La prima serie tv ambientata nell’MCU dopo gli eventi di Avengers Endgame è finita: Wandavision è stata incensata, glorificata, assunta a serie capolavoro e perfetta in ogni sua parte. È così?
di Cristiano Bolla
Meson te kai ariston, dicevano i greci. In medio stat virtus, ricordavano i latini. Raga, calmiamoci un attimo potremmo dire oggi, su molte cose tra cui le reazioni scomposte che hanno accompagnato gli ultimi 9 venerdì, coincidenti con la messa in onda di Wandavision. Prima serie dell’MCU a connettersi così strettamente con il franchise dei film, ha polarizzato come al solito il dibattito senza soluzione di continuità: come il tartufo, o la ami o la odi. O è la migliore opera di sempre nella storia dell’arte, o è un’accozzaglia di luci e suoni che poco ha da offrire. Ma la lezione di greci e latini può tornare utile per cercare di trovare un punto di incontro e definire cosa sia la prima stagione di Wandavision.
ALLERTA SPOILER: la recensione contiene dettagli e personaggi visti negli ultimi episodi. Sapevatelo.

La serie prodotta dai Marvel Studios, creata da Jac Schaeffer e diretta da Matt Shakman porta su piccolo schermo due degli Avengers del secondo e terzo fortunato ciclo MCU. Dal loro esordio in Age of Ultron, per la verità è stato poco lo spazio dedicato a Wanda Maximoff e Visione, di fatto protagonisti solo in Infinity War e Endgame. Proprio da quest’ultimo si riparte: Wanda ha perso Visione, distrutto da lei stessa per impedire (inutilmente) a Thanos di prendere la Gemma della Mente, e si è rinchiusa nel suo dolore. Nel farlo, ha “accidentalmente” usato il suo potere sull’intera città di Westview, dove manipola la mente degli abitanti e ha dato vita a un’illusione in stile set televisivo, dove può giocare alla famiglia felice con un redivivo Visione e i due figli del loro bizzarro amore. Le cose, chiaramente, non vanno bene. Dapprima i dubbi di Visione dovuti a qualche falla dentro Watrix, quindi l’ingresso in scena di Agatha Harkness, personaggio dei fumetti collegato alla donna che con questa serie diventa a tutti gli effetti Scarlet Witch.
La particolarità della serie, anche grande leva di interesse nei teaser e trailer che l’hanno anticipata, è il fatto che per qualche episodio sia sembrata una cosa strana, diversa, nuova: la storia di Wanda e Visione è stata raccontata tramite 7 capitoli ambientati e confezionati come episodi di serie tv nel corso del tempo, e quindi gli ultimi 2 che invece sono quanto di più Marvel si sia visto. Dal The Dyke Van Dyke Show sino a Modern Family, è stato senza dubbio divertente veder cambiare il paradigma linguistico alla base di Wandavision, adattato al meglio al periodo mostrato. Dopo lo spaesamento iniziale, si è via via chiarito cosa ci fosse alla base dell’Anomalia di Westview: il lutto, il dolore di Wanda per la perdita di Visione. Questo sembrava essere il corpo centrale della serie, prima della rivelazione di un altro personaggio, quello della Harkness, che rappresenta il vero spartiacque della serie.

L’arrivo di quella che Wikipedia segnala per i non lettori dei fumetti come “la babysitter di Mister Fantastic e la Donna Invisibile“, ha infatti chiarito che c’era questa strega con la magia nelle mani dietro a metà delle cose strane che si sono viste in Wandavision. Era lei che cercava di rubare il potere di Scarlet Witch, contribuendo però allo stesso tempo a farlo venire a galla, fornendo a Wanda una nuova consapevolezza dei suoi poteri (ups). Quindi, vedendola in altri termini: Wandavision è la storia di un personaggio con dei poteri che non comprende fino in fondo, che soffre per un dolore del suo passato e che deve affrontare un nemico più forte e con più consapevolezza di lei. Ora: se questo non è l’ABC di ogni genesi di un supereroe, mi mangio il cappello.
Quella che sembrava essere – con interesse e sagacia – una serie “diversa dalla solita Marvel”, si è quindi rivelata alla fine un prodotto pienamente in linea con gli altri 478 creati sinora. Chi l’avrebbe mai detto, eh? Strano che un’azienda che ha fatto fantastiliardi dalla serializzazione di prodotti uguali a se stessi improvvisamente decida di non cambiare completamente genere e stile, e diventare qualcosa che non è. La vera illusione in Wandavision non è quella castata da Wanda, ma quella della Marvel nell’aver fatto pensare che in onda non ci fosse solo un altro episodio del loro lungo progetto cinematografico. Sono anni che si dice che i film Marvel sembrano episodi di una serie tv, e ora che arriva una serie tv a episodi sullo stesso stile viene esaltata come capolavoro – la parola più abusata degli ultimi 10 anni, assieme a Millennials.

Anche per Wandavision vanno riciclate alcune delle frasi usate spesso per commentare i prodotti targati MCU: belli, bellissimi, intrattengono ma non danno nulla di nuovo, non rivoluzionano nulla nel panorama cinematografico prima e televisivo ora. E questo non toglie nulla alla loro qualità: dire che Wandavision non è la serie più bella, originale e unica mai creata nella storia della serialità televisiva, non dovrebbe comportare che allora sia brutta e inutile. Semplicemente, in medio stat virtus. Andrebbe usata un po’ di cautela nell’incensarla, specie perchè allargando l’orizzonte fuori dall’esagono dell’MCU, ci sono molte serie che hanno già affrontato cose simili.
“Wandavision è un capolavoro perché per la prima volta c’è un multiverso“: sbagliato, per due motivi. Il primo è che nell’episodio finale sembrano indicare che il Pietro Maximoff interpretato da Evan Peters non è proveniente da un altro universo, quello degli X-Men in cui interpreta QuickSilver, ma è “solo un attore che vive a Westview”. Il colpo di scena è meta-linguistico: è lo spettatore che si stupisce perché SA che quell’attore ha dato il volto a quel personaggio in altri film, ma sarebbe come stupirsi se Sylvester Stallone gridasse Adriana in un film che in cui non è Rocky. Il secondo motivo, è che questa storia del multiverso non è nuova per niente: solo un mese prima di questo Wandavision, nell’ultima stagione de Le Terrificanti Avventure di Sabrina si sono visti alcuni personaggi provenienti dalla serie Sabrina – Vita da Strega degli anni’90.
“Wandavision è un capolavoro perché è l’unica con un mondo creato dalla mente“: in modo molto più presuntuoso, ma le tre stagioni di Legion hanno spesso giocato sulla capacità di David Haller e Amalh Farouk di creare illusioni, di riscrivere la realtà per il proprio tornaconto emotivo. Quella di Wandavision è un racconto sul lutto, è vero, ma dire che è la storia più profonda ed emotiva e struggente e incredibile mai realizzata [ndr, parlo di frasi lette davvero] va bene se si parla di gusto e impatto personale, ma una critica oggettiva e imparziale, che tenga conto che al mondo esiste altro che l’MCU, non può avvicinarsi a elogi del genere.

Si arriva poi all’ultimo episodio, che spazza via ogni pretesa di novità e riporta il tutto alla dura realtà di casa Marvel: il combattimento con un villain abbastanza generico e dimenticabile (e discutibile nella parte in cui “Oh sì, anche io ho usato poteri per far male alla gente ma non l’ho fatto apposta quindi va bene“), la risoluzione finale e tutti ad aspettare la scena dopo i titoli di coda. Guarda mamma, proprio come al cinema! In parte, anche questo è metalinguaggio: è la Marvel che disfa il suo stesso incantesimo contro lo spettatore, che riporta tutto nel regno della didascalia e dell’intrattenimento seriale e di quella qualità produttiva straordinaria che solo loro (questo sì) sanno portare su schermo. Wandavision resta quindi una bella serie, ma “è sempre quella roba lì”. L’errore, se c’è stato, è stato immaginare che fosse diversa per motivi che non fossero strettamente narrativi, di curiosità per lo spettatore abituale che è rimasto spiazzato e poi subito confortato: siamo sempre qui, siamo sempre noi. Ciò che è morto non muoia mai. Tutto cambia perché niente cambi. Scegliete la citazione fuori contesto che preferite.
La Marvel non è un piatto diverso sul menù di un ristorante, è un intero ricettario o meglio una catena di ristoranti: all’interno si trovano piatti diversi, cucinati ora più ora meno bene, ma quando ti siedi al tavolo di un Marvel Restaurant, sai che cosa vai a mangiare e quando ti alzi dallo stesso sai che sarai soddisfatto nello stesso modo, ogni volta. Non un ristorante stellato che serve manzo di Kobe con foie gras, aragosta, caviale, tartufi, formaggio stagionato di gruviera e fuso con vapore di champagne e salsa barbecue di Kopi Luwak (esiste), ma un fast food. E non nel senso che di cibo spazzatura, ma che da Roma a Buenos Aires un Happy Meal resta sempre un Happy Meal.
Fine delle trasmissioni.
articolo molto interessante! lo condivido sulla mia pg fb :=)
Io, per ora, ne ho visto solo poche puntate e manco le prime: è piuttosto divertente, ma il fatto stesso che sia così pesantemente citazionista va a ridurne l’originalità, diventa un po’ un gioco a riconoscere le fonti.
Anche il meccanismo non è inedito: per esempio, c’è un episodio della serie Roswell giocato su due punti di vista: in uno, Isabel ha rivelato al marito di essere un’aliena – è fatto come un episodio di Vita da strega – mentre l’altro punto di vista è quello normale, col marito inconsapevole.
Non è esattamente la stessa trovata di Wandavision, ma un po’ le somiglia.
Comunque, l’attrice che interpreta Agatha mi diverte un sacco e la sua sigla è spassosissima 😀