La recensione del teen-horror con Lucy Hale e Tyler Posey.
di Matteo Berta
Appena uscito indignato dalla prima parte dell’ultima stagione di Teen Wolf, mi trovo dinnanzi al nostro Tyler “Scott” Poesy che reinterpreta praticamente il licantropo alpha che corre qua e là vestito casual senza peli, perché sì, questo film sembra essere la trasposizione della discussa serie tv, con più jump scare e demoni e meno momenti alla Twilight. Il più classico dei film dell’orrore con personaggi adolescenti che finiscono in qualche casino per via della spensieratezza e della voglia di fare party hard.
Volevo intitolare questa recensione riferendomi ai filtri di Snapchat, ma bazzicando per Internet mi sono reso conto che la scelta è già stata presa e inflazionata, quindi per non abbandonare del tutto l’idea ho deciso di riferirmi a qualcosa di più familiare. Il Liquify lo trovate sotto la voce filter, ed è esattamente quello che si utilizzava per pomparsi il seno per le foto di Netlog (e di conseguenza distorcere l’ambiente circostante) o semplicemente per combattere la noia durante qualche lezione di grafica. Il filtro liquify, attraverso l’iconcina del dito, permette di spostare porzioni di immagine e appunto “fluidificarle” manipolando i connotati di una persona, di solito in modo divertente, ma questo film lo fa nella via più inquietante possibile.
Obbligo o verità: chi non ci ha mai giocato? E di per sé non è mai stato così divertente, perché oltre alla possibilità di mettere in imbarazzo qualche amico con cotte segrete o far limonare gente, alla fine si finiva sempre con il cambiare gioco e magari optare per un sempreverde giro di bottiglia. Ma questo film traspone la semplice componente da passatempo o da divertimento in caccia all’uomo, macchine sadiche della verità e rivelazioni ad amiche di una vita: cose semplici e leggerine, tipo che “tuo padre ci ha provato con me” o “papà omofobo e poliziotto, ti devo dire che sono gay”.
Non ho parlato di sceneggiatura, musica, regia perché mi pare non necessario, avrete già capito che ci troviamo di fronte a monnezza, spazzatura con qualche spunto interessante, ovviamente sfruttato male… malissimo.
Tralasciando l’obbiettività di giudizio, che altrimenti finiamo male, il mio spirito adolescenziale mai del tutto maturato mi porta a parlare dell’unica nota postiva. Lucy Hale sembra oramai essere una macchina da teen drama: dopo essersi fatta le ossa in comparsate di serie tv minori, momento Disney Channel e qualche sporadica apparizione cinematografica, sembra essere stata adottata da Netflix, dopo il successo in Pretty Little Liars, per alcuni progetti originali della piattaforma d’intrattenimento, per poi arrivare al ruolo di protagonista in questo Obbligo o Verità.
Il suo sguardo magnetico è esaltato ancor di più dai primi piani drammatici proposti ogni tre per due, e quando le si applica il “liquify” sopracitato, al posto di essere spaventosa, diviene ancora più intrigante. Nel complesso fa il compitino ma stupisce in alcuni momenti.
Il film funziona nel suo essere assurdo e insensato, spaventa più per stratagemmi di montaggio e inquieta gli animi sensibili, ma di per sé è impossibile garantirgli una sufficienza. Se invece come me siete abbastanza interessati ai teen drama dai risvolti paranormali, allora beh, qualcosa apprezzerete.
Ora sfido voi…