La ripartenza found footage di M. Night Shyamalan.
di Alessandro Sivieri
Se cucino un piatto decente dopo due o tre portate pasticciate e insipide, verrà apprezzato il doppio? La metafora culinaria è ideale per sintetizzare il percorso autoriale di chef Shyamalan, che dopo una sequela di flop ha cambiato ricetta e ha persino riscoperto l’uso del sale. Erano anni che i lavori del regista di origini indiane mostravano un calo creativo: alla lievitazione del budget corrisponde un difetto di focus, basti pensare a L’ultimo dominatore dell’aria e After Earth, per non parlare del surreale E venne il giorno: alberi e cespugli incazzati, gli occhi sgranati di Zooey Deschanel e un Mark Wahlberg ai minimi storici.
E venne il manichino.
Nei primi anni del 2000 Shyamalan era una giovane promessa del thriller con pennellate orrorifiche: Il sesto senso, Unbreakable, Signs, opere memorabili dove le pecche di logica venivano arginate da una regia di tutto rispetto e da una scrittura che ci portava con angoscia fino al twist ending, il finalone a sorpresa che dall’autore era lecito aspettarsi. Non fa eccezione The Village, un dramma a orologeria promosso a torto come horror e trascurato dal pubblico. Sul piano produttivo, la disponibilità di finanze non ha giovato al regista, scalzato dal suo parco giochi preferito da gente come James Wan (i due hanno qualcosa in comune a livello stilistico).
Qualcuno ha detto Hansel e Gretel?
The Visit, insieme al successivo Split, ci dimostra che tornare sui propri passi non è una cattiva idea. Shyamalan rispolvera il mistero, sondando le psicologie e le fragilità dei personaggi. Fa ricorso a un espediente fin troppo abusato, quello del found footage: l’intera vicenda viene documentata dai due giovani, fratello e sorella, tramite l’uso di telecamere a mano. The Blair Witch Project, Rec, Paranormal Activity, L’ultimo esorcismo, ESP, la lista può occupare una bella facciata. Sappiamo che a fronte delle spese contenute, il trucchetto continua a funzionare: le riprese in soggettiva ci fanno immedesimare nel flusso degli eventi. In questo caso le inquadrature non ballano in eccesso e si presta una certa attenzione alla composizione dell’immagine, facendoci godere di qualche scorcio. Il resto funziona? Se vi piacciono i pensionati pazzi furiosi, sì.
Una madre divorziata, per godersi una crociera con il nuovo partner, decide di inviare i due figli adolescenti in vacanza dai suoi anziani genitori, che le hanno scritto dopo tanto tempo, mostrandosi desiderosi di conoscere i nipoti. La donna non aveva più contatti con loro da quindici anni, per via di una fuga giovanile piuttosto burrascosa. La figlia maggiore, Rebecca (Olivia DeJonge, davvero adorabile), è un’aspirante regista ed è intenzionata a produrre un documentario sulla sua prima visita in assoluto dai nonni, coinvolgendo nel progetto il fratellino tamarro Tyler (Ed Oxenbould, una calamita vivente per gli schiaffi). I due ragazzi, eccitati per l’avventura, prendono il treno e si presentano all’anziana coppia: i nonni si mostrano fin da subito riservati, ma felici di vederli.
Chi è fuori di testa alzi la mano.
Il primo periodo viene vissuto in relativa tranquillità nell’abitazione rurale, con la nonna sfornatrice di manicaretti e il nonno che tiene in ordine la fattoria. Rebecca si accorge che i due non parlano volentieri del passato e della loro figlia perduta. La situazione si fa tesa quando i ragazzi indagano su alcuni rumori notturni, scoprendo che la nonna ha episodi di sonnambulismo violenti, quasi animaleschi, mentre il nonno soffre di un’acuta forma di demenza con esplosioni di rabbia. Per non turbare la madre, i figli si fanno coraggio e attribuiscono tutte le stranezze all’età avanzata della coppia. Gli episodi insoliti si fanno più frequenti e si scopre che i vecchietti celano un terribile segreto.
Shyamalan rielabora una formula rodata e si porta dietro alcuni difetti del caso: i due adolescenti, di fronte al pericolo, sono fin troppo curiosi e sacrificano ogni occasione di fuga per concedere al voyeuristico occhio della camera l’ennesimo episodio sconvolgente; la creazione del video e la raccolta di prove rivendicano un grottesco primato sull’incolumità personale. Scappiamo in paese? No, dobbiamo entrare nella stanza proibita. C’è la nonna nuda che graffia i muri e gira con i coltelli, quindi fanculo la prudenza! Per la serie “Se la casa è stregata, perché vai in cantina?”. I due anziani sono l’emblema della coppia squilibrata che abita lontano dalla civiltà. Il nonno bipolare e incontinente ha un ruolo marginale, la nonna psicopatica (Deanna Dunagan) ha un repertorio espressivo e gestuale di tutto rispetto. L’atmosfera paranoica fa il suo sporco lavoro, se gettate le logiche base del comportamento umano dalla finestra.
Se dovessi cercare il pelo nell’uovo, troveremmo una matassa già nell’incipit: non vedo i miei genitori da decenni perché sono scappata di casa, però decido di affidargli i figli senza nemmeno averli rivisti faccia a faccia per scambiare due parole. Nella poco allegra fattoria il telefono non prende, ma Internet va che è una meraviglia! Nemmeno la svolta finale, marchio di fabbrica del regista, è esente dalla penuria di plausibilità. Dopo sessioni di stalking domestico e qualche pensiero melenso sul perdono, non sarete in preda al terrore ma ripenserete a tutti gli indizi sparsi per il film. Shyamalan fa sue le lezioni di Hitchcock e gioca con le suggestioni per disorientare lo spettatore. Un chiaro esempio di come l’elemento paranormale a volte non serva. Una capatina in più dei servizi sociali, invece, sì.
Qui la nostra analisi di Glass, che incrocia gli archi narrativi di Unbreakable e Split.
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