Analisi approfondita di un film horror pieno di segreti.
di Alessandro Sivieri
Da sempre l’uomo si diletta a immaginare mostri di ogni tipo, quando l’essere più terrificante è visibile sulla superficie di uno specchio. Jordan Peele, esordito in modo folgorante con Scappa – Get Out, riprende un tema caro alla letteratura e alla psicologia, quello del doppelgänger, il doppio che rappresenta il lato nascosto di noi stessi. Con una buona dose di critica sociale, Noi (qui la recensione in anteprima) si spinge addirittura oltre, portando lo spettatore a chiedersi quale sia la vera immagine riflessa. Il giovane regista, già vincitore di un Oscar per la miglior sceneggiatura originale, dimostra di avere un solido punto di vista e di correre con il turbo verso una piena maturità artistica. Us – questo il titolo originale – è una pellicola che si destreggia tra più sottogeneri: da un primo atto in stile home invasion (che ricorda Cane di paglia, Funny Games ma soprattutto The Strangers) si passa allo slasher e al post-apocalittico, senza perdere il senso di coesione. Se la fotografia è sopra la media per questo tipo di produzioni, le vere abilità di Peele risiedono nella gestione impeccabile del ritmo, nel montaggio sonoro e nella direzione degli attori.
Noi non è in cerca del terrore facile e i jump scare sono praticamente assenti. A sostituirli una tensione quasi perenne e la sensazione che i protagonisti siano sempre in pericolo. Questo alone di imprevedibilità brilla nella parte centrale del film, che ruota intorno a fughe notturne e scontri fisici tra i membri della famiglia e i loro doppi malvagi. Ci viene tolto il lusso degli spaventi improvvisi, normalmente catartici in una sequenza thrilling, per farci piombare in un labirinto psicologico dove non siamo abituati a orientarci. Come recita la tagline della pellicola, noi siamo il nostro peggior nemico, in particolar modo gli angoli della nostra mente che vorremmo seppellire sotto i costrutti sociali.
All’atmosfera disturbante contribuiscono musiche sperimentali, spesso amalgamate con suoni ambientali, dei quali costituiscono un’amplificazione. A fare da contraltare troviamo pezzi soul e hip hop, a volte rallentati per acquisire una sfumatura macabra. La performance attoriale è un universo a parte: Peele impiega gli interpreti al massimo e cerca di spillarne ogni singola goccia espressiva, in un compito che si fa doppio, data l’esistenza dei sosia. Grazie a un’illuminazione efficace e ai primi piani vengono esasperati i tratti somatici dei personaggi, in particolare gli occhi spalancati. Sul cast torreggia Lupita Nyong’o, che dopo 12 anni schiavo vince un’altra sfida estremamente fisica, dividendosi tra la protagonista Adelaide e la sua gemella Red. La prima è all’apparenza una donna medio-borghese, introversa e segnata da traumi passati. Con la progressione del racconto ne emergono l’attaccamento ossessivo ai figli e gli scoppi di ferocia primitiva. La seconda, emersa da non si sa dove e desiderosa di vendetta, è tanto enigmatica quanto inquietante. Grazie alle movenze robotiche, ai tic e alla voce roca, Red è l’inconscio che si è fatto carne, contrapponendosi a un Super-Io che vede crollare le proprie certezze.
La premessa narrativa è semplice, ma nasconde una serie di snodi e flashback che formano lentamente il quadro d’insieme: negli anni ’80 una ragazzina si perde in un luna park di Santa Cruz, approfittando della distrazione dei genitori. Qui finisce in una casa degli specchi, dove farà un incontro che le causerà un trauma permanente. Decenni dopo è cresciuta e, insieme alla famiglia, si reca in vacanza nella medesima località. Le paure del passato sono dietro l’angolo e si concretizzano con l’arrivo di pericolosi sconosciuti che hanno le medesime sembianze dei protagonisti. Peele costruisce un’atmosfera opprimente in modo minimalista: la scena iniziale, dove la piccola Adelaide vaga nel labirinto di vetro, è una delle cose più conturbanti che mi sia capitato di vedere negli ultimi anni e riesce a spaventare con poco. L’uso espressivo del colore, che va a dipingere una dimensione folle e parallela, ricorda le pellicole di Dario Argento, in particolare Suspiria. La sequenza dell’invasione in casa, oltre al succitato The Strangers, fa pensare a Signs di M. Night Shyamalan, anch’esso basato su un sapiente utilizzo del sound design e su un montaggio che non lascia scampo.
Anche i plot twist del finale, che ribaltano più volte la storia, hanno il sapore di un The Village o de Il sesto senso, a riprova del fatto che Peele ama giocare con il pubblico, e lo fa allo stesso modo di uno Shyamalan dei tempi migliori. Nonostante uno dei principali risvolti sia intuibile già nei primi venti minuti, la trama non perde il suo mordente e viene caricata di simboli e sottotesti di portata attuale. Al netto di alcune falle logiche che non sfuggiranno allo spettatore più esigente, si esce dalla visione scossi e con la voglia di riflettere su quanto una favola horror possa risultare verosimile, non tanto per gli eventi narrati ma per l’ansia esistenziale che trasmette. La nostra civiltà ha una seconda faccia, dall’aspetto terrificante, e non sappiamo se effettivamente sia quella tenuta nell’ombra o quella mostrata alla luce del sole. Esaurito il commento introduttivo, andiamo ad analizzare i personaggi, gli oggetti e le citazioni che popolano il film. Al fine di un approfondimento completo, da qui in poi l’articolo conterrà pesanti spoiler sulla trama, quindi siete avvertiti.
ATTENZIONE SPOILER!
IL TITOLO
Il significato di Us è ambivalente: da un lato fa riferimento ai doppelgänger, che sono in tutto e per tutto identici ai protagonisti, quindi a noi. In questo film non vi sono mostri orripilanti o presenze sovrannaturali, perché noi siamo il nostro peggior nemico. Us è inoltre l’acronimo di United States, ovvero gli Stati Uniti, ai quali Peele dirige una forte critica sociale. La condizione dei sosia, detti anche Tethered (Incatenati), è una metafora dello sfruttamento dei meno fortunati a beneficio delle classi più agiate. Il divario economico e le discriminazioni rappresentano la seconda faccia dell’America, un’ipocrisia che viene finalmente portata alla luce del giorno.
GLI INCATENATI
La storia dei Tethered è degna di un film di fantascienza e farebbe sbavare una caterva di complottisti: per farla breve, ci clonano sottoterra. Attraverso una non meglio specificata procedura, il governo crea un sosia per ogni cittadino americano, allevandolo poi nel sottosuolo, approfittando dei chilometri di tunnel che si snodano in tutti gli Stati Uniti. Non si conosce il numero esatto dei soggetti, dato che quello di Santa Cruz potrebbe essere un test isolato. Il clone è una copia identica dell’originale, ma è destinato a mimarne i gesti e a provarne, in una certa misura, le emozioni, non essendo dotato di libero arbitrio. Il sosia sembra incapace di spezzare questa sorta di legame psichico e non sviluppa nemmeno la capacità di parlare. L’incontro diretto con il proprio doppio scatena reazioni imprevedibili, come nel caso della protagonista. Chiunque, trovandosi di fronte a se stesso, non saprebbe cosa fare. L’ingresso nella sala degli specchi, in modo emblematico, reca la scritta “Trova te stesso”.
Lo scopo dell’esperimento era controllare la popolazione alla stregua di marionette, ma si rivelò un fallimento, quindi i Tethered vennero abbandonati, destinati a riprodursi contro la propria volontà (generando una prole ugualmente schiava) e a vivere di stenti. Con i decenni si sviluppa una società parallela dove gli individui non comunicano tra loro, se non per riflesso di ciò che accade nel mondo reale. Red è l’eccezione alla regola, dato che una volta preso il posto di Adelaide in superficie (come viene rivelato nel finale), riesce a uscire dal proprio mutismo e a crescere come una bambina normale, seppur traumatizzata. Quando uccide per difendersi, riemerge il suo lato bestiale (tic e versi inarticolati), e il primo ad accorgersene sarà il figlio Jason (Evan Alex).
Dal canto suo la piccola Adelaide, intrappolata nel sottosuolo insieme agli Incatenati, sprofonda progressivamente nella follia e dimentica di essere la “vera” bambina. Curiosamente, acquisisce l’attitudine dei cloni a imitare ciò che viene fatto dall’originale. Col tempo, il popolo dei Tethered si accorgerà che la ragazzina è diversa e inizierà a seguire le sue istruzioni. Adelaide, da tutti scambiata per Red, diventa la guida di una rivolta e organizza un piano per portare gli Incatenati in superficie, in modo che si vendichino in modo sanguinario degli americani e che mandino un messaggio al mondo intero. La dimostrazione, che ufficializza l’esistenza dei Tethered e degli esperimenti governativi, è una gigantesca catena umana. Non è ben chiaro come i cloni siano riusciti ad acquisire il controllo del proprio corpo, cessando di mimare gli originali. È possibile che l’influenza di Adelaide li abbia spinti a evolversi. In tal senso è emblematica la scena del saggio di danza, che ha il sapore di una presa di coscienza.
Quest’ultima, nonostante l’isolamento, ha mantenuto la capacità di parlare, anche se possiede una voce roca, probabile frutto dello strangolamento da parte di Red quando era bambina. Ha fatto proprie alcune abitudini degli Incatenati, tra i movimenti spasmodici. Non ha memoria del suo passato e la sua psiche sembra irrimediabilmente danneggiata. Pare meno sadica rispetto alla sua famiglia sotterranea (in particolare Umbrae e Plutone, ovvero la figlia muta e il figlio sfregiato), ma dimostra attributi fisici e riflessi superiori alla media, essendo in grado di affrontare Red senza problemi e prevederne le mosse.
LA LOTTA DI CLASSE
L’opera di Peele è stratificata e presenta svariate chiavi di lettura. Quella più evidente riguarda la disparità sociale, un ampliamento della questione razziale trattata in Get Out. Anche qui i protagonisti sono di colore, ma il discorso si focalizza sulle contraddizioni del modello politico/economico americano, e in generale della civiltà umana. I Tethered rappresentano le classi meno agiate, nascoste sottoterra, sulle cui spalle campa il popolo benestante, ovvero gli originali che dimorano in superficie. La ricchezza è in mano a una sola parte della cittadinanza, mentre all’altra non restano che le briciole. Grazie al piano di Adelaide, gli Incatenati organizzano una sommossa, uccidendo gli originali per prenderne il posto e dimostrare al mondo intero la loro condizione. L’esasperazione capitalistica degli Stati Uniti ha portato a una rivolta sanguinaria per rivendicare il benessere, la dignità e i diritti civili. Infatti Adelaide, coronando la propria emancipazione con la cattura degli Wilson, proclama con fierezza “Siamo americani”.
Un momento altamente simbolico è il confronto tra Gabe Wilson (Winston Duke) e il suo clone Abraham. Gabe ha bisogno di occhiali per vedere bene e di conseguenza il suo sosia ha lo medesimo problema. Dopo aver imprigionato l’intera famiglia, Abraham si appropria degli occhiali di Gabe e, con suo immenso stupore, la sua vista migliora. Reduce da un microcosmo animalesco, lontano dalle comodità della superficie, non sapeva nemmeno dell’esistenza di tale strumento. La stessa Red, cresciuta in mezzo alla gente comune, si è costruita una vita e teme inconsciamente che gli Incatenati fuggano dai tunnel per vendicarsi. Questo la porta ad avere allucinazioni dove vede la piccola Adelaide, da lei intrappolata, e a non sopportare la località vacanziera di Santa Cruz. Chi ha raggiunto il benessere non è disposto a rinunciarvi, neanche per aiutare i propri “fratelli” in difficoltà.
Eppure l’invidia sociale non colpisce soltanto i Tethered. Si pensi a Gabe, che manifesta più volte gelosia per l’ostentata ricchezza dell’amico Josh (Tim Heidecker). Dando per scontate le proprie fortune, punta a ottenere beni materiali che rappresentano uno status quo, come un motoscafo o un’auto di lusso. Ciò si ricollega tematicamente al concetto di doppio: i Tethered sono schiavi, ma lo siamo anche noi, ubriacati da una finta prosperità e costantemente pervasi da un desiderio di scalata, poco importa se a discapito di qualcuno. Le due facce ai lati dello specchio si invertono figurativamente, dimostrandoci che chi deve combattere per i bisogni fondamentali è più coerente di chi segue il culto del superfluo. Nel film la ribellione assume dimensioni apocalittiche e brutali, a ricordare che il senso di ingiustizia può trasformarsi in odio.
I CONIGLI
Un messaggio nascosto che ci viene sbattuto platealmente in faccia fin dai titoli di testa: i conigli bianchi, per via della loro tendenza a riprodursi in fretta, vengono allevati nel sottosuolo e costituiscono la principale dieta dei Tethered. All’inizio del film li notiamo rinchiusi nelle gabbie, in un lento zoom out all’interno del bunker. Nell’ultimo atto scorrazzano per la struttura, probabilmente liberati dai cloni. La schiera di conigli imprigionati è una metafora degli Incatenati e della nostra società: siamo tutti bestie da allevamento, prodotte in massa per sfamare chi sta più in alto di noi. Il colore bianco richiama l’innocenza di chi si trova in fondo alla catena alimentare e viene sacrificato al predatore. Non dimentichiamo poi che i roditori sono ottime cavie da laboratorio, concetto che si ricollega all’esperimento governativo per il controllo delle masse.
Ad alcuni verrà in mente un’isola alle coste del Giappone, chiamata Usagi Jima, o Isola dei Conigli, popolata da un gran numero di questi animali. La località, ai tempi della Seconda guerra mondiale, era una fabbrica di armi chimiche, e i conigli venivano allevati per testar gli effetti di sostanze mortali come il gas mostarda. Quando gli alleati conquistarono l’isola, decisero di disinfestarla, ma alcuni esemplari sopravvissero all’operazione e continuarono a riprodursi. Esplorando infine la cultura pop, il coniglio bianco è la chiave d’accesso a una rivelazione, a una dimensione oltre le barriere del reale. In Alice nel paese delle meraviglie, la protagonista piomba nel mondo incantato proprio mentre insegue il Bianconiglio nella sua tana. Tale citazione è riscontrabile anche in Matrix, dove Neo (Keanu Reeves) deve seguire il coniglio bianco per liberarsi dal programma.
IL MITO DELLA CAVERNA
La celebre allegoria di Platone è profondamente legata alla condizione degli Incatenati. Nel racconto numerosi prigionieri sono intrappolati in una caverna, con lo sguardo rivolto verso le pareti. Alle loro spalle arde un enorme fuoco, dinanzi al quale transitano oggetti, animali, persone. Questi elementi proiettano un’ombra sulla parete della caverna, e i prigionieri, non essendo mai stati liberi, scambiano queste ombre per il mondo reale. Platone immagina che uno di questi prigionieri, liberatosi dalle catene, esca dalla grotta per avventurarsi verso una conoscenza superiore. Dapprima sarebbe accecato dalla luce, ma poi inizierebbe a distinguere cose e persone, scoprendo che le ombre sono solo un inganno. A questo punto sorgerebbe in lui il desiderio di tornare nella caverna per liberare i suoi compagni e condurli all’esterno. Peccato che i suoi occhi faticherebbero a riabituarsi alle tenebre e che verrebbe deriso dagli altri prigionieri, che lo considererebbero un folle e tenterebbero di ucciderlo se provasse a spezzare le loro catene.
Adelaide e Red, due facce della stessa medaglia, incarnano il prigioniero che si è liberato e che trova l’uscita della caverna. Mentre Red si è costruita una nuova vita e non ha alcuna intenzione di aiutare i Tethered, Adelaide resta intrappolata con loro e ne diventa la leader, istruendoli su come evadere e su come guadagnarsi ciò che gli spetta di diritto. Le due ragazze, legate a livello psichico, hanno vissuto in ambedue i mondi ma hanno rimosso a livello inconscio il passato, scambiandosi di posto. Chi si crede innocente e illuminato (Red) è in realtà un impostore che ha sacrificato il suo doppio per conquistare la libertà. Le motivazioni di Red sono comunque comprensibili, se pensiamo alle condizioni disumane dei cloni. Il conflitto tra le gemelle equivale a una lotta cannibalistica tra oppressi. Dal canto suo Adelaide parla dei Tethered come “le ombre”, stabilendo un altro collegamento con Platone. Lei, al contrario del protagonista del mito, è riuscita a convincere i propri compagni a salire in superficie. Anche all’arrivo della famiglia Wilson sulla spiaggia di Santa Cruz si trova un dettaglio significativo: le loro ombre sulla sabbia vengono deformate dal sole, a indicare l’esistenza dei loro doppi.
LE FORBICI, LE TUTE ROSSE E LA SCALA MOBILE
L’arma dei Tethered è un paio di forbici dorate, che impugnano con una mano guantata. Tale oggetto è il simbolo della separazione, della facoltà di spezzare un legame che rende il clone dipendente dall’originale. Le forbici sono infatti composte da due parti quasi identiche, come l’essenza della protagonista. È inoltre ricorrente negli horror l’utilizzo di uno strumento comune per difendersi o attaccare. Inoltre, durante la rivolta organizzata, tutti gli Incatenati indossano delle tute rosse da lavoro. Una scelta di vestiario che richiama le classi oppresse, costrette a lavori umili e pesanti, ma anche i carcerati. Il rosso è anche il colore del sangue, che viene versato in abbondanza quando si scatena la vendetta dei Tethered. Altro elemento che fa pensare alle disparità economiche e allo sfruttamento è la scala mobile utilizzata dalla piccola Red per fuggire dai tunnel: la metafora di un’ascesa verso i privilegi e un rango sociale più alto.
IL NUMERO 11
Il numero 11 ricorre in svariati contesti: il cartello portato da Jeremiah, il pazzoide del luna park; l’orario sulla sveglia; uno dei premi alle giostre, la partita in televisione. Questo numero è composto da due simboli identici accostati, la cui somma è comunque due. In numerologia gli viene attribuito il potere di unire dimensioni differenti. Il versetto 11:11 della Genesi recita inoltre così:
Perciò, così parla l’Eterno: Ecco, io faccio venir su loro una calamità, alla quale non potranno sfuggire. Essi grideranno a me, ma io non li ascolterò.
Si tratta proprio di una previsione apocalittica della rivolta, dalla quale gli americani non potranno scappare. Tale passaggio biblico si concentra sull’adorazione di falsi idoli, come il culto materialistico e l’ossessione del controllo che ha portato alla creazione degli Incatenati. Non è un caso che anche il personaggio di Millie Bobby Brown in Stranger Things si chiami Undici.
GLI OMAGGI
Lunga la pellicola sono disseminate citazioni al genere horror e non solo: nella scena iniziale, quando la piccola Adelaide guarda la televisione, compaiono svariate VHS sullo scaffale, con titoli come I Goonies, C.H.U.D. e Nightmare. La piccola indossa anche una t-shirt con Thriller di Michael Jackson. Quando si ripresenterà, ormai cresciuta, a minacciare la famiglia di Red, apparirà schierata accanto al marito e ai figli, tutti sinistramente immobili, come se fossero dei morti viventi. La spiaggia e il parco divertimenti sono i medesimi di Ragazzi perduti, film del 1987. Jason, figlio di Red, porta invece una maglietta de Lo squalo. Le due gemelle adolescenti, figlie dei Tyler, appaiono affiancate chiedendo alla giovane Zora (Shahadi Wright Joseph) di unirsi a loro per giocare, come le ragazzine di The Shining. Il balletto parallelo di Red e Adelaide riporta alla mente Il cigno nero, momento di catarsi dove il personaggio di Natalie Portman completa la sua metamorfosi.
HANDS ACROSS AMERICA
Nel prologo la piccola Adelaide guarda un notiziario che parla di Hands Across America, iniziativa benefica del 1986 che si rivelò un flop organizzativo. Una volta cresciuta, il suo inconscio andrà direttamente a rievocare quell’evento e pianificherà qualcosa di molto simile: dopo essere usciti allo scoperto e aver seminato devastazione, i Tethered si uniscono per formare una catena umana che manda un chiaro messaggio politico, quello della loro esistenza. Le vecchie connessioni con gli originali sono state brutalmente recise per fare posto a un nuovo tipo di legame, quello del “popolo dell’ombra” che è finalmente uscito alla luce del sole.
LE CONTRADDIZIONI
L’analisi di questa lunga serie di elementi porta alla luce una carica simbolica disseminata per tutto il film, con una scrittura che in nome del ritmo lascia alcuni dettagli all’immaginazione dello spettatore. La maggior parte delle falle logico-narrative riguardano la nascita e la sopravvivenza dei Tethered: non è chiaro con quali metodi siano stati creati e legati “spiritualmente” agli originali in superficie. Non sappiamo nemmeno perché, riproducendosi in sincrono con il proprio doppione, partoriscano per forza una prole-fotocopia, che subisce gli stessi vincoli di genitori. Un’altra domanda sensata è come il popolo sotterraneo sia sopravvissuto all’abbandono del governo: pur essendo semi-catatonici, sono stati in grado di allevare da soli i conigli ingabbiati?
Com’è possibile che i tunnel fossero ancora dotati di corrente elettrica e acqua potabile? Dove sono stati reperiti i materiali come forbici e tute? Vi sono state altre incursioni fuori dai tunnel dopo la fuga di Red, magari per procurarsi beni di prima necessità? È implicito che Adelaide, dopo essere diventata il capo della rivolta, abbia percorso ancora la via d’uscita per avventurarsi all’esterno, avendo trovato l’ingresso della struttura? Ci sfugge perché una base segreta sia accessibile dall’attrazione abbandonata di un luna park, con una scala mobile, senza alcun tipo di misura di sicurezza, al punto da non presentare alcun ostacolo per una bambina.
L’osservatore meno indulgente non potrà fare a meno di notare una serie di leggerezze e coincidenze forzate che, per snellire il minutaggio e costruire i presupposti della trama, non sono state approfondite. Ma qualche porta senza lucchetto e una dieta a base di conigli crudi sono poca cosa se pensiamo all’esperienza che Us è in grado di regalarci. Incrociando le nostre paure con le ipocrisie per dare vita a un figlio perverso, Peele ha creato un prodotto che cita a destra e a manca senza rinunciare a un importante messaggio da trasmettere. Che scelga di proseguire con il filone horror, magari per completare una trilogia, o che si getti a capofitto in un altro genere, non vediamo l’ora di conoscere i prossimi progetti del regista newyorkese. Restate sintonizzati e vedremo insieme quant’è profonda la tana del Bianconiglio.
2 commenti Aggiungi il tuo