LOVE, DEATH & “MA QUINDI?” – C’è differenza tra una bella suggestione e un buon contenuto

Con la seconda stagione, Love, Death & Robots manca il bersaglio: compitini facili, spunti carini e poco più: di positivo c’è che sono pochi episodi con tanti mostri.

di Cristiano Bolla

Piccola premessa “necessaria”: chi scrive ha passato 4 anni a guardare e selezionare serie digitali (anche dette web series): un formato vario e su cui ancora non si hanno le idee chiarissime, a partire dalla definizione. Si parte da un assunto generalmente condiviso: sono prodotti audiovisivi di durata inferiore ai 20 minuti per episodio che vengono distribuiti e fruiti sul web. Dico questo non perché Love, Death & Robots sia una serie digitale – non è pensata come tale e Netflix fa tutt’altro di mestiere – ma perché con quello specifico formato condivide un errore di partenza: che quando si realizza qualcosa di piccolo tutto quello che serve è un’idea figa, l’effetto wow e nient’altro. Madornale errore.

La prima stagione di questa serie antologica di cortometraggi animati, creata da Tim Miller (regista di Deadpool e di Terminator: Dark Fate), aveva piacevolmente sorpreso appunto per l’inusuale durata e la varietà dei contenuti, tutti generalmente parte di quella galassia di cui fanno parte serie come Black Mirror ed Electric Dreams. Ogni episodio di Love, Death & Robots, anche nella seconda stagione, è tratto da un racconto di fantascienza, futuri distopici e molto altro che risente chiaramente delle influenze di autori maestri del genere come Philip K. Dick. Da 18 episodi ora si è passati a 8, ma viene da dire che abbiano tenuto solo i peggiori del lotto: quello che nella prima stagione era un difetto nascosto da cose belle, ora è diventato l’imperativo di questi nuovi racconti, ovvero una generale sensazione di appiattimento, banalizzazione, facile retorica unita questa volta a una ben più scarsa varietà.

love death robots droide

La logica che sembra stare dietro ad ogni episodio è questa: cosa posso creare di figo, che sia estremamente interessante ma del quale non mi devo preoccupare se abbia senso o un minimo di contenuto? E da qui arrivano questi nuovi 8 episodi, che al massimo possono essere considerati come delle cutscene di relativi prodotti videoludici (tanto la grafica quella è). Prendiamoli uno a uno, brevemente, per far capire il punto.

Automated customer service: un’anziana signora in una cittadina/casa di riposo se la deve vedere col suo aspirapolvere assassino. Uno dei tre con una grafica che si discosta da un qualsiasi videogame di next-gen, ma il cui punto di partenza è altamente inflazionato e la cui retorica è palese. Uomo vs tecnologica cattiva, stiamo soccombendo a essa e un giorno ci ucciderà. È il 2021 e sembra un racconto degli anni ’80, dove sta la novità?

love death and robots anziana contro aspirapolvere

Ice: in un futuro in cui tutti si potenziano, un giovane ragazzo affronta una prova da super-umani per dimostrare che non è da meno. Sicuramente il più intrigante come messa in scena, ma anche quello con il fattore “ma quindi?” più grande. Tutto si esaurisce nel momento, nel poco che viene mostrato riassumibile in due frasi. A suo vantaggio, c’è che ha delle balene di ghiaccio, e visto che siamo un sito con un cetaceo come mascotte è d’ufficio il più bello del lotto. Però ecco, anche no.

ice episodio love death and robots

Pop squad: in un lontano futuro, il prezzo dell’immortalità è che non si dovranno più far figli; un poliziotto si occupa di ucciderli. Qui c’è da incazzarsi: oltre alla palese ambientazione da Blade Runner e il generale interesse per un film che parta da questo pitch, è la summa perfetta di questa stagione, tutta suggestione e niente contenuto, sostanza. O la si prende così com’è, come corto carino, oppure è facile “rompere il giocattolo”: ma perché non sterilizzare chi sceglie di essere immortale e permettere a chi invece non vuole di fare figli e garantire così, alla loro morte, che non si “rubi il posto” a qualcuno? Una domanda, uno spunto di riflessione che in un lungometraggio avrebbe trovato risposta, forse, ma la sensazione è che chi c’è dietro all’episodio abbia proprio detto “non è necessario farla, è solo un corto carino“. Il finale è ancora una volta un bel “ma quindi”?

pop squad love death and robots

Snow in the desert: un uomo con un incredibile fattore rigenerante fugge da alcuni criminali che vogliono ucciderlo per far loro il segreto della sua immortalità. Altro giro, altra corsa: grafica da cutscene, suggestione tutto sommato interessante, aggiungere una pennellata di sesso, sparatorie, condire con frasi da cattivi generiche e terminare il tutto ex abrupto con un colpo di scena senza seguito.

snow personaggio love death and robots

The Tall Grass: il passeggero di un treno fermo in mezzo alla pianura si avventura nell’erba alta e scopre che è popolata da terribili mostri. Non per ripetersi, ma a parte avere un’animazione diversa dagli altri è di nuovo un altro raccontino bello da vedere ma con scarsa sostanza e quindi interesse.

erba alta mostri love death and robots

All Through the House: due bambini scoprono che Babbo Natale è un mostro orribile che vomita regali. Perché sì.

babbo natale monster love death and robots

Life Hutch: Michael B. Jordan è in guerra con un neurone spaziale, precipita su un pianeta, quando pensa di essere in salvo viene attaccato da un robot assassino, probabilmente lontano parente del cubo aspiratutto del primo episodio. Gli spezza una mano, è mezzo dissanguato, ma è Michael B. Jordan e quindi riesce a batterlo con una torcia. Di tutto il resto non importa nulla, è che c’è Michael B. Jordan.

michael b jordan love death and robots

The Drowned Giant: un gigante spiaggiato diventa una meta turistica e uno spunto di riflessione per un ricercatore. Oh, il colpo di coda che non cambia tutto ma quantomeno non fa chiudere con l’amaro in bocca. Il Gigante è il perfetto esempio di cosa poteva essere e cosa dovrebbe essere una serie come questa e lo è grazie a una cosa banale, ma a quanto pare usata col contagocce nel resto degli episodi: c’è una riflessione, un’idea che viene portata avanti. Non solo con una bella scrittura tutta voice over, ma soprattutto in quello che viene mostrato e sul perché viene fatto. Il Gigante diventa il pretesto per riflettere sulla caducità della vita, della carne, del nostro posto nel mondo e della meraviglia di cui potremmo godere e che invece trattiamo come un oggetto da baracconi e niente più. L’ultimo episodio lascia qualcosa perché ha qualcosa da dare, un tocco romantico esistenzialista che non si esaurisce con l’inizio dei titoli di coda. Nella prima stagione erano così anche gli episodi Zima Blue e Fish Night e sarebbe stato bello che ce ne fossero stati altri, in questa seconda stagione.

gigante morto love death and robots

Invece no, i nuovi 8 episodi di Love, Death & Robots non sembrano prendersi sul serio (e perché dovremmo farlo noi, quindi?), ma si divertono a essere poco più di un compitino, un esercizio di stile fine a se stesso che butta lì qualche idea interessante ma non pensa di doverle dare corpo. Il che non vuol dire che sarebbero dovuti essere prodotti più lunghi: se hai ben chiaro dove sei e dove stai andando, 5 minuti bastano per mostrare tutto quello che vuoi in modo più concreto e meno gratuito. 

Di buono, per noi, ci sono molte creature con cui aggiornare il nostro Bestiario di Love, Death + Robots. Almeno questo.

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