THE BLAIR WITCH PROJECT – Quando il mostro non si vede (e forse non esiste)

Scavando nella mitologia del found footage per eccellenza.

di Alessandro Sivieri

Avete vinto un biglietto per un salto nel tempo, purtroppo senza il comodo ausilio di una DeLorean alimentata a plutonio. La destinazione è il culmine degli anni ’90, agli albori di Internet e del marketing virale, quando i vari REC e Paranormal Activity non erano nemmeno un’idea, mentre l’eredità di Cannibal Holocaust (1980) di Ruggero Deodato era già granitica. È in questo clima di sperimentazione da fine millennio che una coppia di registi esordienti (Daniel Myrick e Eduardo Sánchez) si mette alla guida di un trio di attori altrettanto sconosciuti (Heather Donahue, Michael Williams e Joshua Leonard, nei panni di se stessi), dando vita a un fenomeno di massa.

Michael williams attore strega di Blair

Il panorama orrifico diede il benvenuto a The Blair Witch Project, pellicola horror che a fronte di un budget contenutissimo arriverà a incassare più di 200 milioni di dollari. La strega di Blair, con le sue radici folkloristiche, ha lasciato una traccia indelebile nella memoria cinefila e ha costituito un prodotto d’avanguardia per quel genere found footage (accostabile al “gemello” mockumentary) così abusato in epoca odierna.

Blair witch project poster Heather

Un film che può suscitare adorazione incondizionata o il vostro assoluto disprezzo, un’opera radicale che fa del minimalismo e dell’immediatezza i suoi punti di forza. Un fattore determinante, sfruttato a dovere dalla campagna promozionale, è la parziale credibilità degli eventi: tre giovani videoamatori hanno in mente di realizzare un documentario sul mito della strega di Blair, un’entità maligna che, secondo la leggenda, infesta da secoli i dintorni di Burkittsville (una cittadina del Maryland realmente esistente e divenuta meta turistica dopo l’uscita del film), causando disgrazie e sparizioni.

Blair Witch Project sfondo del film con foresta

Intervistato qualche anziano residente, i ragazzi si addentrano nella boscaglia circostante, a caccia di segni che possano indicare la presenza della strega, e qui iniziano i guai: il gruppetto scoprirà di essersi perso nella foresta, un labirinto di vegetazione senza fine che assume i connotati di una dimensione parallela. La situazione si fa tragica quando i tre, stremati nel fisico e prossimi al disfacimento emotivo, si imbattono in manifestazioni angoscianti, che vanno da tumuli ed elementi decorativi di stampo tribale, fino a veri e propri agguati nella notte, a opera di presenze non meglio identificate. Un crescendo di tensione che culminerà in un epilogo fatale ed enigmatico, con i ragazzi trucidati off-screen dalla strega (o da chi ne porta avanti il credo).

Blair Witch Project Simbolo bastoncini di legno

La storyline lineare e dagli esiti tragicamente prevedibili viene esposta come una finzione nella finzione: tutto ciò che vediamo è stato girato con camera a mano dai tre giovani, come un diario personale, il making of del loro agognato reportage; il materiale video ritrovato nel bosco diventa la prova di ciò che gli è accaduto, la loro ultima apparizione in carne e ossa. Sebbene il point of view artigianale agevoli l’introiezione dello spettatore, a consacrare questa pellicola è la sua mitologia: gli autori hanno avuto l’intuizione di servirsi di una leggenda locale e di portarla alla ribalta, spacciando per vera la tragedia narrata nel film grazie alla crescente diffusione di Internet.

Strega di Blair protagonisti Mike e Josh

Una campagna mediatica innovativa, costruita su un paio di mosse astute, come chiedere ai protagonisti di sparire dalla circolazione per mesi, diffondere appelli con la scritta Missing e coinvolgere il popolo della Rete. Il prodotto audiovisivo è stato presentato come il rimasuglio delle riprese precedenti alla scomparsa, giunto nelle mani dei registi dopo il ritrovamento fortuito da parte della polizia. A corredare il diabolico pacchetto, testimonianze di vecchi amici e foto dell’infanzia dei tre attori.

Blair witch project attori dispersi

Negli Stati Uniti l’aura “maledetta” di The Blair Witch Project ha sfondato la quarta parete come mai prima di allora. Mettete da parte la logica per un attimo e immaginate di recarvi al cinema, consci di assistere a un omicidio in diretta: ciò che vedete, per quanto improbabile, è realmente accaduto, quindi vivendo gli ultimi istanti di vita delle vittime e condividendo la loro disperazione. Vi sentite un po’ meno al sicuro perché sapete che qualunque cosa li abbia uccisi ha una origine poco chiara ed è ancora là fuori. Una strategia che negli anni ha fatto scuola (basti pensare a Cloverfield). Purtroppo la pellicola non ebbe il medesimo effetto nelle sale nostrane, poiché il passaparola aveva già svelato l’inganno. La disillusione non intaccò il plauso dei mitomani e degli appassionati dell’horror.

Heather Donahue protagonista Blair Witch Project

Inevitabili gli accostamenti con l’opera di Deodato, uscita un paio di decenni prima, eppure in questo caso si privilegia la suggestione e si riduce al minimo il gore: in Cannibal Holocaust il ritrovamento delle riprese era parte dell’universo diegetico (un passaggio narrativo a tutti gli effetti), qui invece diventa un fatto di cronaca, architettato e dato in pasto ai media. Il secondo carattere distintivo riguarda la figura della strega. Ne avvertiamo la presenza ma non compare mai, poiché l’intera vicenda è giocata sul “vedo non vedo“.

Disegno di Elly Kedward strega di Blair

Rappresentazione artistica di Elly Kedward, la presunta strega.

Niente mostri assatanati o budella sanguinanti, il lavoro sporco è delegato alle fughe concitate nel bosco con riprese traballanti. L’identità dell’antagonista è lasciata all’immaginazione e lo spettatore può darsi una risposta da solo: un’entità sovrannaturale, una setta o un pazzo assassino? Dipingendo il volto del killer, gli attribuiamo delle caratteristiche che ci spaventano, al pari dei protagonisti. Il terrore è nella nostra fantasia, siamo noi a dare una forma alla strega, ed è diversa per ognuno.

Parete casa Rustin Parr strega di Blair

È quindi possibile valutare questo lavoro senza tenere conto del suo background promozionale? Difficile tralasciarne la storicità, le leggende che lo circondano e il suo status di cult, che ancora oggi fornisce spunti per sequel, videogame e opere derivate. Eppure, esorcizzando i pregiudizi verso questo format (non a tutti piacciono le scorciatoie estetico-narrative del found footage), ci si accorge di avere per le mani un film duro e inquietante, che ci fa perdere ogni bussola spaziale e temporale con il progressivo allontanamento dalla civiltà. Una paura informe, che passa dalla porta sul retro per attaccare la psiche prima ancora della carne.

Blair Witch casa di Rustin Parr

L’abitazione dell’eremita Rustin Parr.

Nel non-luogo costituito dalla foresta, non vi sono apparecchi tecnologici in grado di aiutare e i sentieri paiono tutti uguali. L’ironia dei ragazzi, evocata dagli stessi come mezzo di autodifesa, svanisce definitivamente nei momenti di alta tensione come l’agguato alla tenda e la sequenza dell’abitazione abbandonata. Durante l’epilogo i volti terrorizzati e sofferenti non vengono mai inquadrati, togliendoci un’altra fetta di controllo ambientale.

Blair Witch Project Mike al muro

Immaginare una scena violenta può essere peggio che vederla; sentire una matta che urla – non i soliti strilli da slasher, ma grida selvagge e laceranti – senza conoscere la fonte del pericolo innesca un campanello d’allarme nel nostro subconscio. Per questo anche il più aspro detrattore è costretto a riconoscere il carisma e il peso produttivo di un’opera divisiva per natura. Se poi decidete di stare al gioco, verrete letteralmente stregati. E non vi salterà mai in mente di avventurarvi in un bosco senza un cellulare e un’arma automatica.

Non perdetevi la nostra analisi del sequel Blair Witch!

The Blair Witch Project – Il Mistero Della Strega Di Blair

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