PROMETHEUS – Lassù qualcuno ci odia

Ridley Scott e l’instabile prequel di Alien.

di Alessandro Sivieri

Dal seme della fantascienza monster spunta un film a lungo atteso. Che io sia un fanatico di Alien non sarà sfuggito a nessuno dei nostri lettori, quindi una decina d’anni fa, appresa la notizia che Ridley Scott in persona sarebbe tornato al timone per ridare linfa vitale al franchise, mi sentivo davvero sulla luna. L’eccitazione cresceva di pari passo con le voci di corridoio: non era l’ennesimo sequel, era un prequel, ma anche no, era qualcosa di diverso. Il perno della storia sono i cosiddetti Ingegneri, i creatori del celebre mostro apparso per la prima volta nel 1979 insieme alla Ripley di Sigourney Weaver. Le premesse corrispondevano a realtà: in Prometheus abbiamo alieni ma non c’è l’alien, che tornerà sotto varie forme in Covenant.

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Il DNA della creatura aleggia nell’aria, quasi come un monito. Alcuni fan sono rimasti delusi dall’assenza dello Xenomorfo, io invece ne sono uscito perplesso per altri motivi. Una spiegazione sulle sue origini degli Xeno ci può stare, tenendo presente che un mostro non incute più lo stesso timore senza la sua aura di mistero. L’amaro in bocca persiste perché l’atmosfera e la regia di Scott ci sono tutte, i buoni momenti non mancano, ma tutto il resto fa più acqua di una nave di cartapesta.

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La trama segue il tipico filone “scoperta misteriosa – spedizione nell’ignoto – mare di guai”: la dottoressa Shaw (Noomi Rapace, prima interprete dell’hacker Lisbeth Salander) rinviene in un remoto angolo del nostro pianeta una serie di pitture rupestri che raccontano la nostra presunta creazione da parte di un’avanzatissima razza aliena. Parte così una spedizione spaziale finanziata dall’anziano Peter Weyland (Guy Pearce), diretta verso il sistema solare indicato dall’antica mappa. Ad accompagnare il team di scienziati troviamo il sintetico David (Michael Fassbender perfettamente in parte), ultimo prodotto della Weyland Corporation, e la fredda burocrate Meredith Vickers (Charlize Theron).

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Da qui in poi il canovaccio ricalca per molti aspetti il film del ’79: ingresso nel gigantesco relitto di origini sconosciute, ritrovamento di cadaveri alieni, stanze con uova, pericoli in arrivo. Il corso degli eventi viene gestito in modo approssimativo. La colpa non è imputabile direttamente a Scott, ma al capoccione che ha sistemato la sceneggiatura. Parliamo di Damon Lindelof, il co-creatore della serie Lost, che si diverte a dar vita a centinaia di domande senza preoccuparsi di dover fornire la benché minima risposta. Vero, è un nuovo inizio per la saga, quindi la storia viene spalmata in più episodi (sempre che la produzione non si fermi dopo Covenant), ma c’è sempre bisogno di un po’ di sostanza per tenere insieme la baracca, cosa che in Prometheus fatichiamo a trovare.

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A impattare sulla verosimiglianza è soprattutto la puerilità con la quale i protagonisti si ficcano nei guai: abbiamo geologi strafatti che, nonostante le tecnologie a disposizione, si smarriscono nelle caverne; biologi che scappano terrorizzati di fronte a un cadavere ma che poi non esitano a provocare un organismo sconosciuto e potenzialmente pericoloso; gente che toccaccia tecnologie extraterrestri senza un minimo di prudenza. Questo è il preparatissimo equipaggio della spedizione scientifica più costosa della Storia.

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I personaggi abbozzati si perdono in un calderone di speculazioni evoluzionistiche e teologiche sulla reale natura degli Ingegneri, i presunti creatori degli Xeno e della razza umana, come se la trama fosse solo un gigantesco teaser per gli episodi futuri. Insomma, un coito interrotto, con una minaccia catastrofica al pianeta Terra da sventare in una ventina di minuti, giusto per imbastire un epilogo forzatamente apocalittico con astronavi in collisione. Eh sì, perché i nostri creatori ci odiano e, pur di sterminarci, sono pronti a combinare un gran casino.

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Eppure il nome di Scott dovrebbe evocare la fantascienza di serie A, quella che visivamente splendida ma anche solida dal punto di vista narrativo. Le piccole qualità che alleviano il risentimento, fortunatamente, ci sono: il sintetico David, impassibile e ambiguo nelle scelte che compie (alcune di esse trovano risposta nel sequel), capace di andare oltre l’abusata riflessione sull’umanità degli androidi; la scena del cesareo improvvisato della dottoressa Shaw, che ricorda la brutalità del primo film; l’immancabile direzione artistica d’ispirazione gigeriana. Ma sono elementi che rischiano di essere gocce in un oceano, soprattutto quando scopri che alcune scene significative, in grado di donare chiarezza alla pellicola, sono state arbitrariamente tagliate e destinate ai contenuti extra dell’edizione home-video.

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Godetevi comunque Prometheus, almeno per dare un senso al suo seguito ben più strutturato. Oltre ogni rispettabile opinione, la saga prequel è riuscita a riportare la questione Alien sul palcoscenico e c’è da sperare che, dopo i miglioramenti apportati da Covenant, non si risolva tutto in una bolla di sapone o in un reboot dai toni disneyani.

Potete trovare la nostra raccolta di articoli su Alien e Predator al seguente indirizzo:

ALIEN – Tutte le informazioni sul franchise

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