle esilaranti vesti di un fanboy che vuole impressionare il protagonista prima di scannarlo!

mark dacascos in john wick 3

Nell’ultimo film il cast si allarga con nomi d’eccellenza. Parliamo del meglio che il cinema marziale odierno ha da offrire, condensato in una logica da Expendables. Seriamente, ci si spaventa a elencarli: lo sgherro ispanico Marko Zaror, versatile come pochi; Hiroyuki Sanada, un karateka spaccaculi; Scott Adkins, detto Yuri Boyka, capace di acrobazie che sfidano la gravità perfino all’interno di una fat suit; Donnie Yen, star di Hong Kong che negli USA diventa puntualmente cieco. Sì, serve una cataratta per impedirgli di sterminare il set. Dopo Rogue One, Donnie è di nuovo un guerriero non vedente, un sicario esperto che rispetta John Wick e che gli dà la caccia di malavoglia. Se avete una minima conoscenza delle abilità di Donnie, non vi stupirete di fronte al suo stile di combattimento, che trasforma le interazioni ambientali e la combinazione tatto-udito in geniali tecniche di uccisione. Come se non bastasse, la sua figura è un richiamo diretto a Zatoichi, spadaccino cieco del cinema nipponico. Tirando le somme, Donnie è il talento meno sprecato della combriccola e si mangia facilmente metà film. A questo squadrone si contrappone Wick, sempre dolorante, perennemente zoppicante ma guidato da una determinazione incrollabile. Il protagonista di Reeves percorre una via crucis di aggressioni letali, quasi dovesse confermare agli spettatori la sua aura mitologica, ed è troppo indaffarato per i monologhi introspettivi.

donnie yen cain in john wick 4

Non fare battute sulle botte da orbi, non farle…

Le imprese di Baba Yaga sono suffragate da un camera work accurato e da un color grading  ricercato, come se Nicolas Winding Refn si fosse incaponito ad adattare un picchiaduro a scorrimento e l’avesse riempito degli elementi visivi che tanto gli piacciono: luci al neon, scorci urbani di ampio respiro, tonalità blu, rossa e viola spinte a mille. Imprescindibili gli omaggi a pellicole del passato che hanno lasciato il segno nel genere di appartenenza, dal western al pulp: in John Wick 3: Parabellum il nostro antieroe assembla una pistola a tamburo testando componenti di diversi modelli, richiamando Eli Wallach ne Il buono, il brutto, il cattivo; nell’ultimo film la fuga del suddetto per i vicoli di Parigi viene commentata da una stazione radiofonica e accompagnata da una cover di Nowhere to Run, alla stregua dei Guerrieri di Coney Island, evolvendosi poi in una sequenza ripresa dall’alto in stile third person shooter; il duello finale – regolato da un rigido codice che prevede araldi e padrini – si muove a metà tra un Mezzogiorno di fuoco e un Barry Lyndon, specie se consideriamo i manierismi europei del marchese de Gramont. In proposito, il giovane Bill Skarsgård riesce a tirar fuori un accento francese peggiore di quello di Robert Pattinson col parruccone in The King. Bastava quello a guadagnarsi una pallottola in mezzo agli occhi.

donnie yen bill skarsgard e marko zaror in john wick 4

Il livello supremo viene raggiunto quando Keanu Reeves cita spudoratamente Neo, asserendo di volere “armi, tante armi” per sgominare un pulmino di assaltatori corazzati. Che dire? Spara anche a me, Keanu. Fammi saltare la macchina. Da hacker Eletto a killer scomunicato, riesci a renderti memorabile e a giocare con la tua stessa legacy attoriale, rimanendo a un passo dalla paraculaggine grazie al sudore della fronte. Lo stesso non si può dire per il mondo che circonda Wick, sebbene uno dei pregi della saga sia il world building: esiste una società segreta di assassini alla quale John era affiliato. Ha membri in tutto il globo terracqueo, ha una sua moneta, ha dei comandamenti da rispettare e una manciata di zone franche dove i killer possono soggiornare e riposarsi, con il divieto di uccidere durante la permanenza. Parliamo degli Hotel Continental, che hanno fornito materiale a una serie spin-off in arrivo su Prime Video. La lore di John Wick è molto vendibile, stratificata, non priva di contraddizioni, al punto da immaginare che la quantità di assassini superi la popolazione civile in un normale centro abitato. Hai una taglia sulla testa? Aspetta, ora la centralinista punkabbestia fa scattare il conto alla rovescia e in dieci minuti spunterà un cinese da un bidone dell’umido per farti saltare le chiappe.

bunker del continental in john wick

L’ordine di scomunica del protagonista proviene dalla Gran Tavola, un cerchio di malfattori e pezzi grossi che dispongono di mezzi virtualmente illimitati e possono fare il bello e il cattivo tempo. I capoccioni dell’organizzazione non si vedono mai ma abbiamo a che fare con i loro emissari, con il quasi-membro Riccardo Scamarcio e con il cosiddetto Reggente, che sta al di sopra del cerchio magico e richiede un pellegrinaggio nel deserto per un consulto spirituale. John si reca dal sommo beduino per essere reintegrato, si taglia pure un dito in stile Altair, poi ci ripensa, fanculo la Gran Tavola, ammazzo il nuovo Reggente perché quello vecchio ha perso ai ballottaggi e cerco la pace interiore. Tutti ricordano a John che l’unica vita possibile per uno come lui è quella in mezzo ai morti, e nemmeno lui sa dove finisca la scia di cadaveri motivata dalla vendetta e inizi quella del puro istinto omicida. Le sue scelte non brillano per coerenza, insieme alla sue alleanze e all’intero impianto narrativo, asservito alla performance degli stuntman e di chi si allena da tutta una vita a cascare come si deve. Un sovvertimento dei ruoli cinematografici che esige abilità fisiche prima di quelle strettamente attoriali, con gioia degli addetti ai lavori. I pochi dialoghi chiarificatori vengono assegnati ai veterani Ian McShane e Laurence Fishburne, calati in due ruoli squisitamente ambigui e troppo bolsi per andare in giro a crivellare un povero Cristo con proiettili esplosivi.

ian mcshane e laurence fishburne in john wick 4

Oltre a non essere il piatto forte del prodotto, la sceneggiatura si fa autoindulgente un capitolo dopo l’altro, usando come asso pigliatutto una mitologia appena uscita dalla confezione: John ha una fama di invulnerabilità? Facciamogli sopportare qualunque tipo di caduta, inclusa quella dalle scale del Sacré-Coeur, che farebbero impallidire Po di Kung Fu Panda. C’è un eccesso di sicari per metro quadro? Inventiamoci un soffice abito antiproiettile dove basta coprirsi la faccia con le maniche per trasformare una raffica di mitra in una partita a soft air. E se i cani che masticano i genitali a comando si dimostrano un successo, ripetiamo la formula nell’episodio seguente. Le tinte noir vengono accantonate per approcciare le logiche da videogame, con tanto di boss di fine livello e scenari dal layout fantasioso. Ogni pezzo del puzzle conduce a un’azione mindless che si esaurisce in se stessa e si fa apprezzare per la bontà dell’esecuzione. Funziona? Perdincibacco, sì! L’universo della saga si espande, il co-creatore David Leitch è finito a girare Atomica bionda e perfino Netflix imita la formula sfornando robe come Polar con Mads Mikkelsen, nel quale troviamo, guarda caso, una corporazione di criminali e un infallibile killer in pensionamento.

mads mikkelsen black kaiser in polar

John Wikkelsen

Per citare quel mattacchione tabagista di Churchill, John Wick ha combattuto ovunque. Ha combattuto in moto, a cavallo, in metro e sui cocci delle decine di pannelli di vetro contro cui è stato scagliato. Preso atto della sua vena di rinnovamento, ha trascorso ulteriori ore a compiere esercizi sugli stilemi da lui stesso dettati e potrebbe essere al punto di non ritorno. Il main character, salvo una botta di genio che manco Hitchcock con lo sciroppo al cioccolato, ha terminato gli argomenti e può solo circondarsi di altri artisti marziali da sopraffare, rimanendo uguale a se stesso. Lo vogliamo davvero in cima a una piramide o nelle grotte di Postumia? Quante volte ha ripetuto quella proiezione a terra con colpo alla testa? Usando un occhio di riguardo per la salute di Reeves, i proiettili sono infiniti ma le vertebre no, quindi è giunto il momento di capire se l’universo di John Wick può svilupparsi senza il suo capostipite e farci conoscere un inquilino inedito del Continental. Grazie Keanu per averci ricordato che le cose vanno fatte per bene anche nei generi caciaroni e che sei il migliore a scegliere il lato giusto del confine tra l’inventiva e l’imitazione. Una lezione che il mercato porta spesso a dimenticare.

john wick 3 scena di lotta finale

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