INDIANA JONES e il destino del vombato

Harrison Ford rientra dal pensionamento per trovare la meridiana della sorte.

di Alessandro Sivieri

poster di indiana jones 5 il quadrante del destino film

Dopo una vita trascorsa a dare la caccia a tesori che dovrebbero stare dietro una teca, finisci a fargli compagnia. Gli anni passano e, se esiste un’età da pensione per l’insegnamento accademico, il discorso è diverso per l’hobby dell’eroismo. Ecco, Indiana Jones incarna la nostra concezione di eroe cinematografico: tosto e acculturato, donnaiolo incallito e profondamente umano. Una persona innamorata della Storia, che cerca di salvare i reperti più preziosi dall’indegna mano dei tiranni e che, anche se non è facile da ammettere, ha una dipendenza nei confronti dell’avventura e dei brividi che offre. Con la saga di Indy quei due geniacci di Steven Spielberg e George Lucas hanno settato uno standard molto alto, hanno codificato un genere, consegnando Harrison Ford alla leggenda. Il professor Jones è il personaggio al quale Ford è più affezionato e nel quale riesce a calarsi come in un guanto, al di là di tutti i Rick Deckard e gli Han Solo, perché ne esalta le doti da divo e da “stuntman mancato”.

quadrante del destino indiana jones cosplayer di monster movie
Io e il collega Matteo Berta alla volta di Alessandretta per goderci il film.

Indiana Jones tira i cazzotti ai nazisti, sfugge alle trappole, esplora rovine e si rende protagonista di inseguimenti spettacolari, senza vergognarsi di anteporre l’azione pura agli enigmi cervellotici. Ogni dettaglio è ai massimi livelli, dalle scenografie agli espedienti narrativi che permettono all’archeologo di portare a casa la pelle. C’è da dire che la trilogia originale ci aveva abituato molto bene; ne siamo innamorati al punto da averle dedicato articoli di approfondimento (Il tempio maledetto) e una rubrica video (chi si perde Indiana Lore verrà salutato come in Austria). Ma torniamo per un attimo negli anni ’90, durante i quali sono nati prodotti che hanno tratto un’evidente ispirazione dalle peripezie di Indy, vedansi La mummia con Brendan Fraser e Il mistero dei Templari con quel mattacchione di Nicolas Cage. La concorrenza si è fatta più agguerrita, è sbocciato il mercato videoludico, dove il personaggio di Ford ha compiuto grandi imprese (primeggiano sugli altri The Fate of Atlantis e The Infernal Machine). Il quarto capitolo, che doveva posizionarsi dopo Indiana Jones e l’ultima crociata, è rimasto a lungo in un limbo, tra indecisioni sul MacGuffin (il manufatto di turno) e un interprete che nel frattempo si incamminava verso il reparto geriatria.

indiana jones e il regno del teschio di cristallo scena con teschio

Infine, nel 2008, è arrivato nelle sale Indiana Jones e il regno del teschio di cristallo, in cui un Harrison Ford riprende in mano frusta, cappello e revolver a 66 anni suonati. L’ambientazione si sposta nella Guerra Fredda e ai nazisti si sostituiscono i russi, dei villan decisamente meno teatrali e carismatici, seppure in linea al contesto rappresentato nel film, quello di un’America terrorizzata dall’idea di ritrovarsi il nemico comunista in casa. Le reliquie di stampo abramitico vengono messe da parte per introdurre i mitici teschi di cristallo, che nel mondo di Indy sono connessi a “entità extradimensionali” sepolti in una piramide precolombiana. Insomma, si tratta di alieni, un argomento da sempre caro a Spielberg e Lucas che qui viene calato dall’alto, suscitando la delusione di parecchi fan: il background del professor Jones, nelle prime tre pellicole, è caratterizzato da magia e misticismo, che qui risentono di una contaminazione fantascientifica e di scene al limite come quella del frigorifero atomico. Certo, questo non salva la caduta in canotto del Tempio maledetto ma le problematiche di questo “sequel fuori tempo massimo” hanno fatto levare da più parti voci colme di scetticismo, dirette a un Ford troppo attempato per imbarcarsi in grandi imprese senza diventare la parodia di se stesso.

indiana jones e mutt williams

Tutto sembrava finito, era ora di godersi il matrimonio con Marion recuperare il tempo perduto con il figlio ritrovato Shia LaBeouf. Il cappello polveroso andava appeso al chiodo, anche se Indy sarebbe rimasto l’unica persona degna di indossarlo nei secoli dei secoli. Addio all’avventura? E invece no! Harrison Ford torna a quasi 80 anni, prende di nuovo a sberle i fottuti nazisti e attraversa mezzo mondo per una meridiana! Indiana Jones e il quadrante del destino nasce da una sceneggiatura passata da diverse mani, incluse quelle del blasonato David Koepp, mentre Steven Spielberg qualche anno fa si era ritirato dal ruolo di regista con sommo stupore di chiunque, limitandosi a fare il produttore esecutivo insieme a Lucas. Può darsi che la storia non lo convincesse, può darsi che si trovi a un punto della sua lunga vita dove l’interesse si è spostato su lavori intimistici come The Fablemans. Caricandosi un peso enorme sulle spalle, alla regia era subentrato James Mangold, e non parliamo certo di uno sprovveduto: ha diretto Logan e Le Mans ’66, uno dei migliori film di corse automobilistiche che ci sia capitato di vedere da quando abbiamo smesso di succhiarci il pollice.

castello dei nazisti dial of destiny

Inutile dire che non stiamo parlando di uno sfornatore seriale di pietre miliari ma di una persona che, dotata dei giusti mezzi, può tirar fuori l’equivalente filmico di un pasto luculliano. Nel caso della saga di Indiana Jones, non si tratta di capire chi potrebbe girare meglio o peggio di Spielberg, quanto di chi si avvicinerebbe maggiormente alla sua messa in scena: le ambientazioni vengono percorse con carrellate che seguono le avvincenti imprese del protagonista, ci sono le famigerate Spielberg face che accorciano le distanze con volti dall’espressione stupita, ci sono intere sequenze che si aprono sul dettaglio di un oggetto che di lì a poco verrà utilizzato da un personaggio. Lo stile spielberghiano è semplice ed efficace ma richiede che i set siano strutturati in un certo modo, esige scenografie e folle di comparse credibili, e rappresenta il punto di vista a cui ci hanno abituato per le gesta di Indy. Non si può tagliare del tutto i ponti con un passato che ha proprio l’approccio visivo e direttivo tra i suoi punti di forza, cosa che la Disney, novella detentrice dei diritti, sa molto bene. Potevano convocare J.J. Abrams, che in fondo è tra i migliori quando si tratta di “fare” Spielberg, o un tizio come Colin Trevorrow, capace di fare una porca figura in Jurassic World: Dominion. Invece hanno optato per Mangold, e il signor Mangold per nostra fortuna ha studiato più del primo della classe dopo un cocktail di ginseng e Red Bull.

quadrante del destino treno dei nazisti

Il fatto che a partire dal prologo si senta un sapore di Indy nonostante il cambio di regia è di per sé un miracolo accostabile alla guarigione istantanea dopo una sbevazzata dal Graal. Una ventina di minuti eccitanti che ci proiettano nel 1944, con in nazisti in ritirata che fanno incetta di tesori da portare al Führer. Il tipico contesto a cui siamo abituati: castelli sperduti nelle campagne, treni, casse di bottino e ufficiali della Wehrmacht che strillano ordini. C’è pure Thomas Kretschmann nei panni di un feroce colonnello tedesco, cosa che non stupisce se guardiamo al suo curriculum (Stalingrad, Il pianista, La caduta, Operazione Valchiria). Insomma, oltre ad aver fatto Dracula per Dario Argento, questo povero caratterista ha indossato tutte le uniformi del Reich! Un long take illustra lo scenario seguendo un ignoto prigioniero che viene tirato giù da un furgone (situazione che ricorre più volte nella pellicola) e ci rendiamo conto che la regia sta davvero mettendo una bella dose di Spielberg nei movimenti di macchina, raccontando una storia con le immagini, senza la pretesa di battere un maestro al suo stesso gioco.

indiana jones quadrante del destino deaging

Il vero e proprio ingresso in scena di Indiana ci mostra i progressi della tecnologia di de-aging utilizzata dalla Disney negli ultimi anni. Il personaggio è di nuovo un quarantenne e, nelle inquadrature più statiche, risulta apprezzabile nel realismo e nell’espressività facciale; il discorso prende un’altra piega quando lo vediamo in azione, magari in corsa su un tetto o durante una colluttazione. Possiamo riassumere questo azzardo in un 50% di successo e un 50% di uncanny valley, con un protagonista che mostra inevitabilmente uno sguardo spento, alieno, tipo il membro di un’altra specie. Ciononostante Ford si è prestato fisicamente a gran parte delle scene, muovendosi come se avesse la metà dei suoi con risultati ben più soddisfacenti di De Niro in The Irishman, per dirne una. È comunque eccitante assistere a un prologo adrenalinico, capace di far gustare ai più giovani il sempreverde cazzottone ai nazisti, i colpi di frusta e le doti improvvisative di un Indy nel pieno delle forze. A trasudare Spielberg & Lucas non è soltanto la fotografia, è il modo in cui il professor Jones si salva da un’esplosione, balza da un veicolo all’altro e trova espedienti per attraversare indenne i vagoni pieni di truppe tedesche. I villain hanno l’equilibrio necessario tra il bastardone e la macchietta, i lampi di ironia sono funzionali alla progressione degli eventi. Sì, lo stai facendo nel modo giusto.

giovane indiana jones e il quadrante del destino

La ventina di minuti di abboffo nostalgico comprende la rivelazione di un MacGuffin che poteva benissimo diventare l’oggetto chiave di un film autonomo e che è pure apparso in un fumetto dedicato all’archeologo. Una mossa astuta che apre a una riflessione del compagno di avventure di Indiana, il professor Basil Shaw (Toby Jones), sul reale valore di un reperto, che vede in contrapposizione la fede nazista nel sovrannaturale (abuso di poteri ultraterreni) e il rispetto dovuto da un accademico agli oggetti del passato, tema che caratterizzava anche il prologo de L’ultima crociata. Fa inoltre la sua comparsa il villain principale, il dottor Voller, promettente fisico che suggerisce agli ufficiali del Reich di vincere la guerra con la scienza e non con la superstizione, venendo ignorato da questi ultimi come una Cassandra qualunque durante l’assedio di Troia. Mads Mikkelsen è celebre per il suo typecasting nel ruolo di cattivone e, a detta sua, si diverte a “interpretare i perdenti”.

quadrante del destino dottor voller

Il suo Voller, che tornerà decenni dopo all’inseguimento del Quadrante del Destino, è una sorta di anti-nazista, un individuo che va oltre il culto della personalità di Hitler e che vede il regime come un perfetto esempio di ordine guastato dall’incompetenza altrui. Il suo credo è nelle formule matematiche, nel “suo” modello di nazismo, aspetto che lo rende pericoloso quanto i fedelissimi del Führer e che crea una connessione speciale con il Quadrante, formalmente il meccanismo di Antikythera. Rispetto a un’Arca o a un Graal, che porterebbero a un disastro nelle mani di un imbecille qualunque, il congegno inventato duemila anni fa da Archimede segue una filosofia diversa e va compreso. Diventa efficace solo se il possessore ne analizza il funzionamento e ci mette del suo, e questa natura strumentale lo rende uno degli artefatti più “concreti” apparsi nella saga. Presentato il cattivo, fatto il pieno di good old vibes, salutiamo l’Indiana spaccone e balziamo nel 1969, dove Ford può rispecchiare la sua età anagrafica. Siamo in un periodo di cambiamenti sociali, di novità culturali e di una corsa allo Spazio che si è appena conclusa con l’allunaggio statunitense.

indiana jones e il quadrante del destino 1969

L’Indiana attempato e la sua malinconia evidenziano l’utilità del prologo nel creare un contrasto tra le grandi imprese del passato e la futilità di un presente nel quale il protagonista è incapace di riconoscersi. A quanto pare non ci sono più nazisti da combattere (anzi, certi scienziati sono pure stati assoldati dagli USA!) e la Guerra Fredda è concentrata nella propaganda, nel celodurismo siderale che si risolverà con il fatidico passo di Neil Armstrong. Il popolo non guarda più alle reliquie del sottosuolo, guarda alle stelle con la sfrontatezza dei giovani. Da docente che faceva invaghire le studentesse, Jones è un anziano che gira in mutande, si lamenta con i vicini per la musica alta e riceve regali di pensionamento da colleghi che, senza dirlo chiaramente, lo trovano palloso. Ad aver abbattuto Indy non sono gli anni e nemmeno i chilometri, sono vicende affettive che non è stato in grado di affrontare e che lo hanno convinto di aver sparato l’ultima cartuccia in tutti gli ambiti della sua esistenza.

helena shaw phoebe waller-bridge quadrante del destino

A scuoterlo arriva la proposta di collaborazione della sua figlioccia, Helena Shaw, figlia di quel Basil che lo aveva accompagnato tempo addietro sul treno nazista. Il personaggio di Phoebe Waller-Bridge ha il pregio di guadagnarsi un carisma pazzesco senza mettere in ombra l’anziano Indiana, con il quale forma un nucleo famigliare surrogato che comprende l’adolescente Teddy (Ethann Isidore), lo Shorty della situazione. Sceneggiatrice e protagonista della serie televisiva Fleabag, Waller-Bridge è una bellezza non convenzionale che si pone come un’antieroina lontana dallo standard delle principesse disneyane. Helena è una canaglia, un prototipo di Han Solo nell’universo di Indy come poteva esserlo Kayla Watts in Jurassic World (alla quale abbiamo dedicato un corto). Ciliegina sulla torta, Indy le ha affibbiato un soprannome stupendo: Vombato. Wombat. Ci siamo informati su questo strano animale e abbiamo scoperto che è un marsupiale tozzo che rilascia feci di forma cubica. In pratica, magari hai già qualche complesso da dodicenne e il tuo padrino ti chiama come un toporagno che caga male.

vombato in miniatura indiana jones
Ci siamo subito regalati un vombato portafortuna.

Oltre a bazzicare negli ambienti malavitosi, Helena ha la scomoda abitudine di far perdere la testa ai rampolli dei boss, i quali non si rassegnano facilmente alla friendzone e la inseguono con un machete. Il monologo in barca e le scene dell’asta con i contrabbandieri bastano a evidenziare la bravura dell’attrice, e non sappiamo se apprezzeremmo una produzione dedicata interamente a lei, ma la troviamo l’aggiunta femminile più azzeccata per il contesto in cui si muove l’Indiana ottantenne. La prima parte del film, introduzione di Vombato a parte, non brilla per coinvolgimento: la chase scene più debole è proprio quella dove Indiana torna metaforicamente in servizio, fuggendo da un branco di sgherri capeggiati dal fanboy nazista Klaber (Boyd Holbrook). La fuga a cavallo durante una parata ricorda il galoppo nel deserto de L’arca perduta e offre diversi presupposti per un’azione dinamica e divertente, specie quando la tappa finale è la metropolitana di New York. Carino e perfettamente in linea con lo spirito della serie l’espediente di unirsi a un coro di manifestanti per creare impaccio ai cattivoni. Il problema risiede nella testa di Ford maldestramente appiccicata ai fantini stuntman, specialmente in uno shot che avevamo già visto nel trailer e che speravamo non passasse alcun tipo di controllo qualità. E invece l’hanno tenuto, più posticcio che mai! In altre parti il protagonista in primo piano è troppo distaccato dallo sfondo in termini di illuminazione e messa a fuoco, lasciando emergere quel pizzico di artificiosità che distrae lo spettatore.

indiana jones frusta tangeri

L’inseguimento a Tangeri segna uno spartiacque nel ritmo e nella qualità effettiva della storia ambientata nel ’69, con Indiana che balza da un tuk tuk all’altro per seminare i criminali arrabbiati e recuperare un pezzo del fatidico Quadrante. Lo script tiene conto in maniera intelligente dei limiti fisici dovuti alla terza età e incastra Ford in scenari dove i beneamati cazzotti sono ancora presenti, ma il fulcro è l’abilità nella guida dei veicoli o il patrimonio di conoscenze di una determinata nozione, di una persona o di un luogo. Dove non arrivano i muscoli arriva l’esperienza sul campo. Poi può capitare che vostro nonno risponda stizzito “Conosco Tangeri!” alle vostre proteste e si getti giù da uno scalone a tutta velocità, è il sale delle scampagnate avventurose con il mentore privato della pennichella. E lascialo guidare, il nonno!

indiana jones inseguimento a tangeri con tuk tuk

La seconda parte del film diventa puro Indiana Jones, alle prese con dimensioni inedite quali le immersioni in mezzo alle anguille e l’esplorazione delle rovine a Siracusa, dove Ford riesce a riprodurre quel fantastico guizzo negli occhi di chi si eccita come un bambino di fronte a una nuova scoperta, a una sensazione che credeva perduta per sempre. Il cattivo Voller, spacciatosi per dottor  Schmidt, getta la maschera sulle sue intenzioni e si atteggia da tipico criminale nazista che si è rifugiato in Sudamerica; veste di bianco e dispone di mezzi insospettabili per raggiungere i suoi arianissimi intenti, incluso un plotone in costume d’epoca nascosto in aeroporto! Nota di demerito la Sicilia rappresentata dalla produzione, capace di sbatterci in faccia una processione religiosa, i fruttivendoli, i gelati, le motorette e l’acqua Fiuggi in meno di dieci secondi. Si salva solo perché quella di Aquaman era peggio. Vabbè, cediamo allo stereotipo dell’Indianaverse: i tedeschi non perdono le antiche abitudini e gli Italiani passano il tempo a fare scongiuri e a pijà er gelato. Viene ulteriormente irrobustita l’alchimia tra Indy ed Helena, che riesce a mettere il padrino di fronte alle questioni irrisolte del passato, dalle quali non si può scappare, nemmeno chiudendosi in una tomba o abbandonandosi alle leggi del Quadrante.

quadrante del destino ruota di archimede

Tornando a quest’ultimo, l’atto finale ne svela il funzionamento e per alcuni fan sarà un duro colpo. Nelle scenografie (il teatro dei burattini a Siracusa, le incisioni sulla tomba) si potevano già osservare dei dettagli che in un certo senso spoileravano ciò che sarebbe accaduto, e da parte nostra consideriamo un tocco di classe l’inclusione di particolari anticipatori della trama direttamente nelle scenografie, proprio in stile Midsommar. Si tratta di un’accortezza che, andando a braccetto con la qualità della regia, ha elevato il quinto capitolo da semplice compitino a degno prosecutore del franchise, un episodio con atmosfere tutte sue e logiche interne che sfruttano a proprio vantaggio le proprietà del MacGuffin: il Quadrante va usato con attenzione, adattandosi alla mentalità di chi l’ha costruito, che a sua volta aveva degli scopi precisi e confidava in un suo futuro utilizzo. Non siamo ai livelli di un prestigio nolaniano, eppure gli indizi nelle scenografie e l’intero svolgimento dell’epilogo ci hanno reso un pubblico che vuole essere ingannato e che, decidendo di stare al gioco, può godersi dei momenti clamorosi a livello di fotografia e di emozioni.

primo piano indiana jones e il quadrante del destino

Parliamo di stare al gioco perché ci sono dei bocconi amari quanto l’ingrediente alieno in Indy 4, pronti a far storcere il naso ai puristi della trilogia originale, ma superato quello scoglio ci rendiamo conto che, con tutto ciò che ha visto il professor Jones nella sua lunga vita, questa può essere la realizzazione di un suo desiderio proibito, un avvenimento che non riesce a spiegare e che, al contrario di un’Arca scoperchiata, lo tocca intimamente. Si tratta di una ricompensa meravigliosa per la sua vocazione archeologica. Riusciamo a individuare un passaggio in cui la pellicola poteva tranquillamente chiudersi, nel pieno rispetto di ciò che il personaggio rappresenta, e invece veniamo catapultati in una conclusione tranquilla, dalle note agrodolci, forse l’attimo più fan service di un film che aveva evitato con accortezza di cedere a tali lusinghe. Per quanto sia scritto con cognizione di causa, il finale fa rimpiangere il folle coraggio del terzo atto che lo ha appena preceduto.

indiana jones cappello e frusta

Tirando le somme sull’avventura dal minutaggio più consistente della saga, vogliamo complimentarci con Mangold per come ha rimaneggiato un’eredità spinosa, rischiando di essere salutato come fanno in Austria. Non c’è niente di meglio che entrare in sala con la paura di non apprezzare un film, salvo ricredersi minuto dopo minuto, fino a rilassarsi e godersi lo spettacolo. L’altra faccia della medaglia (o del quadrante) è l’immortale John Williams, di ritorno con una delle ultime colonne sonore prima del ritiro definitivo dalle scene (stando alle interviste). Il compositore mette in risalto le sequenze con una padronanza eccelsa dell’orchestra, e se qualcuno di noi avrebbe voluto una citazione prolungata del famigerato tema dei nazisti de L’ultima crociata, siamo rimasti impressionati da una soundtrack sfaccettata, incentrata sul lato dark e tragico della saga, specie se ascoltiamo il Prologue to Indiana Jones and the Dial of Destiny, il tema di Voller e quello di Helena. Il plauso di chiusura va a Ford, per nulla intimorito di dimostrare che Indiana è il personaggio a cui deve la sua leggenda, un’icona più preziosa di qualunque Graal o pietra di Sankara. Il divo tiene il cappello incollato alla testa, esibisce la consapevolezza dei suoi anni e riesce a non perdersi nel suo stesso museo!

Non perdetevi la nostra pre e post-visione di questa caccia alla Meridiana della Sorte:

Rispondi

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.