Recensione del primo episodio della serie della BBC in collaborazione con Netflix dedicata al vampiro più famoso della storia.
di Matteo Berta
La serie di Dracula funziona perché rimescola le carte in tavola e non cerca di essere l’ennesimo fedele adattamento del testo originale. Mark Gatiss e Steven Moffat prendono il libro di Bram Stoker e lo trasformano nel testo di Jack Torrance, infatti i due showrunner, dopo un apparente inizio negli schemi, alzano la difesa e cominciano ad attaccare, mostrando allo spettatore una serie di intuizioni tanto coraggiose quanto funzionali.
The Rules of the Beast è il primo episodio della miniserie composta da tre capitoli. Questa prima storia si presenta come un attento preludio a una serie di eventi notevoli. Infatti, dopo averci presentato i personaggi a dovere, gli autori si divertono nel giocare con i punti di vista e pian pian ci “manipolano” facendoci adattare ai loro cambiamenti. Le variazioni principali (e iniziali) sono relative anche al personaggio di Dracula, uno dei migliori mai visti assieme a quello della serie di Castlevania (sempre Netflix). Il Re della Notte ha meno spirito da macchinazione, ma più istinto guidato da desideri immediati, nonostante ostenti la solita intelligenza e furbizia nel raggiungimento dei suoi scopi.
Il secondo bel cambiamento presentato in questa serie è in riferimento ai personaggi femminili. Le donne di questa storia non sono solamente oggetti del desiderio o vittime degli eventi, esse prendono in mano la situazione e sono tra le artefici principali degli sviluppi narrativi. Senza scendere nel dettaglio, a una di loro viene assegnato un ruolo decisamente centrale.
Gli effetti speciali sono ben adattati a un montaggio peculiare che alterna i ritmi in modo molto funzionale alla storia. Spiccano su tutti gli effetti speciali pratici, anche se praticamente relegati solamente a makeup prostetico e ad altre dinamiche da body horror. La scrittura della serie, in termini di genere e gestione del tono della storia, potrebbe far storcere il naso a qualcuno, dal momento che spesso vengono alternate sequenze horror a momenti che qualcuno (come l’amico Davis) potrebbe definire alla Leslie Nielsen, ma che, personalmente, credo rientrino perfettamente nella nuova configurazione del personaggio di Dracula, più sbruffone, e meno legato a paradigmi da “bon ton” della propria discendenza.
Il buon David Arnold offre qualche commento musicale interessante nelle scene più cariche di pathos, ma si perde in contenuti insipidi in momenti fondamentali per una serie. Il pezzo a commento della sigla è insignificante, sembra voler scimmiottare Brian Reitzell con la sigla della serie di Hannibal, ma nello stesso tempo mantiene una struttura più classica con tutti quegli strumenti a corda che non portano a casa nemmeno un’emozione.
La produzione è quella di Sherlock e se ne sente l’influenza, dal punto di vista del ritmo soprattutto. Un inizio decisamente interessante per una serie che ha molto da dire.
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