Mostri a Venezia: Suspiria

Recensione di Suspiria di Luca Guadagnino

di Carlo Neviani

Lido di Venezia. La mattina di sabato 1 settembre è nuvolosa, con piogge sparse. Una cornice perfetta per presentare il nuovo, attesissimo Suspiria di Luca Guadagnino, in anteprima mondiale alla 75. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica. Quando le luci della Sala Grande si accendono, dopo la proiezione stampa delle 11, iniziano dei timidi applausi e un forte fischio, dalle prime file tuona un “VERGOGNA!”, finché i battiti di mani hanno la meglio.

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L’ultimo film del regista italiano del momento divide molto, un po’ come era stato per il Madre! di Aronofski. Bocciato da molti, adorato da altri. In ogni caso Guadagnino riesce nell’impossibile e ci regala un grande film. Come? Semplicemente non facendo un remake. Crea infatti una pellicola inedita, tutta sua, solo ispirata alla sceneggiatura del 1977 firmata Argento e Nicolodi. La sua versione di Suspiria è un’esperienza cinematografica che regala tante sensazioni, ma non può e non vuole lasciare spazio ad un confronto qualitativo con il capolavoro originale. È un mondo, una visione diversa. Pensare se sia meglio un film dell’altro è semplicemente sbagliato.

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Sicuramente Guadagnino va “oltre” il film di Dario Argento: se immaginiamo che Suspiria del ’77 sia un buon piatto di spaghetti alla carbonara consumato in poco più di un’ora, questa nuova versione 2018 appare come il menu di uno chef sofisticato (Guadagnino), con diverse portate (6 capitoli e un epilogo) dilazionate in 152 minuti, tutte ispirate alla carbonara che adora.1489585938427_0620x0435_1530233640147.jpg

Il primo ingrediente esaltato dallo “Chef Luca” è il tempo e lo spazio della storia: Germania 1977. Il contesto socio-politico di Berlino, le questioni sulla RAF e la Banda Bader-Meinhoff, il senso di colpa per il Nazismo. Tutti elementi che si intrecciano ai temi del film, e intervengono come presenza costante. Una scelta che probabilmente piacerà al presidente di giuria Guillermo del Toro, che sia ne Il labirinto del fauno che ne La forma dell’acqua ha portato i mostri nella Storia del 900.

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Poi ci sono le streghe, donne sofisticate, nella cornice di una scuola di ballo. Il mondo della danza, le ambientazioni, i costumi, gli oggetti di scena, sono curati alla perfezione. Ogni inquadratura lascia respirare arte e riconferma come Guadagnino sappia utilizzare in modo dannatamente intelligente le ambientazioni a supporto delle storie (vedi Chiamami col tuo nome). Sofisticati e ricchi di riferimenti artistici sono anche i dialoghi, a tratti noiosi ma comunque efficaci, e la regia. Quest’ultima sperimenta, insieme alla fotografia e al montaggio, una messa in scena costantemente creepy, strana e inquietante anche quando non sembrerebbe necessario. Ne è un perfetto esempio la sequenza iniziale con Patricia (Chlöe Grace Moretz) e il Dr. Jozef (secondo ruolo segretamente interpretato da Tilda Swinton truccata da vecchietto), in cui un semplice dialogo è montato in modo stranissimo, quasi fastidioso.

 

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Il cuore del menu di Chef Luca è comunque la storia, da decifrare, proprio come uno spettacolo di ballo. C’è il Dr. Jozef che indaga sulla scomparsa di Patricia, c’è lo scontro quasi politico tra le fazioni di streghe nella scuola di ballo, c’è la ballerina Susie (Dakota Johnson) che interpreta una ragazza ingenua come Anastasia Steele (scherzo) che scopre oscuri segreti. Tanti livelli che ne nascondo altrettanti, per parlare di femminilità, di maternità, di colpe, di vergogna. Guadagnino porta lo spettatore dove vuole, con tempi cinematografici strani (si resta disorientati dalla lentezza e dalla velocità), pochissimo horror condensato in due grandi scene, incubi indecifrabili ma essenziali all’arco narrativo della protagonista, che da figlia diventerà madre, sviluppando un complesso di Elettra nella esplosiva scena pre-finale a tratti monster (anche il mostro è probabilmente Tilda Swinton truccata da Jabba the Hutt).

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Al ricco menu di Suspiria si aggiunge la colonna sonora firmata Thom Yorke. Il frontman dei Radiohead gioca con un tema, una ripetizione, come nella celebre originale dei Goblin, ma con una musica meno ipnotica, meno martellante e quindi dimenticabile, ma comunque molto evocativa e più adatta ad un film come quello di Guadagnino.

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A fine menù (film) ci si alza dalla tavola (si esce dalla sala) un po’ scossi, disorientati. Un’unica visione non è abbastanza per comprendere tutto. Ma l’esperienza (Suspiria è soprattutto questo) merita ed è indimenticabile. Però domani mi faccio una carbonara.

 

 

 

 

 

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