Elenco dettagliato di mostri, fantasmi e misteri del territorio lombardo.
di Matteo Berta, Alessandro Sivieri e Giovanni Siclari
Dopo la pubblicazione del nostro Bestiario d’Italia (link diretto), ecco la prima costola regionale dedicata alla Lombardia. Questa antologia espansa propone creature già trattate nell’articolo principale, come il fantomatico Mostro del Lago di Garda, affiancate da un alto numero di bestie inedite. Nuove leggende metropolitane e racconti della tradizione popolare vanno a triplicare le dimensioni originarie della lista, che tocca da vicino noi autori di Monster Movie, poiché buona parte della redazione vive in provincia di Brescia.
Il territorio lombardo è colmo di leggende ed eventi storici classificabili come “mostruosamente interessanti”, dalle varie presenze ectoplasmatiche che infestano i parchi fino alle mostruosità animalesche più spaventose. In questa selezione di creature abbiamo cercato di prendere in esame entità emblematiche in base al loro habitat, includendo bestie lacustri, draghi e fantasmi. Al campionario si aggiungono rettili creduti estinti da milioni di anni, orchi burloni, felini giganteschi e un parente della celebre Bestia del Gévaudan.
BENNIE – IL MOSTRO DEL LAGO DI GARDA
Nell’anno 2001. Proprio in quella data il mostro del lago raggiunse la fama. Non aveva certo l’aspetto di quello attuale, perché la sua consistenza era ben più solida. In quell’epoca come oggi, il lago di Garda aveva un rilevante problema di smaltimento dei liquami provenienti dai vari paesi della riviera. Fu allora che Andrea Torresani, giornalista di Garda, organizzò al Municipio di Verona una conferenza sul fenomeno di questo “Mostro del Garda”. Lo scopo era descrivere questa enorme opera edile come un’immane macchina mangiasoldi che, alla fine, da nuovo progetto per salvaguardare il lago era diventata un sistema inquinante.
Ma alcuni anni prima il giornale di Verona “L’Arena” aveva già parlato del fantomatico mostro del Garda. Questa volta era un essere vivente in carne e ossa che terrorizzava i pescatori del lago. Una ricerca presso la Biblioteca Civica di Verona permise a Torresani di visionare l’articolo: “Il mostro della Baia mangia quintali di sardelle” titolava il pezzo dell’agosto 1965, a firma del cronista Ivo Tolu. Un articolo dai toni ironici che narrava dello strano avvistamento di alcuni pescatori gardesani di una creatura mostruosa nella baia delle Sirene, in prossimità di San Vigilio di Garda (VR). Nello stesso periodo delle ricerche, due sub avvistavano nelle acque del Garda, a 25 metri di profondità, un pesce siluro di circa cinque metri. Sempre davanti a Villa Canossa, poco tempo prima, un pescatore riferiva di aver avvistato qualcosa di enorme nelle acque.
In una intervista al canale Telenuovo, l’esploratore lacustre Angelo Modina dichiarava che una massa sinuosa era stata avvistata nei fondali. A prova di ciò presentava le scansioni di alcuni tracciati sonar. Nel frattempo emergevano nuove testimonianze, come quella di alcuni ragazzi in barca che avevano individuato una grossa massa oscura muoversi nelle acque; una signora riferì invece di aver avvistato due gobbe in mezzo al lago. Torresani si imbatté in due giovani pescatori che una mattina, sotto la Rocca di Garda, avevano preso all’amo un pesce siluro così grosso da costringerli a tagliare la lenza. A prova di ciò portavano una foto in cui si intravedeva la sagoma del pesce gigante sotto il pelo dell’acqua.
Che fosse un pesce siluro fuggito da un vicino centro per l’itticoltura? O si trattava della famigerata creatura? In quegli anni sulla storia intervenne anche la trasmissione Mistero, che intervistò i vari protagonisti delle indagini. Al caso si interessò pure la tv tedesca Zdf, che per narrare la vicenda utilizzò proprio un filmato di Torresani. Nell’Ottobre 2016 la vicenda venne analizzata dal CICAP, il comitato che analizza i fenomeni paranormali presieduto da Piero Angela, che definì i tracciati radar di Modina come riconducibili a una massa di alghe che si muoveva nei fondali. Nel frattempo, sul Garda, la guida turistica Thomas Brenner pensò di creare un logo della bestia, chiamandola Bennie e mettendosi a progettare dei gadget a tema. Il mostro diventò così un vero e proprio brand.
Gli avvistamenti non si sono certo fermati: nel 2017 sono giunte voci di un essere a forma di serpente all’altezza dell’Isola del Trimelone (Brenzone). Degna di nota anche la foto scattata da Davide Di Corato nello stesso anno, che ritrae un bizzarro risucchio nelle acque innanzi a Torri del Benaco. Nel 2018 il programma River Monsters, con il noto conduttore Jeremy Wade, gira un servizio sulla acque del Garda alla ricerca del misterioso pesce. Servizio che andrà in onda nella primavera del 2019. Lo stesso Torresani ha ripreso fenomeni alquanto strani, tra cui una gigantesca macchia che vagava di fronte a Villa Cometti.
Nel lago non mancano pesci di stazza insolita e si può a questo punto classificare il “mostro” come un enorme pesce siluro. In questi anni diverse specie ittiche hanno raggiunto dimensioni notevoli, tra cui lucci, carpe e anguille. Appare poco credibile la presenza di uno storione gigante, anche perché fino a oggi non ne è stato mai pescato o segnalato un esemplare. Mostro o non mostro, è certo che vi siano continui sommovimenti nelle acque, per non parlare di una modesta attività vulcanica. Siamo scettici riguardo l’ipotesi di un Plesiosauro o di un rettile risalente al periodo Triassico. Può essere compatibile invece la presenza di qualche animale estraneo immesso per errore nelle acque.
Per questa ricerca è stato vitale il contributo di un amico del nostro portale, ovvero Thomas Brenner, detentore del marchio di Bennie. Thomas è stato per anni una guida turistica e racconta che, dopo uno strano incontro in una grotta, in lui è scattato qualcosa, una scintilla mostrifera che lo ha portato a dedicare la sua nuova carriera alla promozione di questa figura, con il sogno personale di portare in auge Bennie come la mascotte ufficiale del Lago di Garda.
LA DAMA NERA DI MILANO
C’è una leggenda che riguarda Parco Sempione, il giardino pubblico più vasto del milanese. L’area verde nel XV secolo era un bosco molto grande situato accanto al Castello Sforzesco, ma dopo la caduta degli Sforza, il bosco divenne terreno agricolo e una piazza (Piazza d’Armi). Dal 1894 gli scopi bellici cessarono e divenne un parco pubblico, finendo per ospitare edifici e opere artistiche che sono il simbolo della città di Milano. Una leggenda racconta che, al calar delle tenebre, il parco venga attraversato da una donna bellissima vestita di nero, con il volto coperto da un velo, come se fosse diretta a una cerimonia funebre.
Tale entità è schiva e non ama essere disturbata. In caso di incontro da parte degli umani, si dice che la dama si prenda qualche giorno di invisibilità, non facendosi trovare in quelle zone. Si tratta di un’anima in pena e appartiene a quella tipologia di fantasmi che non riescono trovare pace per qualche situazione irrisolta. Si dice che chiunque incroci il suo sguardo rischi di cadere in uno stato di trance, che può portare alla dimenticanza di determinati ricordi o a veri e propri episodi di perdita di memoria a breve termine.
Alcuni anziani riportano una parte della leggenda ai più non nota, ovvero una storia tenebrosa che rappresenta uno scenario lugubre in cui la dama, in caso di eccessivo disturbo al suo vagare, attiri i malcapitati in una sorta di edificio storico immaginario dove vi sono alcuni suonatori inquietanti che eseguono partiture proibite, causando dei traumi profondi all’animo degli spettatori. Molti riconducono l’identità della dama a Bianca Maria Scapardone, vedova di Ermes Visconti, vissuta nel ‘500.
IL LARIOSAURO
Il Lariosauro è un rettile acquatico vissuto una duecentina di milioni di anni fa. I suoi resti sono stati ritrovati principalmente in europa, in particolare in Italia e in Svizzera. Separata dall’esistenza storica documentata del dinosauro, il Lariosauro ha acquisto anche una sorta di notorietà leggendaria, fatta di testimonianze, avvistamenti e racconti pseudo-fantasy che riqualificano il rettile come un drago, per giunta attivo in tempi recenti.
La leggenda del mostro del Lario nacque nel dopoguerra, quando nel 1946 il «Corriere Comasco» scrisse di un misterioso ed enorme animale apparso nelle acque del Pian di Spagna. Da quel momento in poi la psicosi del drago ha portato ad avvistamenti dello stesso nelle foreste lombarde, nei vari laghi (soprattutto quello di Como) e in svariate zone della pianura padana. C’è chi dice sia una specie non estinta di qualche rettile antichissimo, chi immagina teorie fantascientifiche sull’ibridazione di coccodrilli e volatili e chi è fermamente convinto che sia una creatura lacustre, dandogli un nome che ricorda il mostro di Loch Ness, adattato alla nostra etimologia, ovvero Larry, il mostro del lago di Como. Nella Chiesa di San Giorgio ad Almenno San Salvatore è presente un osso di balena, ma le dicerie a sostegno di Larry assicurano che quell’osso appartenga al Lariosauro stesso. I più devoti dicono che quella reliquia sia un trofeo di San Giorgio, responsabile dell’uccisione del mostro.
IL DRAGO TARANTASIO
Secondo la leggenda si tratta di un drago che in tempi remoti, nell’alto medioevo, dimorava presso il Lago Gerundo, in provincia di Lodi. Alcuni sostengono che fosse in realtà una Viverna, che nella descrizione del naturalista del ‘500 Ulisse Aldrovandi appare come un drago a forma di serpente, con un solo paio di zampe e due piccole ali. A testimonianza del mito rimane Taranta, una frazione di Cassano d’Adda, così battezzata in memoria della strana creatura. Pare che Tarantasio, come i suoi simili, cacciasse gli umani per divorarli, in particolare i bambini. Oltre a ciò, fracassava le barche in transito sul lago e ammorbava l’aria con il suo fiato pestilenziale, diffondendo una malattia denominata febbre gialla.
Una credenza vuole che il drago fosse nato dai resti putrefatti di Ezzelino III da Romano, morto proprio in quelle terre e seppellito nella rocca sforzesca di Soncino. Quest’uomo era un condottiero alleato di Federico II di Svevia ed era conosciuto per gli atti di crudeltà, tra cui murare vivi i prigionieri e far cavare gli occhi ai fanciulli. Viene definito da taluni “il Dracula italiano” e non è difficile credere che dalle sue spoglie fosse nato un essere come Tarantasio. La mitologia attribuisce il prosciugamento del lago e la sconfitta della bestia ad alcuni santi, tra cui San Cristoforo, patrono delle acque, e San Colombano, che avrebbe attirato la creatura sulla terraferma per poi schivarne gli attacchi e colpirla con un lungo bastone.
LA GAMBA D’ORO
Leggenda della Valle Trompia che racconta di una madre con tre figlie molto meschine. Un giorno, mentre falciava nei campi, la donna si amputò di netto una gamba con la falce. Superato il trauma, decise di sostituire l’arto mancante con una gamba d’oro. Prese tutte le ricchezze accumulate in una vita e andò dal fabbro per farle fondere, ottenendo un arto dorato su misura. Poco dopo la donna si ammalò gravemente e, in punto di morte, ordinò alle figlie di seppellirla insieme alla sua gamba, minacciando terribili ripercussioni se non l’avessero ascoltata. Le ragazze, nottetempo, riesumarono il cadavere e asportarono la gamba, per poi tornare a casa. Erano una più avida dell’altra e si misero a litigare su chi dovesse tenere il tesoro, fino ad addormentarsi di botto.
A mezzanotte furono risvegliate bruscamente da una serie di colpi sulle pareti. Era lo spirito della madre, tornata a reclamare la gamba. Le tre figlie non avevano alcuna intenzione di riconsegnarla e, rese coraggiose dalla cupidigia, continuarono a litigare. Nella notte una voce cavernosa continuava a urlare “Rivoglio la mia gamba!”. Mentre bisticciavano, le donne finirono nello sgabuzzino dietro al caminetto e il fantasma della madre, per vendetta, le murò vive. Pare che ancora oggi si possano udire le loro urla mentre si contendono l’arto dorato. La donna dalla gamba d’oro viene ancora usata come spauracchio in Valle Trompia, per calmare i bambini chiassosi e per tenerli lontani dai luoghi oscuri.
IL GIGAT
Parente stretto del Gatto Mammone, è un enorme felino dalla natura malvagia. In alcune versioni della storia ha le sembianze di una capra con delle corna gigantesche (il Gigiàt della Val Masino). Questa variante della bestia richiama il Dio Pan, o un ibrido tra caprone e camoscio, in grado di attraversare un’intera valle con i suoi balzi. Abita nei luoghi bui e isolati, piombando sulle vittime per divorarle. Provoca orribili mutilazioni sia a uomini che ad animali. Se ne parla nelle tradizioni della provincia di Sondrio e presenta molte similarità con la Gata Carogna bergamasca. Si parla di avvistamenti da parte di alpinisti ed escursionisti solitari. È possibile che si tratti di un esemplare di gatto selvatico particolarmente corpulento o di una rarissima lince.
IL BARGNIFF
Una strada creatura che abita a ridosso del Po. Ha natura anfibia e viene descritta come un rospo peloso, grande quanto un bue e con gli occhi ardenti. È solito porre indovinelli ai viandanti che si attardano nei pressi degli acquitrini. Chi è in grado di rispondere può andarsene incolume, ma chi sbaglia viene scagliato nelle acque gelide e annegato dal Bargniff. Siccome le domande sono molto difficili, ben pochi ne escono vivi. Chi conosce questa creatura bada bene a non attraversare le paludi di notte, e se vi è costretto, cammina a passo sostenuto e con le orecchie tese. Il gorgoglio delle acque denota la presenza del Bargniff, pronto a porre i suoi diabolici enigmi.
LA STREGA DELLA VALTROMPIA
Si racconta che in un paesino della Valle Trompia (provincia di Brescia), in epoca medievale, vivesse un uomo facoltoso, che prese in moglie una ragazza giovane e bellissima. La coppia, in barba alle apparenze, nascondeva un animo malvagio e sadico. La moglie conosceva la magia nera e lanciava incantesimi terribili sui servi, quando non li uccideva direttamente. A quanto pare perfino lo sposo si stufò delle crudeltà della moglie, e una sera, in seguito a un litigio, la affogò con le proprie mani nella fontana del palazzo. Da quel giorno il fantasma della strega appare nei pressi della fontana, urlando dalla rabbia e inseguendo chiunque transiti di lì.
IL BRAGÖLA
Diffuso in Val Cavargna (provincia di Como), ha il corpo ricoperto di peli e due piccoli occhi ardenti. Ha abitudini notturne ed è bravo a mimetizzarsi nel sottobosco per sfuggire ai seccatori, anche se un cercatore attento può scovarlo ascoltando i bisbigli e i borbottii. Quando gli viene voglia di fare qualche scherzo, spunta di colpo dai cespugli e si lancia addosso ai viandanti. A volte prende la forma di una palla pelosa e rotola lungo i pendii. Capita infine che si intrufoli nelle abitazioni per rubare latte e castagne. Attenzione: non è cattivo di natura. Odia la violenza e le bugie, quindi le persone oneste possono farselo amico. In questo caso, aiuta i suoi umani prediletti nei lavori agricoli.
LA BESTIA DI CUSAGO
Si tratta di una presunta lupa antropofaga, attiva nel bosco di Cusago nel Ducato di Milano, che uccise e divorò diverse vittime nell’estate del 1792. Già nel 1728 circolavano dei manifesti che ritraevano una bestia mostruosa, avvistata nei pressi di Novara e accusata di aver fatto strage di uomini e donne. Veniva descritta come un predatore con la testa di cinghiale e il corpo di un cane. Per dimensioni era paragonabile a un toro. Questa leggenda nacque negli stessi decenni in cui fu attiva la più celebre Bestia del Gévaudan, il criptide che terrorizzò le campagne della Francia, fino a costringere la Corona ad assoldare dei cacciatori. Nasceva l’archetipo dell’animale mangiauomini di natura sconosciuta.
La prima vittima ufficiale, il 5 luglio del 1792, fu un pastorello che perse una vacca nel bosco di Cusago. Il padre lo rispedì a cercarla ma il ragazzo non fece ritorno. Vennero rinvenuti dei calzoncini lordi di sangue, un cappello e gli avanzi del corpo. Qualche giorno dopo, a Limbiate, alcuni ragazzi vennero sorpresi dalla bestia e si rifugiarono sugli alberi, gridando a squarciagola. I contadini non si accorsero di niente e dopo un po’ di tempo i ragazzi scesero dalla pianta. La creatura, che era rimasta in agguato nell’ombra, afferrò un fanciullo di otto anni e lo trascinò nel bosco. Il villaggio avviò le ricerche e il piccolo venne trovato mezzo sbranato. La notizia delle aggressioni giunse a Milano e si scatenò un’isteria collettiva. Ognuno offriva una descrizione del mostro e si pensò che fosse in realtà una iena, portata in città come animale esotico e fuggita dalla gabbia. Le aggressioni non cessarono e sparirono diversi capi di bestiame. Alcuni uomini armati cercarono di abbattere la creatura, avvistata in un campo nei pressi di Cesano, ma questa si dimostrò astuta e corse via a grandi balzi.
Il 14 luglio un comunicato ufficiale della Conferenza Governativa avvertiva che una bestia antropofaga infestava le campagne circostanti ed esortò la cittadinanza a una caccia generale, promettendo addirittura una ricompensa. L’iniziativa fu inutile e la belva continuava a mietere vittime, prediligendo i bambini. Pare che ammazzasse le prede partendo dalla gola, come se volesse berne il sangue. Infine fu abbattuta una lupa di grossa taglia e con parecchie cicatrici, che venne identificata dai superstiti. Non furono più segnalate aggressioni. Ancora oggi non vi sono certezze sulla natura della bestia. Poteva essere un animale esotico fuggito da qualche gabbia o l’opera congiunta di più predatori.
LA MANDRAGOLA
Similmente a Tarantasio, ci sono altri draghi leggendari che amano vivere negli specchi d’acqua. Nei dintorni dell’Alta Valtellina, in particolare di Bormio, si parlava spesso della Mandragola, un drago che percorreva i fiumi e diventava visibile solo quando il sole colpiva le acque, creando dei riflessi. Si cibava dei bambini che osavano avventurarsi sulle rive dei torrenti. Quando si avvicinavano troppo, balzava in superficie e li trascinava sul fondale. Viene descritto come un mostro dalle alte creste violacee e le fauci spalancate. È probabile che venne inventato come spauracchio per tenere i bambini spericolati lontano dai corsi d’acqua più pericolosi.
L’ORCO DI TEGLIO
Sempre in Valtellina si narra di una creatura abbastanza inusuale: un essere a metà tra l’uomo e il mostro che si cibava di bambini e terrorizzava i pastori. Amava nascondersi nei boschi più fitti. Una versione più bonaria della leggenda lo descrive come un semplice orco burlone, che si divertiva a spaventare i viandanti presso la chiesetta di San Rocco di Teglio. Era molto alto, oltre i due metri, ma era anche sottile come un crine di cavallo, quindi era praticamente impossibile vederlo. In tal modo poteva aggirarsi indisturbato. Aveva poteri da mutaforma e si manifestava alle vittime in svariate sembianze. Pare che la sua forma preferita fosse quella di un asino.
IL FANTASMA DI CASTENEDOLO
Al confine tra i comuni di Ghedi e Castenedolo si trova la strada dei Quarti, che percorre le brughiere della bassa bresciana. Si racconta che in tempi remoti un’ombra vagasse per quel sentiero, come se non avesse pace. Gli abitanti delle cascine formulavano le teorie più disparate su chi fosse quel fantasma. Alcuni sostenevano che si trattasse di un morto affogato nel fiume Mella, il cui corpo non venne mai ritrovato. Altri parlavano di un pellegrino attaccato e ucciso dai briganti. L’ipotesi più articolata lo classifica come lo spirito di Manistri, proprietario dei terreni locali. Quest’ultimo sarebbe deceduto prima di mantenere una promessa, ovvero erigere una cappella in onore della Madonna dei Quarti, alla quale era molto devoto.
IL MAGHÉT
Questo folletto si chiama letteralmente “Piccolo mago” ed è caratteristico, come la Caurascia, della Valtellina, con una forte concentrazione nella località della Valfurva. Hanno un’indole folle e stravagante, al punto da risultare imprevedibili. Le loro azioni caotiche, compiute grazie ai poteri magici, si rivelano minacciose per i contadini e i pastori, che li temono molto. Si muovono in modo assai rapido e nessuno riesce a descriverli con chiarezza. Pare che si cibino di funghi crudi e che sappiamo comunicare con gli insetti. Oltre a rubare oggetti di valore, provocano liti ed equivoci. Se proprio si sentono crudeli, fanno rotolare enormi massi a valle e durante l’inverno provocano delle valanghe. Un altro loro vizio è sradicare ponti: il loro bersaglio preferito è il ponticello sul torrente Frodolfo (località Uzza), che continua a rovinarsi! Temono le immagini sacre e, proprio per questo, passano sempre dietro le cappellette e i santuari eretti dagli uomini.
LA CAURASCIA
Una sorta di Chimera, originaria della Valsassina (provincia di Lecco). La Caurascia è un animale a metà tra una capra e un volatile, che tende agguati nei boschi. Per attirare le vittime lancia un grido simile al richiamo di un pastore, alternandolo al belato di un capretto. Capita che il viandante, incuriosito dai suoni, si allontani dal sentiero per cercare l’ovino smarrito. A quel punto il mostro lo fa smarrire del tutto o gli si para davanti, terrorizzandolo a tal punto da farlo diventare calvo. Si dice che sia una creatura prevalentemente notturna e secondo alcune versioni consegna i malcapitati ai demoni infernali.
IL FOLLETTO PIRIPICCHIO
Si narra di strani accadimenti nel comune di Albosaggia, in provincia di Sondrio. A mezzanotte, piccoli folletti che abitavano i boschi circostanti si riunivano per ballare, cantare e giocarsi qualche scherzo. Dall’altra parte della foresta, in una caverna, maghi e streghe gettavano ogni genere di ingrediente in un pentolone, preparando una brodaglia fetida. In un villaggio limitrofo, precisamente in una casa isolata, viveva un vecchio brutto e taccagno che, oltre a numerose monete d’oro, possedeva un anello ornato di un bellissimo diamante, dotato di poteri magici. Esso era in grado di rendere ricco il portatore e ridurre in schiavitù tutti coloro che incontrava. Il capo dei maghi era a conoscenza dei poteri dall’anello e organizzò un piano per derubarlo.
Una tra le streghe più brutte si rese invisibile e rubò il gioiello al taccagno. I folletti, tra cui Piripicchio, avevano osservato la scena dalle cime degli alberi e decisero che avrebbero annullato la magia dell’anello soffiandoci sopra, in modo che nessuno potesse usarlo per compiere malvagità. Accadde in seguito che due giovani fidanzati, in viaggio verso casa, incontrarono la strega travestita da mite nonnina, che gli mostrò l’anello. In cambio dell’oggetto, la megera chiese i capelli biondi della ragazza e gli occhi azzurri del ragazzo. I due rifiutarono e la strega puntò l’anello verso di loro, tramutandoli in due alberi. Piripicchio apparve insieme agli altri folletti e danzò attorno alle due piante, riportando i giovani al loro aspetto normale. I maghi e le streghe allora capirono che, a ogni tentativo di sfruttare la magia dell’anello, i folletti ne avrebbero annullato l’effetto.
LA DÒNA DEL ZÖCH
La Donna del Gioco è un personaggio immaginario che ha popolato la fantasia di svariate generazioni di giovani bergamaschi. Viene dipinta come una figura femminile alta, dai capelli arruffati e vestita con lunghe gonne nere. A volte veniva accompagnata da quaranta cani bianchi o da sette gatti, che portavano al collo un piccolo sonaglio. Appariva al crepuscolo e girovagava per le vallate a una velocità impressionante. Lanciava grida stridule e giocava brutti scherzi a chiunque avesse la sfortuna di incontrarla. Pochi l’hanno vista e ancora meno testimoni hanno avuto il coraggio di rivolgerle la parola, poiché avrebbero ricevuto in testa un mastello di acqua gelida. Pare che spaventasse soprattutto gli ubriachi usciti a tarda notte dalle osterie e che bagnasse da capo a piedi le lavandaie.
L’ENCOF
Uno di quei folletti che tolgono il sonno. L’Encof è presente in varie zone del territorio lombardo e se ne racconta soprattutto in Val Bregaglia (Sondrio) e Valsassina (Lecco), oltre che nel comasco. Come i suoi simili, si siede sul petto del defunto e provoca degli incubi. Se poi avete un camino in casa, vi consigliamo di stare attenti: l’Encof potrebbe ostruirlo, causando la morte degli inquilini grazie all’ossido di carbonio. Alcune fonti lo identificano come una femmina, e infatti si presenterebbe in queste vesti graziose e rassicuranti, prima e dopo aver commesso le sue malefatte.
LE STREGHE DEL TONALE
Era il 1518 quando Carlo Miani, castellano di Breno, scriveva di un gruppo di streghe che si erano stabilite sul monte Tonale per usarlo come base per i propri riti satanici. La stregoneria era una questione intergenerazionale e capitava che giovani donne, istigate dalle madri, disegnassero una croce sul terreno per poi calpestarla e sputarci sopra, pronunciando oscenità. A quel punto si materializzava il Diavolo in persona, nella forma di un mostruoso cavallo. Le streghe montavano sull’equino infernale per farsi trasportare sulla cima della montagna, dove aveva luogo un sontuoso banchetto. Il sabba era accompagnato dai venti impetuosi della Valle Camonica. Pochi temerari si erano avventurati sulla cima e non avevano fatto ritorno.
Un giorno un cavaliere si mise in cammino per porre fine a quei macabri rituali. Partendo da Ponte di Legno, si inerpicò lungo i boschi della Cima Le Sorti. Accortesi dell’intruso, le streghe circondarono il viandante, chiamando a rinforzo lupi, orsi e altre bestie selvagge. Il cavaliere portava con sé una croce di pino e la levò contro le belve, che batterono in ritirata. Le streghe allora si scagliarono contro l’uomo con gli artigli protesi, ma al tocco della croce le loro unghie si sciolsero come cera. Le donne chiamarono allora il Diavolo, che si avventò furente sullo sconosciuto, colpevole di aver interrotto il sabba. Il cavaliere tenne alta la croce e tracciò nell’aria un ampio segno, scacciando il Maligno in nome della Santissima Trinità. Umiliato e sconfitto, il Diavolo sprofondò in una voragine, mentre le streghe fuggirono con la coda tra le gambe. Il cavaliere comandò allora che in quel luogo venisse eretto un ospizio dedicato a San Bartolomeo, in memoria della sconfitta delle tenebre.
IL FANTASMA DI SIRMIONE
Secondo un vecchio racconto, nel Castello Scaligero di Sirmione dimora lo spettro di Ebengardo, fantasma di un nobile morto circa sette secoli fa. Di solito viene avvistato nelle notti di tempesta, mentre si dispera lungo le mura. La sua storia è pregna di tragicità e romanticismo: a quanto pare, insieme alla sua sposa Arice, prese dimora proprio nella Rocca e visse felicemente, fino a quando un viandante a cavallo non chiese ospitalità durante una tormenta. Disse di essere Elaberto, marchese del Feltrino, e venne accolto dalla coppia con gran premura. Peccato che l’ospite, una volta posato lo sguardo sulla bella Arice, si innamorò perdutamente e non chiuse occhio per tutta la notte.
Insonne e prossimo alla follia, il marchese si diresse alle stanze di Arice, trovandola addormentata. Ansioso di farla sua, la destò e le piombò addosso, ma la donna oppose resistenza. Irritato, Elaberto estrasse un pugnale e la uccise. Destato dalle grida, Ebengardo si precipitò negli alloggi dell’amata, ma la trovò in un lago di sangue. Esplose una colluttazione tra i due uomini, che terminò con la morte del crudele Elaberto. Ebengardo posò la lama e si rese conto che non avrebbe più potuto essere felice. Nemmeno alla sua morte si ricongiunse con Arice, poiché essendo colpevole di omicidio, gli fu negato l’accesso al Paradiso. Ancora oggi, in vesti spettrali, vaga nel luogo dove perì la sua consorte, destinato a rimanere in un limbo eterno.
IL BADALISC
La figura del Basilisco è diffusa a macchia di leopardo nei territori italici (una sua variante è apparsa nel Bestiario toscano), e anche in Val Saviore (provincia di Brescia) corre voce di un “Badalischio” dalla forma serpentesca, con la testa pelosa e un paio di corna. A prima vista sembra una creatura spaventosa, ma il suo mito ha un lato umoristico: il mostro conosce un sacco di aneddoti e freddure, che a volte racconta agli abitanti del posto. Durante la settimana dell’epifania sono previsti dei festeggiamenti dove un gruppo di persone cattura il Badalisc, per poi portarlo in processione per le vie del paese. Una volta davanti alla folla, il personaggio in costume si mette a raccontare episodi scherzosi, scritti in rima. A quanto pare la Disney ha intenzione di realizzare un lungometraggio sul Badalisc! Il progetto è guidato dall’animatore veterano Lino DiSalvo!
LA PROCESSIONE DEI LADRI MORTI
Saviore dell’Adamello è un piccolo comune della Val Camonica, incastonato nelle montagne. Stando a una leggenda popolare, durante le notti invernali il paese è attraversato da una silenziosa processione di fantasmi. Tali ombre sarebbero ladri e criminali, condannati a restare sulla Terra per aver rubato in vita. Tra gli abitanti locali c’è chi giura di averli visti davvero. Avanzando composti in processione, gli esseri spettrali si fanno luce grazie a delle fiammelle che ardono sulla punta delle loro dita. Tali figure sono associabili ai Confinanti, ovvero anime in pena di persone che fino all’ultimo respiro non hanno avuto sentimenti religiosi.
DEGONDO
Quale luogo migliore per uno spirito maligno se non una voragine? Sotto la cima dei Tre Cornelli, a metà tra il territorio di Serle e quello di Vallio (provincia di Brescia), si apre una spaccatura colma di sassi e terriccio. La sua reale profondità non è nota, ma dai racconti locali possiamo farcene un’idea: nei tempi andati i pastori e i carbonai si riunivano intorno al crepaccio per gettarvi delle pietre e ascoltarne il rimbalzo sulle pareti. Non si trattava di una semplice attività ludica, ma di un rito che si tramandava di generazione in generazione. Gettando i sassi nella spaccatura, si impediva che l’anima del crudele Degondo ne uscisse, tornando nel mondo dei vivi.
Degondo era un masnadiero famoso per i saccheggi, i pestaggi e le minacce di morte. La sua cattiveria non risparmiò nemmeno il parroco della chiesetta di San Gaetano: dapprima il criminale si presentò travestito da povero viandante, per chiedere asilo. Il prete lo smascherò e gli intimò di andarsene, oltre che di pentirsi dei suoi peccati. Degondo giurò vendetta e fece ritorno qualche giorno dopo, ordinando al religioso di consegnargli tutto il suo denaro. Il prete rifiutò e Degondo lo strangolò a morte. Dopo aver gettato il cadavere nel focolare, il ladro si diede alla fuga, ma la voce del misfatto circolò in fretta tra i valligiani, che si armarono di pale e forconi per dargli la caccia. Degondo corse all’impazzata con la gente del paese alle calcagna, fino ad arrivare ai Tre Cornelli. Per la fretta precipitò nella famosa spaccatura, e i contadini udirono il suo urlo disumano mentre cadeva nel vuoto. Da allora si affermò la tradizione di gettare sassi e zolle nella fossa, in modo che l’anima dannata del brigante non potesse riemergere.
ANA SOSANA
Questa sinistra figura è diffusa nel bergamasco ed è una portatrice di caos. Si diverte a fare dispetti, sconvolgendo la quiete domestica. Un suo scherzo ricorrente è nascondersi nel camino, per poi gettare sassolini, rami e sterpaglie nelle pentole. In questo modo riesce a rovinare i piatti appena preparati. È associata ad Anna e Susanna, due donne che compaiono in una filastrocca locale usata per ricordare le domeniche di Quaresima, e rappresenta una storpiatura dei loro nomi. Diverse fonti definiscono Ana Sosana un folletto e non è chiaro se sia di genere maschile o femminile. In ogni caso, sembra proprio che i folletti lombardi abbiamo un’ossessione per i camini! La prossima volta che cucinate qualcosa di prelibato, tenete d’occhio la pentola.
LA SERPE BIANCA DI CHIAVENNA
Su diversi portoni della città di Chiavenna, in provincia di Sondrio, si può notare una serpe in ferro battuto. Tale figura ha un significato di protezione per gli abitanti del posto. Si racconta che in un tempo remoto il paese venne invaso da innumerevoli insetti, con drastiche conseguenze per le coltivazioni. La gente di Chiavenna, ormai disperata, chiese aiuto a un mago che abitava nei paraggi, famoso per i suoi potenti sortilegi. Lo stregone chiese enigmaticamente “Avete visto una serpe bianca?”. Gli ospiti risposero di no e il mago li invitò ad abbandonare la sua dimora.
I Chiavennaschi pensarono che lo stregone non volesse aiutarli, ma questi si presentò a sorpresa in città e ordinò che fosse preparato un grande falò. Una volta acceso il fuoco, il mago estrasse un curioso strumento e iniziò a suonare. In risposta alla melodia magica, tra le fiamme si formò una grande serpe bianca, che attirò a sé tutti gli insetti che infestavano i campi. I parassiti morirono bruciati, ma i contadini non ebbero il tempo di festeggiare, poiché il fuoco inghiottì anche il mago e la serpe, senza lasciarne traccia. Rimasero molti dubbi sul sortilegio e sulla natura di quello strano benefattore, ma da allora la gente di Chiavenna attribuisce al serpente bianco una forza protettiva.
LA STREGA DI NAVE
Torniamo ai fenomeni di stregoneria in Valle Trompia, provincia di Brescia. La protagonista, questa volta, è Benvegnuda detta Pincinella (cognome del marito, che secondo altre fonti era Piccinelli). È stata una delle poche donne bresciane processate e condannate al rogo con l’accusa d’aver praticato stregoneria. Originaria di Nave, Pincinella pecca per la logica dell’epoca, di essere una donna eccentrica, intelligente e abile nel curare le persone. Donne e uomini di ogni ceto si rivolgevano a lei in cerca di cure ma anche di consigli relativi alla vita matrimoniale; Benvegnuda riusciva sempre tramite incantesimi ad aiutare le persone che bussavano alla sua porta.
La vicenda che la condurrà al patibolo iniziò nel 1509, quando a Benvegnuda si presentarono i servi del podestà di Brescia, Sebastiano Giustiniani. La figlia di quest’ultimo era ammalata e non riusciva a mangiare; secondo la mentalità dell’epoca doveva essere afflitta da una fattura. Benvegnuda per annullare l’influsso malefico della fattura sulla fanciulla, utilizzò decotti e cataplasmi a base di erbe, applicate mentre la guaritrice recitava delle preghiere o formule. La bambina guarì e per questo Benvegnuda Pincinella fu condannata a indossare la veste dell’infamante, un vestito nero con delle croci rossi, e al domicilio coatto a eccezione per i giorni di festa, dove la donna avrebbe dovuto mendicare il perdono al di fuori del duomo.
Successivamente il suo caso fu riesaminato dall’Inquisizione romana, ritenuta da alcuni più indulgente rispetto a quella spagnola. Nel 1518 Benvegnuda fu arrestata e interrogata. Durante l’interrogatorio la donna fece il nome di un certo “Zulian”, che sosteneva essere il suo protettore. Tale affermazione fu considerata come un patto con una qualche entità malefica, quando in realtà la Bevegnuda molto probabilmente si riferiva a San Giuliano, protettore dei medici e curatori. All’età di sessant’anni venne condannata al rogo con l’accusa di aver praticato stregoneria. Il patibolo fu allestito in Piazza Loggia, vicino a una colonna con in cima il leone di San Marco. Le ceneri si dice siano state poste insieme alle spoglie di altri eretici, nella chiesa di San Giorgio in Contrada Santa Chiara. Oggi questa chiesa è sconsacrata e utilizzata per le cerimonie civili.
IL DIAVOLO DI REZZATO
Nei pressi di Rezzato, in provincia di Brescia, si trova l’antico convento francescano di San Pietro in Colle. Questo luogo ha dato origine a una serie di leggende poiché nelle immediate vicinanze è presente un bassorilievo inquietante, un’incisione con il volto del “Diaol”, che sembra osservare chiunque passi di lì. Il manufatto riporta la data del 1798, a malapena visibile. Secondo alcuni quel volto è stato realizzato per commemorare la morte di un uomo, secondo altri si tratta dell’icona di un demone, se non del Diavolo in persona. Si narra di sabba stregoneschi e di roghi dell’Inquisizione tenutisi proprio in quelle terre. Studi più recenti lo catalogano come la rappresentazione di un “genius loci”, una divinità pagana che proteggeva le foreste circostanti, poi demonizzata con l’avvento del Cristianesimo.
IL CAVALIERE DI FUOCO
Non è raro che tra le genti di due paesi limitrofi sorgano delle controversie. Una famosa riguarda quella tra i comuni di Marmentino e di Navono, motivata dai confini territoriali. Il sindaco di Marmentino sosteneva che una piccola località, posta proprio al limite tra le due cittadine, spettasse a lui. I sindaci decisero di recarsi sul posto per risolvere la contesa. Una volta arrivato, il sindaco di Marmentino giurò sulla Sacra Bibbia che la terra che stava calpestando in quel momento fosse sua. In quel momento una enorme voragine si aprì sotto i suoi piedi e lo inghiottì. Da allora, nelle notti di tempesta, un cavaliere infernale corre all’impazzata nei paraggi. Sia lui che il suo destriero sono circondati da fiamme e pare che il cavaliere gridi parole sconnesse, rigorosamente in dialetto, per segnare l’esatto confine tra i due comuni. Questo mito è una interessante rielaborazione locale della Caccia Selvaggia.
Siamo arrivati alla fine di questo primo Bestiario espanso dedicato alle regioni italiane. Ricordandovi ancora una volta di dare un’occhiata al pezzo principale, vi esortiamo a esplorare le bellezze della Lombardia o, se ne siete a conoscenza, di suggerirci qualche leggenda dimenticata che può essere inclusa nell’elenco. Sperando di non essere inghiottiti da Bennie durante una gita lacustre, vi diamo appuntamento al prossimo capitolo. Buona permanenza nella terra dei mostri!

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