L’opera monster di Del Toro con kaiju e mecha.
di Alessandro Sivieri
Ricordo benissimo che, appena uscito dalla sala, sazio fino all’implosione di mazzate colossali, ho pensato che io e Guillermo Del Toro avessimo qualcosa in comune. Quel qualcosa è il fanciullino interiore di pascoliana memoria. Non mi riferisco a un bimbo che raccoglie margherite in cortile, ma al tredicenne irrequieto cresciuto a pane, Playstation e anime. Uno di quelli che scollegano il cervello davanti a robot alti quanto un palazzo che le danno di santa ragione a mostroni bavosi. Se vogliamo tirare le somme, Pacific Rim è tutto questo e ne va fiero: Del Toro, voglioso di divertirsi e divertire, ha creato il suo personale kolossal catastrofico, dove gli umani si ingegnano per combattere le creature aliene ad armi pari e nel modo più spettacolare. L’euforia da torneo di wrestling fuori scala soppianta tutto il resto, a partire dall’impianto narrativo, che si rivela minimal e funzionale.
In un presente alternativo (2013), sul fondo dell’Oceano Pacifico si apre una misteriosa breccia spazio-temporale, dalla quale emergono giganteschi esseri alieni (Kaijū) pronti a spazzare via l’umanità. Le nazioni più potenti del mondo, per contrastarne il potenziale distruttivo, creano degli enormi mecha bipedi chiamati Jaeger (“cacciatore” in tedesco), controllati da coppie di coraggiosi piloti che sincronizzano le proprie menti per poter combattere al meglio. Dopo una breve lezione di storia dal taglio documentaristico, l’incipit ci pone agli esiti di una guerra prolungata e infruttuosa, a causa degli enormi costi di produzione dei robot e della crescente minaccia aliena.
A questo punto l’umanità raduna gli Jaeger rimasti e si prepara a tentare un ultimo, disperato attacco: lanciare una testata nucleare nella breccia spazio-temporale per farla collassare. A capo della squadra troviamo Raleigh Becket (Charlie Hunnam) e Mako Mori (Rinko Kikuchi): il primo è un pilota veterano ritiratosi dopo la perdita del fratello/co-pilota, la seconda è un’orfana desiderosa di vendicarsi dei Kaiju: i due devono pilotare insieme Gipsy Danger, uno Jaeger leggendario, fidandosi l’uno dell’altra, e fermare l’invasione prima che sia troppo tardi. Lungo la strada affronteranno esseri sempre più letali, distruggendo intere città.
L’autore di Hellboy e Il labirinto del fauno ha attinto a un impianto mitologico già consolidato: parliamo dei vari Godzilla, Goldrake, Cloverfield, l’anima Neon Genesis Evangelion, ma anche di richiami a Indipendence Day, Blade Runner (le sequenze urbane, il personaggio di Ron Perlman che si chiama Hannibal Chau) e Shadow of the Colossus (l’aspetto dei mostri). È ben noto l’amore di Del Toro per i videogame e la narrazione sequenziale nipponica, che viene espresso in un tributo confuso ma sincero. Non si brinda all’originalità o a chissà quale riflessione esistenziale. Il piatto forte è un tripudio di battaglie ed effetti speciali oversize, che ci schiacciano letteralmente sulla poltrona: raramente mi sono sentito così piccolo e travolto dagli eventi. Qualche punto extra va assegnato al prologo, che ha il compito di aggiornarci sull’inizio della guerra: si parla di come i minacciosi Kaiju e gli Jaeger siano stati inesorabilmente metabolizzati dai media. Si pensi ai piloti, dapprima celebrati come eroi, con tanto di apparizioni ai talk show, e in seguito scherniti dall’opinione pubblica. Una sintetica ma efficace critica agli odierni paradigmi dell’informazione, che ha una tendenza alla mercificazione di eventi e persone.
Parliamo infine della ciliegina sulla torta: il design dei giganteschi mecha. Sono dotati di armi micidiali e hanno un aspetto eterogeneo. Pur se frutto di uno sforzo economico globale, diventano i simboli dei rispettivi paesi di costruzione: si pensi a Cherno Alpha, l’imponente Jaeger russo che si fa portabandiera del pragmatismo e della volontà ferrea del popolo dell’Est. Mitizzazione di una cultura o stereotipo sfruttato ad hoc? Tra amici abbiamo rielaborato questo enigma per divertirci e abbiamo immaginato che aspetto avrebbe uno Jaeger “de noantri”! Provate a figurarvi un mecha da combattimento tutto italiano, specie alla luce dei nostri difetti e delle nostre ipocrisie, che da sempre si prestano ai cliché di Hollywood. Ognuna delle sue caratteristiche rispecchierebbe la nostra inclinazione al pressapochismo e, in certi casi, al cattivo gusto. Signore e signori, qui in redazione abbiamo inventato il temibile Maradona Abarth! Caliamoci subito nella sua storia…
Scartata l’idea di costruire una barriera di protezione, a causa delle proteste dei padani (che la volevano dal Po in su) e della scarsità di fondi europei, il governo di turno ha deciso di costruire un robot tutto nostro. Polemiche da parte delle opposizioni, che invocavano il dialogo con i Kaiju. Grazie a un po’ di tagli alla sanità nasce Maradona Abarth, lo Jaeger italico. Un nuovo vanto per il paese, al netto di qualche difettuccio: il robot può girare solo a destra, poiché l’azienda brianzola che aveva in subappalto i servomotori è andata in bancarotta. Manca la targa, sottratta già in concessionaria da un anonimo che probabilmente la sfoggia sul caminetto.
Dispone di alimentazione ibrida, Telepass e di una micidiale ruspa a inversione protonica. In battaglia tenta spesso un approccio romantico con i mostri più femminili. Infine non lega bene con gli Jaeger stranieri, in particolare con Gipsy Danger (Pericolo Zingaro), ma vorrebbe comandare il gruppo senza obiezioni. Menzione speciale per i piloti: gli unici in grado di interconnettersi alla perfezione per poterlo utilizzare sono i due marò, rispediti dall’India per l’occasione. Inutile dire che Barbara d’Urso li ha già invitati nel suo studio, con tanto di contraddittorio formato da animalisti inferociti, determinati a difendere i Kaiju in quanto specie protetta e indispensabili per la biodiversità del pianeta. In vista dell’attacco decisivo, Vespa ha già pronto un plastico della breccia e Mentana si prepara a una maratona di 36 ore con ospiti del calibro di Mario Adinolfi, scambiato dai redattori per Guillermo Del Toro.
Se la breccia vi ha già risputato nella triste realtà insieme alle frattaglie di Kaiju, vi invitiamo a leggervi la nostra recensione del secondo film e il nostro Bestiario di Pacific Rim, che include tutti i mostri apparsi o menzionati nella saga.
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