Cos’hanno in comune il vampirismo, Agatha Christie e un rimorchiatore interstellare? Più del previsto.
di Alessandro Sivieri
Mettiamo subito le cose in chiaro: il film horror preferito del sottoscritto è Alien. Non ci sono squali preistorici, indemoniate da esorcizzare e nemmeno vampironi che possano reggere il gioco del famoso superstite non offuscato da coscienza, rimorsi o illusioni di moralità. Qualunque prodotto filmico con un gruppo di sfigati braccato da una creatura maligna farà scattare automaticamente il paragone con il capolavoro di Ridley Scott. Non ce la faccio, è una legge dell’inconscio. Se spostiamo il discorso sui generi letterari, adoro le storie di navigazione, meglio se infarcite di mistero. Bene, immaginatevi la scena quando mi sono trovato al cospetto di The Last Voyage of the Demeter, che è essenzialmente Alien con una goletta al posto del cargo stellare Nostromo e con un Dracula affamato al posto dello Xenomorfo, il tutto frullato con l’alter ego sadico di Agatha Christie. Basta, chiudete tutto. Quale decerebrato ha mai avuto l’idea di farlo uscire soltanto in una trentina di sale italiane?
Non gioca a favore l’abbondante presenza del Conte nei prodotti audiovisivi degli anni recenti: l’ammaliante Claes Bang nella miniserie Netflix, lo spassoso Nicolas Cage che bullizza il servo Renfield e, in un futuro prossimo, il remake di Nosferatu a opera di Robert Eggers. Si può cedere alla malizia e gridare alla mancanza cronica di idee o limitarsi a riconoscere la portata simbolica del vampiro per antonomasia, capace di dare linfa vitale a storie che ne approfondiscano le molteplici sfaccettature. Demeter sceglie di concentrarsi su un passaggio particolare del romanzo di Bram Stoker, quello della traversata di Dracula, che dalla Romania si fa imbarcare di nascosto – insieme a un certo numero di casse contenenti il suo amato terriccio – su una nave per giungere a Londra. Il diario del capitano viene arricchito di particolari rispetto alla versione cartacea e viene adottato il punto di vista dell’equipaggio mentre il succhiasangue si risveglia e decide di pasteggiare con i marinai.
Scary Stories to Tell in the Demeter
Se l’approccio creativo non è dei più originali, Demeter ha una innegabile potenza di fuoco: un budget di 45 milioni di dollari, diviso tra big player come Amblin e DreamWorks, e la regia di André Øvredal, che tutto è tranne l’ultimo arrivato. L’autore norvegese ha esordito con il mockumentary Troll Hunter, ha proseguito con l’ottimo Autopsy e si è cimentato con Scary Stories to Tell in the Dark, co-scritto e finanziato da Guillermo Del Toro (la cui mano si sente eccome, benché non avesse voglia di dirigerlo). Insomma, il tizio ha gli horror e i monster movie incisi nel suo DNA, e adesso è pronto a rendere il Conte nuovamente spaventoso. Ecco, Make Dracula Great Again, anche se questa incarnazione del vampiro rispecchia maggiormente il “fratellastro” Conte Orlok; feroce, animalesca, la creatura è un tributo estetico a Max Schreck e a quei fantastici momenti in cui il personaggio di Gary Oldman si trasfigurava in un pipistrello umanoide nella camera di Mina.
Si tratta di una presenza infernale, repellente, che mette a disagio quando prosciuga la gola squarciata delle vittime, complice il notevole comparto sonoro. Nella prima parte si presenta macilento e affaticato, alla stregua di un drogato in crisi di astinenza, e sembra che l’atto di nutrirsi lo aiuti a recuperare, oltre ai poteri, le facoltà intellettive (le parole scimmiottate diventano frasi di senso compiuto). Nonostante l’alto tasso di brividi, la nostra memoria cinefila ha avuto un lampo di ignoranza e ci ha fatto pensare a Leslie Nielsen che dice “Credo che comincerò salassando il nostromo”. Supportato da una CGI adeguatamente dosata, nella body suit di questo cattivo si cala il longilineo Javier Botet, specializzato nell’indossare i panni di creature dalle proporzioni poco ortodosse: la ragazza posseduta di Rec, lo Slender Man, la lista può continuare a lungo.
Dracula smorto e contento
Il giovane spagnolo è effettivamente un Bolaji Badejo che ha scelto di proseguire la carriera, e qui torniamo al discorso di Alien: nello sci-fi horror del 1979 uno sparuto gruppo di astronauti viene progressivamente sterminato da una presenza a bordo che per buona parte dello svolgimento non è possibile identificare e contrastare. Le vittime vengono attaccate singolarmente, lasciando indizi insufficienti ai superstiti, e la struttura stessa della nave – considerabile a tal punto un labirinto – viene sfruttata contro l’equipaggio. L’unico soluzione è arginare la bestia fino all’evacuazione, al “decolliamo e nuclearizziamo”, concetto che viene ripreso nel sequel di James Cameron e in questo viaggio fatale della Demeter. Al vuoto siderale si contrappone l’altrettanto sterminata – dal punto di vista umano – vastità dell’oceano, le paratie d’acciaio cedono il posto al legno e al cordame ma la sostanza non cambia: la ciurma, demotivata e votata al profitto, si trova a fronteggiare con mezzi inadeguati un essere che appartiene a una specie diversa e che resta sempre un passo avanti. La chiave è la sopravvivenza, la perpetuazione della specie, sebbene Dracula tragga un sadico piacere personale da questo gioco al gatto col topo in contrapposizione all’istinto naturale dello Xenomorfo. Signori, ci troviamo al cospetto di uno Xenosferatu!

Gli unici che sembrano avere una chance sono gli outsider del veliero, ovvero il dottor Clemens (Corey Hawkins), naturalista guidato dalla necessità di comprendere il mondo, e Anna (Aisling Franciosi), donna di origini romene offerta alla bestia a guisa di “vittima sacrificale” e consapevole del suo destino di infetta: il vampirismo è ascrivibile a una malattia, un morbo del sangue che crea una connessione mentale con il contagiante. Le trasfusioni alla lunga non risultano sufficienti e si rischia, come vuole la tradizione, di incenerirsi al sole o di diventare dei servitori privi di volontà. Ciò non toglie la possibilità di lottare, di vendicarsi di chi ci ha derubato dell’umanità, proprio come la Ellen Ripley di Alien 3, ritrovatasi con un embrione di Xenomorfo nell’organismo e condannata a morte certa. Le similarità con il terzo capitolo diretto da David Fincher includono la figura del dottor Clemens, omonimo del medico che si occupa dei carcerati della prigione “Fury 161”, e un cane che fa una brutta fine, uno dei primi ad accorgersi della creatura e a abbaiarle contro prima di essere aggredito in un cunicolo.
“Quale animale farebbe mai una cosa del genere a un cane?” si domanda uno dei prigionieri, il membro di un gruppo male assortito al pari della ciurma della Demeter, composta da ladruncoli, ubriaconi e fanatici religiosi, pronti a fregarsi l’un l’altro, a sospettare del compagno con il quale hanno condiviso il rancio. Per quanto la nave sia di modeste dimensioni, nessuno ha un alibi inattaccabile, cosa che alimenta un clima di accuse reciproche condiviso da altri horror come La Cosa e basato… sui meccanismi narrativi di Agatha Christie! Eh sì, da un lato la stiva umida e scricchiolante della nave ricorda la “pancia” della Nostromo, dall’altro abbiamo un tipico enigma della camera chiusa, o meglio della cassa chiusa, affrontato a colpi di indagini, ipotesi e raccolta di macabre tracce. Splatter e tensione drammatica si intrecciano intorno a un Dracula che riacquista le forze grazie ai cocktail sanguigni, esibisce un bel paio di ali membranose e si prepara alla resa dei conti con i sopravvissuti. Tra questi c’è proprio il dottore, la mente razionale che ha bisogno di classificare la creatura, di incasellarla nelle leggi naturali per mantenere l’autocontrollo e soprattutto per scovarne i punti deboli. Ritrovatosi impotente sul piano fisico, il pensatore illuminista oppone l’analisi scientifica e lo spirito di adattamento a una superstizione fattasi carne, resa invincibile dalla paura che incute nella gente comune.
“Blood Bull ti mette le aaali!”
L’abilità di Øvredal e compagnia non si esaurisce nella fotografia curata o nell’ibridazione tra l’horror claustrofobico e il giallo deduttivo (a proposito, se cercate un buon romanzo mystery su un vascello, a tinte sovrannaturali, vi consigliamo Il diavolo e l’acqua scura) ma nel creare suspense in una storia il cui esito è noto pressoché a tutti: chiunque abbia letto Stoker sa quale fine abbia fatto la Demeter, mostrata nell’incipit come un relitto sul quale investiga la polizia londinese. La curiosità si sposta perciò sul come, sulle atmosfere dark, sulla conta dei morti in un cast con il quale si arriva a empatizzare; alcuni momenti sono da cardiopalma e si teme sinceramente per l’incolumità dei protagonisti, chiedendosi chi potrebbe cavarsela e in base a quale espediente. E se la sorte è scritta, a fare la differenza è il modo in cui ce ne andiamo (qui emergono analogie con la serie Midnight Mass, altra produzione a tema vampiresco). Ulteriore colpo da KO tecnico è un epilogo che potremmo definire aperto in relazione al succitato prologo flash forward e alla cronologia di eventi narrata da Stoker; finale quasi sicuramente sterile a livello di sequel ma in perfetta sintonia con i toni del film e con il percorso di crescita dei personaggi. Il Male è salito a bordo, e non si tratta esclusivamente di un emofilo transilvano ma di un regista che sa dove mettere le mani e gode come un muflone nel deliziarci con le chicche (se non ci credete, guardate bene il bastone impugnato a un certo punto dallo Xenosferatu).
Se avete ancora emoglobina, eccovi la videorecensione a cura del collega Matteo:
non sapevo se andarlo a vedere (a lavoro ho il giornaliero che mi distrugge la giornata) ma tutti ne parlano bene e la vostra rece è entusiasta
potrei, dopotutto sono un fan dei film coi vampiri