SCARY STORIES TO TELL IN THE DARK – Perché è il film da vedere ad Halloween

Circa un mese fa abbiamo visto in anteprima stampa il nuovo film prodotto da Guillermo del Toro. Uscito in agosto in USA, seguito da un ottimo successo al botteghino, uscirà in Italia poco prima di Halloween, con tappa alla Festa del Cinema di Roma.

di Carlo Neviani

Scary Stories to Tell in the Dark, già sulla carta, è un horror intrigante. Prima di tutto è un adattamento di una serie di libri cult (almeno negli Stati Uniti) per ragazzi (più precisamente young adult) scritta da Alvin Schwartz in tre volumi tra il 1981 e il 1991. Secondariamente, il soggetto del film è co-scritto nientepopodimeno che del “cineasta mostruoso” per eccellenza, premio Oscar per The Shape of Water: Guillermo del Toro, qui anche in veste di produttore. Dietro la macchina da presa c’è il norvegese André Øvredal, regista degli apprezzati Troll Hunter e Autopsy.

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Tutte queste informazioni portano ad una domanda sulla natura produttiva dell’operazione: perché il 2019 era l’anno giusto per realizzare questo film? Del Toro, in un’intervista, risponde riflettendo sul fatto che oggi esistono tre generazioni legate all’opera originaria. Suggeriamo altro: dopo i successi di Stranger Things e It un nuovo teen-horror col potenziale di diventare una saga ci stava tutto. Rispetto ai prodotti citati Scary Stories to Tell in the Dark condivide un altro forte elemento distintivo, ovvero l’ambientazione in un’epoca passata. Non più gli anni ottanta, ma il preciso e simbolico 1968. L’anno delle elezioni Nixon, delle rivolte studentesche, dei bambini scomparsi e dei giovani che partivano per la guerra in Vietnam. Come in La forma dell’acqua, Il labirinto del fauno e La spina del diavolo, Guillermo sceglie un contesto storico perfetto per la storia che vuole raccontare: l’estate del 1968 è quella della perdita dell’innocenza, quella dei drive-in che trasmettono La notte dei morti viventi di Romero, ed è cucita su misura per un racconto di formazione che utilizza l’orrore come metafora del passaggio all’età adulta. Che fortuna che l’uscita cinematografica sia “limitrofa” al C’era una volta a… Hollywood di Tarantino (QUI la recensione) che già ci aveva ben immerso nel tempo.

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In realtà, i libri di Schwartz sono un’antologia. 29 storie di paura con un inizio e una fine. La scelta di trasformarle (circa 4 o 5 storie) in un’unica macrostoria in tre atti è una scelta ideale pensando al prodotto finito. L’escamotage per unire i racconti è “copiato” da un oggetto di scena già presente ne Il labirinto del fauno: un libro che si scrive da solo, mettendo nero su bianco una storia di paura cucita su ogni determinato personaggio. Questo gioco di storie lascia al regista André Øvredal spazio per dare il meglio di sé divertendosi tra sottogeneri di pure horror tra cui, ad esempio, il body horror dedicato a quella ragazza ossessionata dalla bellezza. Il gruppo di ragazzi protagonisti è ben caratterizzato, dalla nerd appassionata di mostri al ragazzo messicano soggetto a discriminazioni razziali, ma nonostante ciò non si finisce mai davvero per essere trasportati affettivamente dai protagonisti come in Stranger Things.

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Pur con i suoi difetti e nella sua semplicità ricca di cliché, Scary Stories to Tell in the Dark funziona alla grande. Perché è un film consapevole di non essere niente più che un buon horror classico PG-13. Jump scare ben piazzati, il giusto mix di paura e divertimento, tante chicche ed easter eggs per i più attenti, micro storie per quei giovani che soffrono di deficit dell’attenzione e controllano il cellulare ogni 10 secondi. In poche parole, un horror perfetto da vedere la notte di Halloween con gli amici.

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Menzione a parte per i numerosi mostri presenti nella pellicola. Dopotutto quando c’è lo zampino di Guillermo va da sé che i mostri siano eccezionalmente curati. Partendo dalle illustrazioni originali di Stephen Gammell presenti nei libri, fatte di un bianco e nero “fumoso”, sono stati costruiti fisicamente con sculture e practical effects, uniti in un secondo momento a miglioramenti digitali (forse troppi). Per ricreare il mood bianco e nero, regista e direttore della fotografia hanno lavorato sul non-colore delle scene, giocando con contrasto e de-saturazione. A parte i mostri già presenti nell’antologia di Schwartz è presente un nuovo mostro creato dal team di del Toro: The Jangly Man, Il Burlone, un abominio in grado di ricostruire se stesso da parti del corpo precedentemente separate. E che, non a caso, odia i messicani.

3 commenti Aggiungi il tuo

  1. MicSer ha detto:

    Molto interessante…

  2. Austin Dove ha detto:

    Delusione. Una serie di jumpscare e frammenti in serie di presentazione della morte e passaggio alla successiva vittima.
    Alcune cose belle sono le inquadrature frequenti attraverso gli specchi e la angoscia durante la scene della Red room, ma per il resto è un banale film di formazione che deve troppo a opere come It e Stranger Things.
    [SPOILER]
    in pratica i suoi amici muoiono perché lei matura e diventa una ragazza sicura di sé: infatti, come avevo predetto a inizio film il film finisce con lei che scriva la storia propria sul libro.
    Un soggetto inflazionato, nulla di particolare. Lei che urla quanto la killer si sia trasformata da vittima a carnefice è in migliaia di film.
    [/SPOILER]
    che delusione.

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