Recensione della trasposizione cinematografica della serie di videogiochi omonima della Capcom.
di Matteo Berta
Il regista Paul W.S. Anderson, dopo aver realizzato una notevole quantità di film fatiscenti sempre al limite del B-movie, decide di non compiere alcuna svolta e torna a dirigere, scrivere e produrre una pellicola estremamente sopra le righe in ogni elemento produttivo, trascinandosi dal festival dei non-morti di Resident Evil la sua fedele protagonista Milla Jovovich, in questo caso impegnata con mostroni dell’altro mondo.
Trasporre al cinema un videogioco è difficile e nella maggior parte dei casi si è quasi sempre dimostrato fallimentare. Portare sul grande schermo un brand videoludico con alle spalle una fanbase corposa è assimilabile a un tentativo di suicidio, farlo volutamente male è la via più breve per la forca mediatica. Il film è di produzione in parte orientale (Toho), ma dopo poco è stato ritirato dalle sale cinesi per una questione legata a determinate “situazioni” offensive che sinceramente fatichiamo a ricordare. Potremmo ipotizzare in chiave ironica il fatto che sia offensivo per il cinema, ma non vogliamo esagerare.
Monster Hunter di Paul W. S. Anderson è esattamente ciò che ti aspetti, il problema è che ti aspetti una cosa brutta. La pellicola sembra essere stata scritta da uno sceneggiatore alticcio negli anni novanta, intenzionato a dirigere un crossover tra Starship Troopers e Tremors, con una certa predilezione per il misticismo archeologico. Il montatore è un risparmiatore, perché non vuole buttar via nessuno shot e allora si inventa un montaggio frenetico che sia in grado di condensare in un’ora e quaranta di film tutte le inquadrature girate, ottenendo una sorta di videoclip sconclusionato e abbastanza ignorante.
La possibilità di interpretare il gioco di ruolo videoludico a piacimento ha reso la sceneggiatura a cavallo tra un mani-avantismo, dettato dal timore di essere attaccati dai gamer, e una sfrontatezza dettata dalla consapevolezza di una produzione che di partenza non pretende un target troppo ampio o dai gusti sofisticati. Le strutture narrative sono banali e l’originalità non la troviamo nemmeno nei mostri, vero focus di questa recensione, che anche in questo caso cercano di omaggiare il prodotto di riferimento. Le creature tentano di distinguersi in alcuni elementi, ma non si azzardano a innovare Nonostante alcuni videogiocatori abbiano criticato delle differenze evidenti (Diablos che teme il fuoco), in linea generale gli appassionati del franchise hanno percepito un denominatore comune di fedeltà alla mitologia del gioco.
Ci troviamo di fronte all’ennesimo rifacimento filmico di un videogioco che non trova una propria collocazione per paura di fare delle scelte artistiche forti. Il film passerà inosservato, e da amanti dei mostri ci dispiace che questo possa accadere, seppure ci sia un evidente deficit di qualità. Siamo in un periodo in cui la distribuzione delle pellicole (compresa questa) fatica a decollare ed è molto probabile che produzioni di questo tipo finiscano in fondo a qualche sezione non troppo targhetizzata delle odierne piattaforme streaming.
In ogni caso, sempre e comunque, che il gentile lettore mostrifero lo veda.