Si sotterra la saga cinematografica più popolare di tutti tempi, L’Ascesa di Skywalker termina le guerre stellari. Per ora.
di Matteo Berta
“Tutto ciò che ha un inizio, ha anche una fine” affermava l’Oracolo in Matrix Revolutions. Non è propriamente il caso della saga di Star Wars, dal momento che è morta e resuscitata più di una volta. Giunti alla terza trilogia, il trittico più discusso dell’ennalogia (e anche il primo a svilupparsi dell’epoca polarizzata dei social network), sembra che la conclusione sia definitiva. Star Wars ha cercato di morire da eroe, ma sembra che alla fine sia vissuto tanto a lungo da divenire il cattivo. J.J. Abrams fu raccomandato da Spielberg in persona per far ripartire una saga che non sembrava aver più nulla da raccontare (giustamente) e nel tentativo di accontentare un po’ tutti, mise in piedi una produzione che cercasse di dare un colpo al cerchio, uno alla botte e uno in testa ai fan più hardcore del franchise (The Force Awakens). Dopo uno stordimento iniziale e già una testa volata (Michael Arndt alla sceneggiatura prima di essere sostituito da J.J.), si ripartì con il desiderio apparente di dare una bella sterzata alla storia. Magari ci credevano veramente all’inizio, ma la vagonata di feci di cui è stato ricoperto Rian Johnson con il suo The Last Jedi ha portato ad imbastire l’ultimo capitolo della trilogia sul senso di colpa e il disperato tentativo di scusarsi in extremis. Ah, già che c’erano, hanno fatto volare la testa di Colin Trevorrow (lavorava sul progetto da due anni).
The Rise of Skywalker si presenta come una coperta calda e avvolgente, e attraverso il tepore che emana, spera che lo spettatore dimentichi molte cose, non faccia caso ad altre e si lasci cullare fino alla fine della fiaba. Il bello della pellicola è che non si perde in cavolate, procede dritta al punto con il rischio di farti perdere qualcosa per strada, ma ci vengono date tra le mani tutte le chiavi di lettura inequivocabili e dobbiamo essere bravi, sia come spettatori che come appassionati, ad arrivare al termine di questa coinvolgente caccia al tesoro. Il prologo è uno dei migliori della saga, come regia, ritmo e scelte narrative, esso è in grado di acchiapparti e farti star dentro la storia fino a una leggera pausa nel secondo atto, dove si cerca di far sedimentare le informazioni che ci sono state buttate in faccia. L’ultima parte del film è una celebrazione della Forza, è il canto del cigno della saga in grado di smuovere l’animo anche dei più scettici. Le emozioni che si provano nell’atto conclusivo della pellicola, arrivano dritte allo stomaco e al cuore del fan, che siano di vecchia o nuova data.
Il problema principale de L’Ascesa di Skywalker è , oltre all’operazione “Uccidi Rian Johnson”, l’insieme degli elementi inseriti a forza per richiamare emozioni semplici ed esterne al coinvolgimento intrinseco di questa storia. Se Episodio Sette era praticamente costruito sulle logiche fan service, mentre l’ottavo episodio cercava di creare qualcosa di nuovo, questo capitolo conclusivo aveva tutte le possibilità di reggersi in piedi con le proprie gambe e lo ha dimostrato, ma si è comunque deciso di condire la minestra con elementi ininfluenti allo svolgimento della trama, che potevano benissimo essere risparmiati per la seconda stagione di The Mandalorian, prodotto che giustamente è dedicato per intero ai più “forti” della fanbase. Il peccato più grande del film è proprio il re-inserimento forzato del personaggio di Leia, imbarazzante il suo utilizzo e molto probabilmente anche moralmente e ontologicamente sbagliato.
Star Wars e i Predatori del Puntatore Perduto
Tra gli aspetti più positivi c’è sicuramente l’inserimento dell’aspetto archeologico-avventuroso nel tessuto della storia, molto probabilmente voluto dal fanboy più scalmanato di Spielberg, ovvero Colin Trevorrow, che comunque è riuscito a farsi menzionare negli end credits. L’avventura classica dal sapore degli anni ottanta è stata condita con un lato umoristico relegato a determinati ruoli e ben contestualizzato nei dialoghi e all’inserimento, non fastidioso, di nuovi personaggi che fanno la loro parte nella battaglia contro il male, senza destabilizzare la struttura di relazioni ben consolidata dei protagonisti principali. L’elemento più bello di questo film, come già successo per altri capitoli di Star Wars, è la colonna sonora di John Williams, che trovatosi a dover concludere ancora la saga (“L’ultima volta neh, che ho una certa età!”), cerca le soluzioni migliori per reinserire i suoi nuclei tematici passati in una struttura che è ancora in grado di stupire e giostrarsi al meglio nel nuovo materiale originale. Il timore iniziale era riferito al fatto che potessero pasticciare con il suo lavoro, tagliuzzando e incollando il suo celebre materiale a seconda delle situazioni, un po’ la sensazione percepita durante l’ascolto della score di The Force Awakens, ma questo non è avvenuto, infatti ha saputo anche mettersi in disparte nel momento del bisogno, come è avvenuto quando si vide per la prima volta sul grande schermo un duello con le spade laser, quasi interamente privo di un commento musicale.
The Rise of Skywalker è un film che sa emozionare, ma che rischia di far riemergere molti più problemi in una seconda visione, quando la pancia si calma e il cervello si ricollega. Nota di merito è il cattivo, sempre più cattivone e bellissimo dal punto di vista della costituzione audiovisiva e significativa.
Ne ha fatta di strada la space opera per dodicenni. Star Wars è finito, dobbiamo farcene una ragione.
PS: i mostri sono pochi ma molto fighi, alcuni ti sanno commuovere, altri ti inorridiscono e altri ancora ti fanno sbellicare. In arrivo una nuova parte de I Bestiari di Star Wars!
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