THE NORTHMAN – La vendetta è un lavoro da bestie

Robert Eggers proietta al cinema il suo partitone a Skyrim.

di Alessandro Sivieri

festa celtica uomo in costume

“Vuoi anche un Thor Burger con patatine?”

Gesta Danorum, costruita intorno a te. Vi siete mai fermati alle bancarelle di una festa celtica, quella dove si mangia il pollo con le mani? In alternativa pigliatevi l’ultimo album di un gruppo metal scandinavo. Cosa trovate in copertina? Drakkar nel mare in tempesta, berserker con le asce da guerra, divinità nordiche e, già che ci siamo, un elmo cornuto per proteggere la capoccia. L’immaginario popolare ha codificato nel tempo una serie di caratteristiche dell’era vichinga, alcune storicamente attendibili e altre inventate di sana pianta – oppure adattate – per un fattore di epicità e del comune gusto dell’intrattenimento. I bevitori seriali di idromele, feroci sul campo di battaglia quanto nei banchetti, ci trasmettono un’idea di forza primitiva, di un’esistenza votata alla conquista, e spaccano in qualunque media abbiano intenzione di sbarcare.

protagonisti della serie vikings

Ecco che la leggenda di re Ragnar Lothbrok porta alla serie Vikings, mentre i franchise videoludici come God of War e Assassin’s Creed decidono di fare una capatina nel gelido regno di Odino. Non scordiamo i capisaldi letterari: due pezzi da novanta come Tolkien e Shakespeare hanno preso a modello le saghe vichinghe per costruire i loro universi narrativi. Nelle opere del Bardo rivivono  i temi della vendetta e della predestinazione, mentre una gitarella verso Mordor trabocca di alfabeti runici, di suggestioni pagane e dell’alto valore iconografico che gli antichi racconti attribuivano ad armi e gioielli, forgiati nelle viscere della terra per un preciso scopo.

amleto shakespeare disegno

Non è casuale nemmeno il richiamo ai Gesta Danorum, scritti dallo storico danese Saxo Grammaticus per narrare le vicende scandinave dell’Alto Medioevo. William Shakespeare diede forma al suo Amleto basandosi proprio sul terzo e sul quarto libro dell’opera di Saxo, dove il protagonista Amleth, erede al trono dello Jutland, assiste all’omicidio del padre Orvendil per mano dello zio invidioso Fengi, il quale convince la cognata Geruth, madre di Amleth, a sposarlo in modo da autoproclamarsi sovrano. Amleth medita vendetta e infine uccide lo zio, reclamando il regno che gli spettava di diritto. Il principe simula addirittura uno stato di demenza  per non insospettire Fengi, rispettando l’etimologia del suo nome (Amlodhi in antico norvegese significa “deficiente“); la follia nell’Amleto di Shakespeare diventa un effettivo stato di delirio e paranoia che porterà il principe verso l’autodistruzione.

essere o non essere amleto

Nella storia di Saxo il protagonista sopravvive allo scontro con lo zio e torna in patria per governare le sue genti, fino a quando non viene spodestato da un altro consanguineo. La versione francese contenuta in Histoires tragiques di François de Belleforest introduce il lato malinconico di Amleth, accompagnato da un commento morale e da una visione cavalleresca del concetto di onore, elementi che avvicinano il personaggio ai toni shakespeariani. Il medesimo contenuto dei Gesta Danorum è in fondo una condensazione di nozioni storiche, di miti tramandati oralmente e di riferimenti ad analoghe figure della cultura latina ed ellenica (il console Lucio Giunio Bruto, Eracle, Bellerofonte), ben conosciuta da Saxo.

mufasa re leone

Per farla breve, quella di Shakespeare è la declinazione più celebre di un dramma universale, del dilemma di un uomo in bilico tra il ferino desiderio di rivalsa e il lume della ragione che grida “Tutto questo ti costerà molto caro”. Il succo della leggenda è quello, salvi gli aggiustamenti del caso, e ne sa qualcosa la Disney con Il re leone. Riposta nel cassetto la savana africana, un giorno arriva Robert Eggers, che decide di riportare il mito nelle gelide lande del Nord. Niente più leoni, suricati e facoceri, niente Hakuna Matata: sui fiordi islandesi troverete soltanto lupi e orsi, o uomini più temibili di ogni bestia. L’idea fa spavento ed Eggers è il tizio giusto per il compito.

robert eggers regista di the northman

“Ti vendicherò, Mufasa. Ti ucciderò, Scar.”

Il regista del New Hampshire è piuttosto giovane ma non ha perso tempo, regalandoci un esordio stupefacente con The Vvitch e gettandoci nelle pazzie marinaresche di The Lighthouse, tra un Willem Dafoe petomane che si incazza se non gradite la sua aragosta e un Robert Pattinson che si accoppia con una sirena. In confronto le peripezie di Amleth sembrano ragionevoli, visioni mistiche a parte. Eggers è famoso per l’accuratezza maniacale sul set, al punto da spendere anni per approntare scenografie e costumi storicamente attendibili, senza contare i virtuosismi tecnici, dallo studio delle luci ai movimenti di macchina.

re aurvandil ethan hawke

The Northman è il suo primo kolossal, un’epopea scandinava con un budget da novanta milioni di dollari e un cast più ricco che mai. Abbandonata la zona di comfort dell’arthouse horror, Eggers abbraccia un progetto più spettacolare e spendibile nelle sale, mettendo alla prova il suo spirito indie. La partita si gioca sul piano prettamente registico, essendo lo script una riproposizione della succitata tragedia, con qualche variazione apportata dallo stesso Eggers e dal poeta Sjón; quest’ultimo è reduce dalla sceneggiatura di Lamb, ennesimo successo della A24, oltre ad aver firmato diverse canzoni di Björk.

amleth giovane in the northman

Il film, scandito da capitoli runici, si svolge tra l’Islanda del X secolo, la Norvegia e le terre di Rus (dove vivono le popolazioni slave). Il principino Amleth si comporta sulla falsariga del cugino danese o del pelosetto Simba, assistendo all’omicidio del padre, re Aurvandil (Ethan Hawke), per mano del rancoroso zio Fjölnir (Claes Bang), il quale sposerà poi la regina Gudrún (Nicole Kidman) e regnerà incontrastato, con la convinzione di aver ucciso anche il nipote. Amleth però riesce a fuggire e giura vendetta contro lo zio. L’uccisione del genitore è la perdita dell’innocenza per un ragazzino cresciuto in mezzo a racconti fantastici e sogni di gloria, cosa che lo aveva spinto a considerare Aurvandil il suo supereroe personale. La vita non sarà facile là fuori e Amleth dovrà farsi strada in un mondo di adulti spietati, diventare forte e reclamare ciò che gli spetta. Ti vendicherò, padre. Ti salverò, madre. Ti ucciderò, Fjölnir. Ti limonerò, Anya.

ethan hawke giovanni storti the northman

“Io sono il grande Pdor, figlio di Kmer, della tribù di Instar!”

Passano gli anni e il protagonista diventa effettivamente forte. Anzi, diventa una sorta di animale, un Alexander Skarsgård bello infangato, con gli addominali scolpiti e lo sguardo glaciale. Le campagne militari lo hanno reso un berserker, un guerriero senza paura che fa mattanza di nemici in attesa del momento giusto per la rivincita familiare. L’occasione arriva quando Amleth si imbarca alla volta del nuovo villaggio dello zio, facendosi passare per schiavo. Durante la traversata conosce Olga della Foresta delle Betulle, indovina ed erborista che ha l’angelico volto di Anya Taylor-Joy. Se volete salvarla in rubrica, si chiama proprio così: Olga di nome e della Foresta delle Betulle di cognome.  Olgadellaforestale è un prototipo di Ofelia, sorellastra di Amleto, però in salsa stregonesca, elemento che la rende una specie di Thomasin di The Vvitch leggermente più matura, consapevole del suo potenziale manipolatorio e seduttivo.

the northman olga

Il principe e la fattucchiera, ridotti a servitori per necessità, stringono un sodalizio che si trasforma in amore mentre tramano ai danni di Fjölnir. Un paio di rivelazioni intime faranno vacillare Amleth, distruggendo le ragioni che lo hanno portato a sacrificare una vita intera per salvare la madre. Si prospetta la possibilità di un’esistenza felice e lontana dal rancore insieme a Olga, ma la fatalità lo porta ad affrontare quel destino inciso nelle sue carni: dovrà vedersela con lo zio, poco importa se per riparare un torto o proteggere i suoi cari.

zio fjolnir claes bang

Se la trama è lineare, non lo è la crescita psicologica del protagonista, sottoposto a trasformazioni sia estetiche che interiori. Il futuro è ineluttabile, lo affermano i sogni lucidi, gli sciamani nelle caverne e le valchirie in ascesa verso gli dèi. Non si può mutare un avvenire basato sulla superstizione, non in questa realtà tratteggiata da Eggers; si può cambiare il proprio atteggiamento, la modalità di azione, la motivazione che anima i gesti. All’inizio incontriamo un Amleth che, insieme all’infanzia, si è lasciato alle spalle la sua umanità, unendosi a un clan che brucia villaggi, traffica schiavi e trucida innocenti. Da quel punto di vista l’eroe non è un a livello moralmente superiore rispetto all’ignobile zio e forse nemmeno gli interessa. La parentesi da operaio tuttofare e l’incontro con Olgabetulla lo metteranno di fronte a prove tutt’altro che fisiche, legate all’urgenza di nobilitarsi, di riscoprire la propria vulnerabilità prima di reclamare giustizia. Amleth deve ricostituire se stesso e la sua scala valoriale specchiandosi negli amici come nei nemici.

olga e amleth a cavallo

La realtà si intreccia continuamente con il mito, alla stregua delle fiabe norrene, e la sospensione dell’incredulità diventa prassi durante il cammino del protagonista: le occasioni per una rapida vendetta vengono accantonate in favore dell’attesa, del dubbio, del rispetto di una ritualità che si traduce in una ricerca di armi magiche e una capatina nel bosco per raccogliere funghi allucinogeni, come in un partitone a Skyrim sotto steroidi. Amleth che affronta un Draugr per soffiargli la Spada del Destino è uno dei tanti episodi dalla valenza allegorica o sovrannaturale, a vostra discrezione interpretativa. E ricorda il ciclo arturiano con più non-morti.

draugr non morto skyrim northman

“Una volta ero un razziatore come te, finché non mi sono buscato una freccia nel ginocchio…”

Al netto dell’impegno di Eggers nel creare prop e scenari credibili, siamo lontani da una rappresentazione letterale della vita vichinga, ma questo non è mai stato lo scopo del regista. L’obiettivo è tradurre sullo schermo i miti del passato, il modo in cui i guerrieri nordici amavano vedersi, che non è molto distante dagli americani nei loro disaster movie. Tutto è sopra le righe, amplificato dal folklore, incluse le trombate sotto le betulle e i sacrifici funebri. Insomma, è cinema.

valchiria northman cavallo

Non si può semplicemente sgusciare in una capanna e tagliare la gola allo zio bastardo, pena uno svuotamento di senso della tragedia amletica, che guardiate al lato edificante o ai risvolti amorali di una razzia barbarica. La solennità e la magniloquenza rendono The Northman affine ad adattamenti shakespeariani come Macbeth, e non parliamo dell’ultimo lavoro di Joel Coen, bensì del film con Michael Fassbender di qualche anno fa: stessa vena teatrale dei dialoghi, stessa scenografia curata e un impianto visivo spettacolare.

bjork sacerdotessa cieca northman

Il contrappeso, in ambedue i prodotti, è una lentezza che non fa sconti a chi cerca il Braveheart di turno. Le scene campali, pur se emozionanti, sono dosate al millimetro per fare spazio a una parte centrale orientata all’introspezione, a un’atmosfera primordiale e a intermezzi allucinati. Ospiti speciali Willem Dafoe nei panni di un guitto reale e Björk, rediviva dopo vent’anni da Dancer in the Dark, che interpreta una profetessa cieca in grado di scrutarti nell’animo. Le prove attoriali sono totalmente devote alla storia, che ritaglia una bella fetta di minutaggio per le figure muliebri: se Anya Taylor-Joy si dimostra parte attiva nella vendetta di Amleth e padrona delle proprie scelte, Nicole Kidman incarna una madre votata all’ambiguità e alla rivendicazione sibillina del proprio status, abbozzando scenari edipici con la prole ribelle (a Marty McFly non piace questo elemento). Ci sono schiave e prigioniere, è vero, eppure The Northman trabocca di potenza femminile, di arte coercitiva.

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Scena madre del capolavoro islandese “Il Valhalla sul comò”.

Chi ricorda Robert Pattinson picchiatore di gabbiani troverà nuovamente una funzione simbolica del regno animale, a partire da un Amleth che si definisce un incrocio tra orso e lupo, manifestando le caratteristiche di entrambi, fino ad Aurvandil che viene ricordato come il Re Corvo (War-Raven) e che veglia sull’operato del figlio attraverso i pennuti neri. Vi sono poi volpi scappate dal recinto di Lars von Trier, serpenti incantati e cavalli che se la vedono piuttosto brutta. Con buona pace del signor Scamander, Robert Eggers dovrebbe pubblicare Animali strani e dove trovarli. La fauna infonde le proprie qualità negli esseri umani e diventa l’espressione di una natura selvaggia, inflessibile nel ribadire la legge del più forte. Non aspettatevi rapporti sireneschi o una capatina di Jorgmungandr, anche se vi godrete dei momenti tanto assurdi quanto geniali, come Olga della Foresta delle Betulle che sfodera il colpo segreto del mestruo contro Fjölnir.

the northman olga e amleth

Altre sequenze dal piglio demenziale spezzerebbero il pathos, se la cornice seriosa non tenesse saldamente le redini, e ci riferiamo a un commovente momento padre-figlio fondato sui rutti e sulle scorregge, o ai protagonisti che sentono il bisogno di battersi in vesti adamitiche. Forse erano gli usi di un tempo, forse Odino prescriveva le pisellate alle pendici del Monte Fato, forse fare l’elicottero col vostro aggeggio può ravvivare un funerale, il fatto è che ogni stravaganza è un tassello su misura nel complesso mondo di Eggers.

the northman willem dafoe

Mettiamo che gli accadimenti sullo schermo siano troppo cruenti per la coppietta o poco sadici per i cultori dello splatter: nessuna categoria di spettatore può negare che siano girati alla perfezione. La fotografia di Jarin Blaschke, sodale del regista, ci porta attraverso i dettagliatissimi set con un tripudio di carrellate, di luci il più possibile naturali, di simmetrie architettoniche. La palette cromatica segue logiche ascrivibili ai tempi di Nosferatu (del quale Eggers vorrebbe sfornare un remake) e sfrutta una precisa gamma di colori per distinguere tra interni ed esterni, accentuando il blu della notte e riempiendo le scene vulcaniche di un rossore pulsante, dove distinguiamo solo la silhouette dei contendenti. Chi cerca un orgasmo per gli occhi avrà di che sfamarsi, e l’intera valutazione della pellicola si risolve nella solita domanda: che cosa cerchiamo in un film?

robert eggers vulcano northman

Chi mastica Eggers sa cosa aspettarsi, mentre chi aspira a un action con i vichinghi che si sbudellano può ricevere un abbaglio dalla campagna marketing, la quale ha gioco facile con la raffinatezza delle immagini. Passati i primi minuti è chiaro che il materiale non sia avvicinabile con la leggerezza riservata a un Massimo Decimo Meridio, al pari di una rappresaglia che sembra facilissima, almeno fino a quando non ti ritrovi a due passi dal tuo peggior nemico e inizi a riflettere sulle scelte che ti hanno portato fino a lì. Si tratta di un kolossal che lega attori di grido e tematiche immortali a un ritmo coerentemente dilatato, talvolta cristallizzato nelle incursioni oniriche.

northman protagonista skarsgard

“Ammirami!”

Gli accenni incestuosi sono lo specchio di un rapporto creativamente perverso, quello tra Valhalla Rising e Fury Road con Shakespeare ad arbitrare (rigorosamente in un bosco di betulle). L’esperimento ha successo e una lezione vecchia come il Mar Baltico acquisisce un sapore inedito, temprato dal sangue e dall’acciaio. La lezione è che la vendetta ha un prezzo, o meglio, ha delle regole come il Fight Club: prima regola, non giocate a polo con gli islandesi; seconda regola, non sguainate la spada in pieno giorno; terza regola, fate un rutto in faccia ai vostri pargoli e ditegli “Questo è un rutto di Ethan Hawke”.

Disponibile qui sotto la videorecensione del film a cura del collega Matteo Berta:

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