Una full immersion splatterosa nel rifacimento di Fede Alvarez.
di Alessandro Sivieri
Trascorsi venti anni dall’esilarante saga di Sam Raimi, emerge un remake fatto con la testa. L’originale era un’opera a bassissimo budget ma ad alto tasso di idee, che ha lanciato il suo autore sul mercato internazionale. Il sequel diretto arriverà nel 2015 con la serie Ash vs Evil Dead, ma due anni prima Bruce Campbell e lo stesso Raimi hanno pensato di rilanciare, questa volta da produttori, una visione alternativa e attualizzata de La Casa. Per condurre l’operazione viene reclutato Fede Alvarez, filmmaker indie uruguaiano che ha un rispetto profondo per la trilogia e ne fa una rilettura più seriosa, senza scordarsi le secchiate di gore.
Le basi rimangono le medesime e le citazioni abbondano: la Oldsmobile, il gruppo di cinque persone nella baita isolata, la motosega, le soggettive nel bosco, lo stupro con i rami malefici e il Necronomicon. Alvarez taglia la figura di Ash Williams, difficilmente accostabile a un altro attore, e rimescola le dinamiche tra i protagonisti. Ecco che la gita al cottage è in realtà un week-end di solitudine per aiutare la giovane Mia (Jane Levy) a disintossicarsi. La ragazza ha dei traumi familiari e aveva già rischiato di morire di overdose. Jane Levy è un mix di forza e fragilità, ha un discreto arsenale espressivo e dà vita al personaggio più riuscito del film.
Non c’è spazio per l’ironia, se non durante l’incipit e nel duello finale, dove si rispolverano i demoni folli e sboccati alla Sam Raimi, creature la cui classe oxfordiana rivaleggia con Regan de L’esorcista. Accattivante il prologo, dove una povera fanciulla viene rapita e data alle fiamme da quella che sembra una setta di squinternati; infine scopriamo che la donna era una killer indemoniata. Per il resto la pellicola è feroce, tesa. Le ferite e la violenza straripano, fino a far piovere ettolitri di sangue sul set. Si privilegiano gli effetti pratici e il body horror, con gli arti che marciscono o vengono tranciati di netto.
Abbondano make-up, effetti pratici e il gore cartoonesco.
Memorabile la scena di una biondina zombie senza un braccio che attacca i superstiti con una sparachiodi. Nessun tipo di tortura viene risparmiato ai protagonisti, che si prendono parecchio sul serio. Se lo splatter è così esagerato da sconfinare nel cartoonesco (come nella vecchia trilogia), il background dei cinque ragazzi riflette problematiche attuali: la droga, il rimorso, il senso della famiglia.
Alvarez sceglie di dare più senso alla scampagnata boschiva e cerca di farci empatizzare con i drammi personali. Peccato che le modalità di risveglio dei demoni siano quelle di sempre, dove un imbranato decide di aprire, toccare e leggere ad alta voce il Necronomicon, un libro pieno di scarabocchi che consigliano l’esatto contrario. Nel dubbio è meglio non enunciare delle formule astruse e scatenare l’inferno sulla Terra. Le pagine sembrano quasi uno storyboard delle scene truculente che vedremo un attimo dopo, cosa che può smorzare l’attesa. La occasionale demenza di questo gruppetto socialmente impegnato stona un po’, ma sono le regole del gioco.
Passando da demone (il nome tecnico è Deadite) a combattente principale, Mia eredita per certi versi il ruolo di Bruce Campbell e affetta carcasse putride con tutto ciò che trova. Le sue sofferenze sono molteplici e non viene investita di nessun girl power fuori dagli schemi. Il suo è piuttosto un atto di coraggio e sacrificio per liberarsi dal passato, dalla droga e da una masnada di ributtanti non-morti. Il lavoro di Alvarez è visivamente valido e concentrato, ingozzandoci con un guilty pleasure di mutilazioni che si discosta in parte dai predecessori, ma non riesce a rendersi ugualmente memorabile. In ogni caso, non leggete un libro in pelle umana per passare il tempo.
Arriva la dolce Mia, che tutti i non-morti si porta via.
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