I segreti di Silente mandano in confusione i genitori surrogati di Bambi.
di Alessandro Sivieri
La saga di Animali Fantastici è la classica arma a doppio taglio per un franchise milionario: lo spin-off che ha l’occasione di portare qualcosa di fresco, di espandere i confini del Wizarding World e introdurre varietà nei toni e nelle tematiche affrontate. Tutto ciò a patto di non ancorarsi al passato, alle strizzatine d’occhio rivolte a quelli che sono rimasti con Harry fin proprio alla fine. Il prodotto, sceneggiato da J. K. Rowling in persona (con l’affiancamento di Steve Kloves nel terzo capitolo) è libero da basi letterarie ma non dalla pesante eredità potteriana, dall’urgenza di imitare un certo mood e raccontare gli errori giovanili di maghi appena citati o comparsi in fase senile durante le peripezie del Prescelto. I Segreti di Silente porta a compimento l’arco narrativo di alcuni personaggi e ne tralascia completamente altri, risentendo in ultima di quel bipolarismo che affliggeva i precedenti episodi.
Nota positiva è come sempre Newt Scamander (Eddie Redmayne), protagonista che ci regala le sequenze migliori per venire poi schiacciato dai comprimari a livello di influenza (e di potenza di fuoco) nell’effettivo corso degli eventi. Il magizoologo ha un rapporto meraviglioso con le creature magiche (alle quali abbiamo dedicato un corposo Bestiario) e le sfrutta di frequente per tirarsi fuori dai guai, preferendo l’astuzia alla forza bruta. Per Newt non esistono bestie orribili o malvagie, ogni esemplare ha un suo fascino e va semplicemente compreso.
Ci viene servito un prologo eccellente, che entra nel vivo appena dopo un appuntamento tra Albus Silente (Jude Law) e Gellert Grindelwald (Mads Mikkelsen) in una sala del tè per parlare della loro relazione tossica. Citazioni al triceratopo agonizzante di Jurassic Park, colonna sonora ispirata di James Newton Howard, primi piani sullo scambio di sguardi tra uomo e mostro fanno partire il film col botto, sublimando l’intesa tra Newt e tutto ciò che è strano, diverso. La nascita del Qilin, animale basato sulla mitologia asiatica, viene trattata come un miracolo millenario in mezzo alla disperazione, uno dei momenti monster più emozionanti della serie. La creaturina, che si regge sulle zampe come un Bambi appena nato, ha un’importanza vitale per la trama ed è una commistione di varie specie, tra cui un cerbiatto, una capra tibetana, un draghetto e chissà cos’altro. Abbiamo poi gli Schiopodi (altra sequenza spassosissima), l’immancabile Snaso e ulteriori esseri che, pur dosati nel numero, sono essenziali e altamente simbolici per il destino del mondo.
La parte centrale rimarca l’evidente differenza tra Animali Fantastici e I Segreti di Silente, come se si trattasse di due entità separate sul piano concettuale e per certi versi formale. Grindelwald vuole prendere il controllo del pianeta e Silente, pieno di rimorsi e ferito da un amore giovanile per il mago oscuro, vuole impedirglielo. Essendo Gellert un veggente, Silente mette insieme una task force composta dai fratelli Scamander, il pasticcere Jacob (Dan Fogler) e altre pedine sacrificabili per compiere mosse apparentemente prive di senso. L’intento è confondere le visioni del rivale, ma a uscirne stranito è anche lo spettatore, messo di fronte a sequenze con problemi di pacing e prive di quella marcia in più che aveva I Crimini di Grindelwald nella fotografia. Ci sono personaggi che si fermano a riassumere le puntate precedenti con piglio scolastico, altri vengono cancellati (vedasi Nagini), altri ancora vedono il proprio potenziale sprecato, come nel caso di Credence (Ezra Miller), rivelatosi essere Aurelius Silente nella seconda pellicola.
Abbandonato dalla famiglia e pervaso dal rancore, il ragazzo si è fatto crescere una chioma unticcia e completa il proprio percorso in modo frettoloso, frammentato, senza che le sue decisioni personali portino a galla chissà quali segreti della famiglia Silente che dominano il sottotitolo del film. Le occasioni di farci temere per la sorte dei protagonisti vengono azzoppate dall’assenza di pathos e le piccole rivelazioni non hanno la colpa di essere poco importanti, quanto di spuntare fuori durante una conversazione davanti alla cassettiera del bisnonno o con messaggi di WhatsApp allo specchio. Jude Law insieme a Redmayne è l’interprete di punta, l’attore che tiene in piedi il materiale fornito da Rowling & Kloves, mostrandoci un Silente che fa coming out davanti agli amici, spesso letteralmente, e che ha imparato a sue dolorose spese la distinzione tra giusto e facile.
Erano parecchi i timori per il passaggio di consegne da Johnny Depp a Mads Mikkelsen: cambiare volto al villain principale nel pieno della saga non è certo la mossa migliore per mantenerne intatta l’aura reverenziale. Nulla di cui preoccuparsi, e non perché Mikkelsen sia un concentrato di talento. La serie Hannibal e il ruolo di Le Chiffre in Casino Royale dimostrano l’attitudine dell’attore a costruire antagonisti feroci e raffinati, caratteristiche che vengono infuse nel suo Grindelwald, meno appariscente nel look e più intimo nel rapportarsi con i sottoposti.
La sua versione del mago oscuro aveva le carte in regola per essere una figura ammaliante, un manipolatore che conosce le debolezze altrui e le sfrutta mantenendo un sorriso flemmatico. Ecco, aveva. Non c’è nulla di cui preoccuparsi, dicevamo, perché Mikkelsen non avrebbe modo di toppare nemmeno se volesse, disperso com’è in sequenze sparpagliate e in una sfilata di comprimari che si scambiano le valigie e mandano in vacca le cene di gala. Da una parte si lavora per salvare la capretta tibetana, mettendo in scena attimi di tenerezza cucciolosa, dall’altra si compiono mosse che sfociano in risultati controproducenti, incidenti che Grindelwald ignora bellamente o per i quali dovrebbe addirittura ringraziare.
Chi si aspetta piani ingegnosi riguardanti il patto di sangue che lega Albus e Gellert rimarrà deluso per l’escamotage che permette ai due di tornare faccia a faccia, di affrontarsi e toccarsi il cuore a vicenda. Momenti efficaci, dove si avverte che c’è ancora un’incognita nella loro relazione tossica e non si capisce chi abbia distrutto i sentimenti di chi. A essere fiacca è di nuovo la cornice nella quale si muovono i soggetti, che si tratti delle coreografie di incantesimi o dell’anonima folla in mondovisione. In tal senso, il substrato politico-sociale dei maghi evoca ondate di nazionalismo e il tema della democrazia subordinata alle superstizioni, restando però in superficie, schierando comparse urlanti come se i tifosi sparassero i petardi fuori dallo stadio. Le scene d’azione soddisfacenti sono quelle secondarie, al pari dei confronti emotivi (Jacob e Queenie, Newt e la sua assistente), errori che speriamo non si ripetano in un’epopea che si atteggia da thriller politico e risolve goffamente i rapporti amorosi meno ambigui, resettando i restanti alle impostazioni di fabbrica.
Se a Grindelwald piace torturare un Babbano per ammonirne cento, noi siamo incerti se basti una manciata di scene mostruose pregiate a rivalutare 142 minuti del solito David Yates. Il regista, guidato dall’autrice, si premura di collezionare omaggi a Harry Potter, tira fuori dal cilindro oggetti e nomi familiari, il tutto senza donarci una chiave di lettura capace di sorprendere il fan accanito o il profano al suo primo ingresso nel binario 9 e 3/4. I Segreti di Silente ha la sindrome da episodio di mezzo che non è certo della consistenza del proprio lascito, limitandosi a rimaneggiare, amministrare il catalogo di storyline, concludendo alla buona ciò che considera esaurito. Non è come stare sotto la Maledizione Cruciatus, certo, però c’è la sensazione che lo Snaso abbia rubato, insieme ai vostri gettoni del carrello, tutti i cliffhanger dovuti.
Dal nostro Specchio delle brame arriva la videorecensione del collega Matteo Berta: