Bestie leggendarie, complotti barocchi e arti marziali.
di Alessandro Sivieri
Le pellicole horror ispirate a leggende metropolitane e racconti folkloristici hanno un certo fascino. Questa volta parliamo della Bestia del Gévaudan, misteriosa creatura che terrorizzò le sperdute campagne francesi nel ‘700, massacrando uomini e animali. Diventò un caso di cronaca, tanto che la corona inviò i suoi migliori cacciatori nel tentativo di fermarla. La natura della Bestia rimane tutt’oggi sconosciuta. Probabilmente si trattava di un lupo troppo cresciuto, ma ai tempi, complici le superstizioni popolari, l’isteria collettiva e la tendenza fin troppo umana a confondere mito e realtà, con racconti che si ingigantiscono di bocca in bocca, si parlava addirittura di un licantropo. E ora veniamo a noi: siamo agli inizi del 2000 e a portare questa vicenda sul grande schermo, prendendosi le dovute licenze, è Christophe Gans. Lo avrete già sentito nominare per La bella e la bestia (non quello con Emma Watson ma il meno noto con Léa Seydoux) e Silent Hill.
Con un buon gusto per l’azione e il gore, il cineasta francese non perde di vista la cura per l’estetica confeziona una pellicola insolita, un ibrido con qualche mancanza scritturale ma carico di testosterone. Il comparto scenografico e la fotografia di scuola europea si legano a scene di lotta che avrebbero il plauso di John Woo. Il Settecento con i giardini fioriti e le dame imbellettate può essere più pulp di quanto credevate! In mezzo a questa bolgia di cacce nella foresta, vittime squartate e botte da orbi si trova perfino un po’ di spazio per l’indagine: la Bestia esiste davvero? Che cos’è? Chi la controlla?
Far luce sulla vicenda sarà il compito dei due protagonisti: il cavaliere De Fronsac (Samuel Le Bihan), avventuriero galante, e il suo compagno irochese Mani (Mark Dacascos, noto artista marziale). I due vengono inviati dal re in persona nel Gévaudan per disfarsi della creatura, ma dovranno prima vedersela con gli aristocratici locali, coinvolti in un oscuro complotto e capeggiati da un Vincent Cassel incestuoso e follemente antipatico. Non scordiamoci le belle donne: la candida Émilie Dequenne e Monica Bellucci nei panni di una affascinante prostituta d’assalto.
Se avete voglia di un racconto di mostri, cappa e spada con innesti alla Matrix, afferrate i popcorn e caricate il moschetto. Gli intransigenti non si aspettino verosimiglianza solo perché si tratta di un film in costume. L’impianto narrativo è costruito sulla carta velina e prende dalla Storia solo ciò che gli può servire, incorniciando la violenta resa dei conti in un retroscena massonico. Risaltano i personaggi kitsch, in primis l’acrobatico pellerossa Mani, che non sfigurerebbe in un capitolo di Tekken. Se le coreografie pompano alla grande alcune sequenze, altre si abbandonano a espedienti insipidi, facendo calare la soglia dell’attenzione: la temibile Bestia viene resa con una CGI invecchiata male e non spaventa a dovere il pubblico. La scuola mostrifera insegna da decenni che una creatura va mostrata il meno possibile, specie quando il budget non consente il contrario.
Una cosa è certa: la savate, arte marziale francese impiegata ad alte dosi nei vari combattimenti, fa il suo sporco lavoro, e vi ritroverete a trascurare l’inseguimento della Bestia sperando che la coppia protagonista prenda a mazzate qualcuno e faccia una capatina nella casa di piacere della Bellucci.
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