La sorpresa poco sorprendente nell’epilogo del film con Kristen Stewart.
di Alessandro Sivieri
Tempo di immergersi nuovamente negli abissi, dove l’unica fonte di luce sono le torce e i fondali pullulano di creature dai denti aguzzi. Nella nostra recensione vi abbiamo già parlato di come Underwater, la scarsamente pubblicizzata pellicola di William Eubank, affoghi i guizzi di qualità sotto una tonnellata di verve citazionistica. E dire che Kristen Stewart come protagonista funziona. L’attrice, che appare androgina, longilinea e sovente seminuda, si mette in gioco fisicamente per regalarci un mix di forza e fragilità, anche se siamo lontani dalle eroine alla Sigourney Weaver.
Proprio su Alien e sulle avventure del tenente Ripley si riversa l’evidente affezione del regista, impegnato in un’operazione nostalgica che arriva a spogliare questo film di ogni autonomia stilistico-narrativa. L’incipit richiama platealmente l’opera di Ridley Scott: si parte con un totale della stazione sottomarina, dati tecnici su schermo e una silenziosa panoramica nei corridoi deserti. Con l’avanzare del minutaggio le analogie diventano ridondanti e si passa dalla contentezza per un tributo ben confezionato all’odore di scopiazzatura. Insomma, ti piace vincere facile?
“Sono tornato, bastardi!!”
Non possiamo non citare i thriller fantascientifici ambientati nei fondali oceanici, da The Abyss di James Cameron ai vari Creatura degli abissi e Leviathan. Alla paura dell’ignoto si aggiungono le insidie del mare e in particolare della pressione subacquea. Una dimensione che a livello cinematografico si accosta allo Spazio, e non è un caso. Le tappe narrative della protagonista evocano un’altra pellicola ben radicata nella memoria collettiva: Gravity con Sandra Bullock. Se non fosse per la massiccia quantità d’acqua parrebbe davvero di trovarsi in una stazione spaziale sull’orlo del collasso, dove la ricerca di ossigeno e di energia diventa la missione primaria.
Gollum subacquei da compagnia.
La Stewart si sposta da una struttura all’altra indossando un’ingombrante tuta (ben fatta, artigianale, ma che sembra rubata dalla Nostromo), tira il fiato, si avventura nuovamente all’esterno, perde dei compagni, raggiunge un altro rifugio, vive un momento decisivo con il suo mentore, si rifugia ancora, ha un crollo emotivo, si inventa un piano e così via. A livello visivo ci si attesta su una scenografia opprimente e buoni segmenti claustrofobici, ma il tutto è superfluo quando puoi prevedere a occhi chiusi dove andrà a parare lo script. Lo chiamavano Gravitalien.
“Tutto è una copia… di una copia… di una copia…”
Esaminate le lacune della produzione, prendiamo d’assalto il piatto forte: l’esperienza al cinema e i sentimenti contrastanti per uno spoiler che non si è dimostrato tale. Io e il collega Matteo Berta avevamo letto per sbaglio una grossa rivelazione sull’epilogo del film. Alla rabbia per l’informazione prematura si è presto sostituita una spasmodica attesa, perché quel dettaglio era una bomba. Siamo entrati in sala pronti a subire ogni bottigliata sulle gonadi pur di arrivare a una sequenza entusiasmante… che consisteva in tutt’altro. La sorpresa è stata la falsità dello spoiler. Ma per spiegarvi meglio, siamo obbligati ad avvisarvi:
ATTENZIONE: DA QUI IN POI SPOILER SUL FILM!
Pure il tavolo puzza di Xenomorfo.
Eccovi serviti: stando alle anticipazioni del Web, nella parte finale doveva apparire il grande Cthulhu in persona, il gigantesco dio tentacoluto nato dalla mente di H. P. Lovecraft. L’antico essere, in letargo nella città sommersa di R’lyeh, non è mai apparso a Hollywood in tutta la sua mostruosa magnificenza, tuonando “Sì, sono io, sono Cthulhu, quello vero!”.
Ansiosi di vedere l’abominevole titano emergere dalle profondità per papparsi la Stewart, abbiamo ingannato il tempo cercando di pronunciare in modo corretto Ph’nglui mglw’nafh Cthulhu R’lyeh wgah’nagl fhtagn. Perfino William Eubank, in risposta a un quesito dello youtuber Mr H, aveva dichiarato che il mostro “è esattamente quello che sembra”, parlando di come gli orrori cosmici del secolo scorso siano stati determinanti per il suo lavoro. Passata un’ora di Alienity, carichi come un ordigno nucleare intinto nel guacamole, ci siamo ritrovati ad ammirare un coso.
“Piacere, ragionier Ciutulu. In cosa posso aiutarla?”
Non esiste una visione univoca del mostrone, ma Lovecraft ha fornito particolari preziosi in merito: un enorme ibrido tra un cefalopode (nella fattispecie un polpo) e un umanoide. La pelle è squamosa e semi-trasparente. La testa è formata da una sacca molliccia e da un nugolo di appendici simili a tentacoli. Dalla schiena spuntano lunghe ali come quelle dei pipistrelli.

La creatura concepita da Eubank & soci, battezzata Behemoth nei bozzetti, rispecchiava solo in parte Cthulhu per come viene descritto a mezzo stampa e mostrato in tanti artwork. In comune hanno la stazza e il viscidume, oltre a un esercito di gregari affamati, ma in un periodo dove abbondano Kaiju e Titani vari, fatichiamo a riconoscerlo come l’adattamento di una leggenda letteraria.
“William Eubank CHI???”
Forse abbiamo frainteso i rumor. Sarà che i fan del genere si sono lasciati prendere la mano su Reddit, sarà che la frase di Eubank suona alquanto strategica, interpretabile secondo le aspettative personali, ipoteticamente il frutto di un corso intensivo di paraculaggine. Lo pseudo-Cthulhu è accostabile a una creatura del Cloververse, di Pacific Rim o del Monsterverse, come se la produzione sperasse nell’eventuale aggancio a uno di questi franchise in caso di un successo commerciale che, ovviamente, non è arrivato.
Il Behemoth – meglio chiamarlo così – ha poco da condividere con un’entità transdimensionale la cui sola visione porterebbe un essere umano alla pazzia, tant’è che riesce a farsi fregare da una Kristen Stewart in mutande. Sarebbe più corretto farlo pestare da Godzilla o da uno Jaeger in rottamazione.

È la prima volta che l’infondatezza di uno spoiler ci lascia sconfortati, come quando il cugino corrotto ti parla di una gita a Disneyland organizzata per il tuo compleanno, ma poi finisci al minigolf. Ci avevamo sperato per davvero. In un panorama cinematografico sempre più affollato di mostroni marini, non è il caso di scomodare H. P. Lovecraft perché fa tendenza e spingersi concettualmente (e a livello comunicativo) oltre il mero omaggio, altrimenti ottieni un prodotto che, nonostante le inclinazioni ittiche, non è né carne né pesce. Per tutto il resto c’è Zoidberg.
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