La Redazione di Monster Movie al completo su ciò che ancora non ci eravamo detti.
L’alba del pianeta dei dinosauri
di Alessandro Sivieri
Come abbiamo visto con The Last Jedi, c’è un solo metodo per salvare un franchise storico dall’estinzione: mettere un autore al timone e tagliare i ponti con le logiche del passato. J. A. Bayona tira fuori un lavoro emozionante, con una dose di fan service non invadente e con un epilogo di portata globale, che apre a scenari inediti e a riflessioni etiche. In verità la struttura de Il regno distrutto è incostante: l’incipit ansiogeno, diviso tra terra e mare, ricorda molto James Cameron (non solo per i brividi sottomarini), mentre la prima parte su Isla Nublar evidenzia tutte le debolezze della scrittura di Colin Trevorrow.
Nonostante alcune scene valide, come il piano sequenza nella sfera e l’eruzione, assistiamo a una spedizione salvifica da manuale con mezzi blindati e qualche battuta di troppo. Anche la svolta cinica della cattura dei dinosauri, voluta dall’avido Eli Mills (Rafe Spall), risulta prevedibile, ma per fortuna con l’abbandono dell’isola avviene il tanto atteso cambiamento. L’infiltrazione nella nave da parte di Chris Pratt e Bryce Dallas Howard richiama le atmosfere di Indiana Jones, con tanto di mercenari un po’ ottusi capitanati dal cacciatore clownesco Wheatley (Ted Levine). Questi ultimi richiamano i cattivi da avventura spielberghiana, affrontati da un Pratt sempre più adatto a ereditare il cappello e la frusta. Ci auguriamo che, in caso di un passaggio di testimone, sia proprio lui a trasformarsi nell’archeologo spaccaculi.
A livello psicologico i protagonisti fanno i conti con le loro responsabilità, incluso il passato nel parco, ma le loro interazioni ricalcano la solita tensione amorosa. A Bayona interessa il rapporto uomo-mostro ed è infatti la relazione tra Owen e il velociraptor Blue a monopolizzare i sentimenti, facendo affezionare il pubblico a un dinosauro come mai prima d’ora. La seconda parte è ricca di momenti dark, dove il regista ha mano libera: il lungo duello con l’Indoraptor, in uno scenario gotico, attinge al patrimonio estetico di autori come Guillermo Del Toro e Tim Burton, ai quali Bayona deve molto stilisticamente. Accanto all’azione non manca il pensiero critico, come la responsabilità del genere umano nei confronti delle specie de-estinte, che porterà a una difficile convivenza. È naturale risparmiare un esperimento contro la natura stessa? Si può classificare un clone come individuo? Le incursioni nella bioetica non toccano solo i lucertoloni, ma anche la giovane Maisie (Isabella Sermon), nipote dell’anziano socio di John Hammond.
Quest’ultima risulta essere un doppio genetico della madre, morta in un incidente. La sua condizione di potenziale ibrido offre eccitanti evoluzioni per la saga. Insomma, dopo un primo atto quasi forzato, Bayona esce dai binari e mostra i dinosauri sotto una nuova luce, pescando dettagli da svariate opere: lo scontro nel museo ricorda molto Relic, monster movie degli anni ’90; l’approccio ambiguo dell’Indoraptor alla piccola Maisie evoca Alien 3 e Alien Resurrection; la fuga dei dinosauri dal laboratorio li rende liberi da schemi obsoleti. Dopo una rinascita di questa portata, è nostro desiderio che Bayona prenda in mano anche il terzo atto, e senza la sceneggiatura di Trevorrow (e le censure) a reprimerne la carica eversiva. In fondo la vita vince sempre.
Le Regole della Casa del Dino
di Cristiano Bolla
Oh boy, da dove cominciare. Innanzitutto dal dire che a distanza di giorni dalla visione ci sono delle scene che mi sono rimaste dentro, momenti del film che rivivo e questo è sicuramente un punto a favore del film: qualcosa, nel suo esperimento di allontanamento dal canovaccio giurassicoparchiano, l’ha lasciato. Peccato che non siano solo sensazioni positive. Perché se è vero che tutta la sequenza dello scontro nella villa tra Blue e l’Indoraptor ha toccato punte altissime di intrattenimento per regia, colonna sonora ma anche narrazione (la scena in camera da letto è davvero mostruosa), dall’altro Owen che sfugge alla lava come Di Caprio in The Wolf of Wolf Street fa ripiombare il giudizio sotto la soglia della sufficienza minima. Minima eh. Bayona c’è e si vede, ha portato di dinosauri dove non erano mai stati, nella camera da letto di una bambina, ma proprio per questo risulta inspiegabile un primo atto (prologo escluso) semplicemente terribile dal punto da tutti i punti di vista.
Mi ero arreso ad un filmetto come tanti, come è stato il primo Jurassic World, poi ci ho trovato nuove sensazioni, molto dark e dai risvolti imprevedibili per la saga. Al netto di tutto, prendo ad esempio il bambino di cinque anni che era seduto di fianco a me in sala, che alla domanda di Claire “che cosa è stato?” ha risposto “un dinosauro”. E c’aveva ragione, era proprio un dinosauro. E va bene così.
Benvenuti al Jurassic World
di Giovanni Siclari
Devo essere franco e ammettere che, nonostante le molte riserve note che avevo espresso nei confronti del secondo capitolo della saga, il film tutto sommato mi è piaciuto. Bisogna partire dal presupposto che il Jurassic Park come lo intendiamo noi è un capitolo chiuso, acqua passata ed è giusto che sia così visto che siamo dinnanzi a un cambiamento. Citando Malcolm: “[…] gli esseri umani e i dinosauri saranno costretti a convivere d’ora in poi. Queste creature erano qui prima di noi e se non stiamo attenti rimarranno anche dopo. […] Siamo in una nuova era: benvenuti a Jurassic World”. Cambia dunque la filosofia della seconda saga, il cui vero senso è l’outbreak: dal tentativo di contenere i dinosauri in esperienze ristrette a quella di un’isola o di un parco a tema cittadino (vedi Il mondo perduto), siamo passati alla più incontrollata fuoriuscita dal sistema… la vita alla fine trova sempre un modo per trionfare.
Il film regala agli appassionati piccole pillole di richiami ai film passati come il quadro e il bastone di Hammond, la scena della ragazzina che tenta di fuggire dall’Indoraptor attraverso il mini elevatore che non si abbassa e che ricorda molto la scena in cui i nipoti di Hammond tentano la disperata fuga dai raptor nelle cucine. La scena che più mi ha commosso è stata la fine dell’isola, dove vediamo come ultimo dinosauro, il Brachiosaro, che si innalza maestoso oltre la coltre di nube tossica nel tentativo di prendere un’ultima boccata di aria… stessa movenza e stesso dinosauro che vediamo per primo nel film originale, dove il gigante buono si innalza per raggiungere il proprio pasto verde, dinanzi alla meraviglia dei visitatori… eh sì, “ l’avete fatto, brutti figli di… “.
Molte altre sono le cose positive così come anche le negative: io storcerò sempre il naso nei confronti degli ibridi, che francamente non mi piacciono per niente, e il fatto che abbiano portato il dottor Wu nella posizione di antagonista. Sono comunque impressioni personali e opinabili. Detto questo concludo con un appello, visto che oramai è nota la mia propensione per gli erbivori: dove diamine è finito l’anchilosauro venduto all’asta? Possiamo andare a salvarlo e prendere a mazzate gli acquirenti?
Un Regno Caduto, il sequel di cui avevamo bisogno
di Matteo Berta
Avendovi già presentato la mia recensione senza spoiler (Jurassic World: Il Regno Distrutto), quindi conoscendo già il mio pensiero sul film, mi sembra logico parlarvi della mia seconda visione. La pellicola parte a stecca. Penso che il prologo di questo sequel sia la scena meglio diretta dell’intera saga di JP e JW. Sì, meglio del Breakout T-Rex e della cucina, perché questa sequenza è in grado di stringerti lo stomaco, zittire subito i disturbatori in sala, estasiarti, emozionarti, gasarti e alzarti le aspettative a livelli irraggiungibili. Bayona si presenta così come il meglio di James Cameron e Steven Spielberg e rivela subito le sue carte.
Purtroppo il regista ispanico è stato un po’ frenato nella visione generale, sia per la questione delle digressioni umoristiche che spezzano il ritmo, sia per necessità da blockbuster, fino ad arrivare alla scandalosa censura per il nostro paese (SCANDALO JURASSIC WORLD CENSURATO). Siamo di fronte a una nuova era giurassica. Il brand non è più lo stesso, si è evoluto o meglio si è de-estinto, è maturato e ha intrapreso una strada che non consente inversioni di marcia. Abbiamo undici specie in libertà e altri embrioni in mani cattivone.
Il film è stupendo, è gestito bene, c’è regia, c’è un diavolo di punto di vista, c’è emotività sana, c’è terrore viscerale, c’è divertimento, c’è citazionismo non forzato, e ci sono i dinosauri, mostrati nell’originale metodo che mixa la computer grafica con gli animatronics. Nella mia recensione ho dichiarato che la musica è giusta ma Giacchino non è all’altezza; forse ho cambiato idea, forse funziona. Dopo un ascolto autonomo ho capito le sue intenzioni. Continuo a pensare che ci sarebbero stati meglio un J.N. Howard o ovviamente uno Williams, ma quando non fa malaccio Michael è giusto sottolinearlo.
Detto questo, filmone.
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